Report, 13 aprile 2008: buon appetito! (V)

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Prosegue l’analisi dell’approfondita puntata di Report di domenica 13 aprile 2008, intitolata “Buon appetito!
Il post precedente
ci ha proiettato verso i risultati della ricerca condotta dal centro di scienze dell’invecchiamento dell’Università di Chieti al fine di quantificare la presenza in frutta e ortaggi di polifenoli e flavonoidi.
Ricerca che – senza entrare nei dettagli – ha mostrato l’enorme differenza esistente nei livelli di licopene fra i pomodori “artificiali” (raccolti verdi, e maturati successivamente) e i pomodori….pomodori!

LA ROTTURA DELLE SICUREZZE DELL’AGRICOLTURA INDUSTRIALE
Altro argomento, altra interconnessione….

Adesso Piero Riccardi intervista Claudio Caramadre, agricoltore da più generazioni, diventato agricoltore industriale per “necessità”, e riconvertitosi all’agricoltura tradizionale, non appena si è accorto degli effetti sulla biodiversità dell’uso indiscriminato dei diserbanti, e le sue sue sicurezze, al riguardo, avevano cominciato a vacillare…

Caramadre ci tiene a far notare la differenza fra il suo terreno, riconvertito a coltura tradizionale, e quello del vicino, ostinatamente succube della chimica
“Guarda la differenza tra questi due terreni – dice Carama
dre – quando ho cominciato la conversione al bio avevo un terreno tutto come questo, sostanza organica media intorno allo 0,3, 0,4%; adesso mi sono avvicinato all’1%.
È un terreno vivo, mentre questo è più simile al polistirolo che non alla terra: questo è l’elemento che fa la differenza tra agricoltura biologica e agricoltura convenzionale.

La chimica, presupponendo il fatto che tutto quello che serve alla vita della pianta può essere prodotto da un’altra parte, trasportato lì e immesso nel terreno, praticamente ha ridotto il terreno a non essere più vitale, perché tanto non gli serve la propria vita, basta che gli metti i fertilizzanti.

Questo significa che nel momento in cui l’industria smetterà, per un qualsiasi motivo, di produrre i fertilizzanti, avremo distrutto la vita in tutti i terreni…
"

I PARADOSSI CAPITALI DELL’AGRICOLTURA INDUSTRIALE
Il professor Piero Bevilacqua, storico dell’Università “La Sapienza” di Roma, ha elaborato la teoria dei paradossi capitali dell’agricoltura industriale chimica, quella che lui stesso ha definito una partita di giro truccata.

"I concimi chimici – spiega il Professore – diversamente da quanto era accaduto in tutta la precedente storia dell’umanità, non fertilizzano più la terra ma fertilizzano direttamente la pianta.
La concimazione chimica ripetuta nel corso di decenni finisce con l’impoverire la sostanza organica nel terreno, finisce con il favorire l’accumulo di metalli pesanti, il terreno si isterilisce, diventa pesante e naturalmente la pianta vive in un habitat artificiale, questa pianta può sopravvivere solo se costantemente medicalizzata".

Piero Riccardi fa il punto della situazione: “questa della sostanza organica è la partita attorno la quale si gioca il futuro dell’agricoltura sostenibile.
La perdita di sostanza organica nei terreni è una delle più grandi fonti di produzione di gas serra perché è proprio la sostanza organica a trattenere il carbonio prodotto dalla fotosintesi delle piante.
Arare, diserbare, fertilizzare chimicamente, significa liberare di nuovo nell’aria quel carbonio. Un grammo di carbonio liberato ne produce 3,6 di CO2.
Prima dell’avvento dell’agricoltura industriale il suolo agricolo italiano conteneva in media 130 tonnellate per ettaro di carbonio, oggi meno di 70, significa che negli ultimi 50-100 anni, l’agricoltura intensiva ha prodotto 80 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, un quinto di quanta se ne produce in Italia in un anno”.

(continua)