Con la sentenza n. 18603/13 la Cassazione è intervenuta per la prima volta sul tema della sequestrabilità dell’azienda come bene produttivo, sancendo inter alia che in materia di sequestro preventivo, oggetto della misura cautelare reale può essere anche un’intera azienda, ove sussistano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali, proprio per la sua collocazione strumentale, sia utilizzato per la consumazione del reato, a nulla rilevando la circostanza che l’azienda svolga anche normali attività imprenditoriali.
La vicenda processuale
La vicenda trae origine da un sequestro preventivo di due S.r.L. e delle relative aziende, disposto da un giudice per le indagini preliminari nel quadro del procedimento penale relativo al reato di lesioni personali colpose commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ai danni dei lavoratori.
Il Tribunale di Firenze, nell’annullare con ordinanza il sequestro preventivo disposto dal GIP, aveva evidenziato l’inammissibilità del sequestro preventivo in relazione ad un’attività imprenditoriale: il carattere prettamente ablatorio (e non interdittivo) del sequestro preventivo, infatti, impone la sola riferibilità ad una res pertinente al reato.
Di conseguenza, sono sequestrabili soltanto beni, e non un’impresa o un’attività imprenditoriale, “vieppiù a fronte della piana ricorribilità ai rimedi specifici di cui al D.Lgs. n. 231/2001 (in tema di responsabilità amministrativa degli enti) esperibili anche in relazione al delitto di lesioni personali gravi”.
Le motivazioni dell’impugnazione da parte
del PM
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Violazione di legge
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Il giudice ha erroneamente
ritenuto che il sequestro fosse volto all’imposizione di un’inibitoria nei
confronti di un’attività
imprenditoriale, e non di un vincolo reale su beni riguardanti nella loro
materialità.
La misura cautelare, al
contrario, era stata disposta sulle società e sulle aziende costituenti
l’insieme dei beni che l’imprenditore
destina alla propria impresa.
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Beni come mezzo per la realizzazione del
reato contestato
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All’imputato è stata ascritta
la realizzazione di un’organizzazione imprenditoriale del tutto priva di
qualsivoglia forma di cautela o di misura precauzionale funzionale alla
sicurezza e all’incolumità dei lavoratori impiegati.
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Rapporti con il D.Lgs n. 231/01
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Non ha alcun rilievo il
D.Lgs n. 231/01, nel caso de quo: infatti,
sono diversi i presupposti delle misure cautelari disciplinate da tale testo
normativo e il sequestro preventivo, nel caso di specie immediatamente
destinato ad inibire l’esercizio di un’attività imprenditoriale pericolosa
mediante l’uso dei beni strumentali.
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Un passo indietro: la pertinenzialità necessaria per il sequestro di azienda
Prima di analizzare la novità contenuta nella sentenza della Cassazione n. 18603/13, occorre premettere che tutta la giurisprudenza che, in passato, si è occupata del tema della sequestrabilità, o meno, dell’azienda, ha avuto come “faro” esclusivo il suo eventuale rapporto di pertinenzialità rispetto al reato.
Ferma restando l’insequestrabilità delle società commerciali tout court, la Cassazione ricorda le alterne vicende che hanno caratterizzato la giurisprudenza nel recente passato in relazione proprio al tema del sequestro preventivo di aziende, e il minimo comun denominatore posto alla base delle stesse.
Se, infatti, ed in relazione a vicende riguardanti l’impiego di lavoratori privi del permesso di soggiorno, la Cassazione ha affermato, a volte, la legittimità del sequestro preventivo di immobili, strutture e apparecchi costituenti l’azienda funzionalmente ed economicamente produttiva, “allorché essi siano impiegati per lo svolgimento dell’attività lavorativa prevalente di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, essendo l’imposizione del vincolo funzionale ad impedire la prosecuzione dello sfruttamento di manodopera illegale” (ex multis, cfr. Cass. Pen., n. 18550/09), in altri casi ha, al contrario, escluso l’assoggettabilità a tale misura cautelare “dell’immobile, delle strutture e degli apparecchi costituenti l’azienda funzionante ed economicamente produttiva in ragione dell’occupazione non totalitaria o prevalente di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, in quanto tali beni non sono in rapporto di pertinenzialità” (nel caso analizzato dalla sentenza della Cassazione n. 34605/07, ad esempio, rispetto al reato di cui all’art. 22, D.Lgs. n. 286/98).
La sequestrabilità dell’azienda come bene produttivo
La novità contenuta nella sentenza 18603/13 della Cassazione risiede proprio nel fatto di aver analizzato la problematica da un altro angolo visuale: quello della sequestrabilità in sé dell’azienda, come bene produttivo, secondo la definizione datane dall’art. 2555 del c.c., in base al quale l’azienda è “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.
In materia di sequestro preventivo, oggetto della misura cautelare reale può essere anche un’intera azienda, ove sussistano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali, proprio per la sua collocazione strumentale, sia utilizzato per la consumazione del reato, a nulla rilevando la circostanza che l’azienda svolga anche normali attività imprenditoriali.
Focus sugli indizi: sono valide anche gli elementi di prova
provenienti da un altro procedimento
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Cassazione Penale
n. 37024/11
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Sono
utilizzabili ai fini dell’applicazione di misure cautelari reali, quando
questi siano stati richiesti in fase dibattimentale, anche elementi di prova provenienti
da altri procedimenti e non ancora acquisiti in dibattimento, analogamente a
quanto stabilito dalla
stessa Corte di Cassazione, in materia di misure
cautelari personali.
Sono
utilizzabili come gravi indizi di colpevolezza, ai fini della vantazione di
legittimità delle misure cautelari personali, atti di altri procedimenti,
indipendentemente dalla circostanza che siano state osservate le condizioni
stabilite nell’art. 238 c.p.p., non richiamate dall’art. 273 stesso codice.
Lo stesso
principio non può che valere anche ai fini della valutazione della
sussistenza del fumus commissi delicti,
in materia di misure cautelari reali.
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Di conseguenza, l’ordinanza impugnata è stata emessa – evidenzia la Cassazione – è stata emessa in violazione di legge “nella parte in cui esclude, in via di principio, la suscettibilità dell’azienda a costituire oggetto di sequestro preventivo, indipendentemente dall’indagine di merito riguardante il rapporto di pertinenzialità della misura rispetto al reato, ovvero l’eventuale proporzionalità di detta misura cautelare rispetto alle esigenze cui è destinata”.
In conclusione, occorre fare un sia pur rapido cenno ai principî di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, di cui all’art. 275 cpp: la Cassazione, infatti, ricorda che tali principî , previsti per le misure cautelari personali, “devono ritenersi applicabili anche alle misure cautelari reali e devono costituire oggetto di valutazione preventiva e non eludibile da parte del giudice nell’applicazione delle cautele reali, al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata. Ne consegue che, qualora detta misura trovi applicazione, il giudice deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato della misura cautelare reale con una meno invasiva misura interdittiva”.
Sequestro di
un’azienda operante nel settore ambientale
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Cassazione Penale
n. 8082/09
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La
questione da risolvere nel caso di specie era la seguente: la qualifica di
corpo di reato, o comunque di cosa pertinente, compete all’intero
insediamento o alla sola porzione terminale (condotta, camino, impianto)
attraverso la quale avviene l’immissione illecita di sostanze nell’ambiente?
La
Cassazione ha affermato un principio generale, in base al quale se
l’inquinamento dipende dall’inadeguatezza complessiva dell’insediamento, è a
quest’ultimo che il sequestro deve fare riferimento.
Infatti,
in quella sede, il Giudice, nel far riferimento alla sufficienza degli indizi
al fine di sottoporre l’azienda a sequestro preventivo, ha rilevato come,
nella specie, la condotta di versamento in mare dei fanghi residui dalla
lavorazione del marmo riguardassero l’attività dell’intera azienda: di
conseguenza, il sequestro preventivo non poteva essere limitato ad un
determinato processo produttivo specificatamente interessato dalla condotta
abusiva e, nell’immediato, l’esigenza preventiva sottesa alla misura cautelare
non poteva che afferire all’intera azienda.
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