Sul
n. 11/2016 della rivista “Ambiente & Sviluppo”, edita da IPSOA, è stato
pubblicato un mio articolo che parla del famigerato
TTIP, il Transatlantic
Trade and Investment Partnership, di cui
tanto si è sentito parlare in televisione, ma in modo fumoso.
Fumoso perché il TTIP è circondato dal mistero.
È proprio dal mistero, che parte il mio articolo, di cui voglio
riportare qualche stralcio (sono stati tagliati alcuni pezzi e la maggior parte delle note. Per la lettura dell'articolo completo, si rimanda il lettore alla rivista "Ambiente & Sviluppo", edita da IPSOA).
Il TTIP:
le ragioni (e i torti) del si e del no
“Questa gente divisa, questa storia sospesa[1]”
Gli elementi tipici della “spy
story” ci sono tutti: notizie di accordi internazionali segreti improvvisamente trapelate grazie alla
“rete”; un certo e momentaneo risalto sui media tradizionali; i “buoni” e i
“cattivi” a contendersi lo scettro della verità, contro le menzogne e le
omissioni della parte avversa; il conflitto fra il singolo individuo (o gruppi organizzati) e la “struttura sociale”.
Non si tratta di una personale sensazione, derivante anche dalla
recente, godibilissima, lettura di Purity,
di Jonathan Franzen[2]: infatti, anche se con il
passare del tempo se ne parla sempre di più in modo sporadico (per lo meno “in
TV”), il TTIP – acronimo di Transatlantic
Trade and Investment Partnership – ha tutti i crismi di una storia di spie,
buona per creare, e rafforzare, due opposte fazioni post-ideologiche, intente a
passare il loro tempo più ad idolatrare il proprio vessillo dottrinale e a distruggere
le tesi avverse che a cercare un dialogo per trovare un punto di equilibrio (e
di svolta riformista), secondo un cliché
che la politica usa ormai da molto tempo. Troppo.
E pensare che le premesse erano ben altre, almeno a parole: gli
accordi ai quali faccio riferimento, infatti, hanno improvvisamente riempito le
pagine dei giornali, e i palinsesti televisivi, fra la primavera e l’estate di
quest’anno a seguito delle notizie trapelate grazie a Greenpeace Olanda, che ha diffuso il testo degli accordi,
per “favorire la trasparenza ed innescare
un dibattito informato sul trattato”, che “minaccia di avere gravi ripercussioni per l’ambiente e la vita di più
di 800 milioni di cittadini dell’Unione europea e degli Stati Uniti[3]”.
Ma dopo questa sacrosanta
rivendicazione (“dibattito informato”)
sembra che il ricercato dialogo abbia fin da subito assunto le vesti del solito
scambio di “accuse [e scuse] senza ritorno[4]”, dell’attribuirsi (e
rinfacciarsi) vicendevolmente ogni genere di nefandezza, più o meno verosimile,
che poco interessa a chi vuole capire di cosa stiamo parlando, per potersi
formare un’opinione quantomeno fondata su dati e non su opinioni.
A ben vedere, allora, alla luce di quello che, sia pur
rapidamente, si leggerà nei prossimi capitoli, la sensazione che si tratti di una spy
story rimarrà tale: ciò di cui stiamo parlando assomiglia di più ad una
scialba telenovela di provincia.
[1] F. De André, Disamistade, in “Anime Salve”, Dischi
Ricordi, 1981
[2] J.
Franzen, Purity, Einaudi, 2016
[4] F. De André, Hotel Supramonte, in “Indiano”, BMG
Ricordi, 1996