L’azzardo morale
“Lo scopo di internet e delle tecnologie connesse
era «liberare» l'umanità dai compiti
– fabbricare cose, imparare cose, ricordare cose –
che prima davano significato alla vita
e perciò ne costituivano
l'essenza.
Ora sembrava che l'unico compito significativo fosse
l'ottimizzazione per i motori di ricerca[17]”.
Alla luce di quanto, sia pur sia pur sinteticamente, si è visto
in queste pagine, si può comprendere il significato delle parole con cui si
chiudeva l’introduzione.
Ovvero che la sensazione è
che quella relativa al TTIP sia più simile ad una telenovela di provincia, che
ad una vera e propria spy story (anche
se forse è così che ci piace immaginarla, per sopperire – almeno idealmente – alla
pochezza della scena politica di oggi), e che quanto si trova su internet,
frutto di analisi partigiane e di testi seo
oriented, non è che una parte della pura
verità, finora celatasi dietro semplici punti di vista.
Per accorgersene basta rileggere le categoriche prese di
posizione sul tema, che si trovano nella rete, e il testi segreti relativi all’agricoltura e allo sviluppo sostenibile,
intrisi:
·
di premesse;
·
di rispetto delle
reciproche differenze (che in teoria si dovrebbero in qualche modo, ed invece, livellare, uniformare);
·
di reminder;
·
di propositi di cooperare
per instaurare dialoghi fruttuosi o
per agevolare la conclusione positiva di ulteriori negoziati;
·
di tentativi di “garantire
che l'effetto di tali provvedimenti non crei inutili ostacoli agli scambi di
prodotti agricoli tra di loro e che i provvedimenti non siano più restrittivi
per gli scambi di quanto necessario per conseguire il loro obiettivo
legittimo”;
·
di riaffermazioni di principî;
·
di sforzi;
·
di promozioni;
·
di rinvii a future proposte;
·
di stucchevoli rassicurazioni (promesse?) a latere (L’“affermazione” conseguente alla preoccupazione relativa
al fatto che il TTIP potrebbe ridurre i diritti dei lavoratori e pregiudicare
il ruolo dell’OIL (“Desideriamo che il TTIP preveda
livelli di tutela elevati per i lavoratori, basati sugli strumenti dell’OIL”)
non sembra, infatti, una risposta, quanto una promessa da marinaio…).
Il tutto, naturalmente, quasi
esclusivamente attorno agli scambi (agli aspetti commerciali, insomma), con
buona pace della sostenibilità, che fa capolino
nel momento in cui si fa cenno alla necessità di adoperarsi per promuovere:
·
ulteriori negoziati, in relazione ai quali, tuttavia, non si fa
riferimento a qualità ambientali ma solo ad una più generica (e commerciale)
efficienza nella produzione alimentare (Il riferimento al fatto che, nello
stesso tempo, tale efficienza deve garantire “la gestione sostenibile delle
risorse naturali” sembra più che altro una forma di stile che un proposito, più
che un’obbligazione di risultato);
·
lo sviluppo agricolo internazionale e una maggiore sicurezza
alimentare globale, anche se non si riesce a comprendere a fondo rispetto a che
cosa, soprattutto se si considerano le azioni che le parti intendono mettere in
campo per il raggiungimento di tale obiettivo” (La promozione di solidi mercati
globali per i prodotti alimentari e per i fattori di produzione agricoli; la
“restrizione” delle misure commerciali ingiustificate che aumentano i prezzi
alimentari a livello mondiale o acuiscono la volatilità dei prezzi, in
particolare evitando l'impiego di tasse sulle esportazioni, divieti di
esportazione o restrizioni alle esportazioni dei prodotti agricoli; la
promozione e il sostegno alla ricerca e all'istruzione, allo scopo di
sviluppare nuovi prodotti agricoli innovativi e strategie che facciano fronte
alle sfide globali legate alla produzione abbondante, sicura e accessibile di
alimenti, mangimi, fibre ed energia).
Ecco, di fronte a questo panorama ci si domanda come mai
enunciazioni tanto eteree debbano essere tenute nascoste e/o spacciate per
chissà quale scoop (para)giornalistico
e/o oggetto di così sclerotiche prese di posizione.
Beninteso, non si vogliono minimizzare i potenziali pericoli che
si possono celare anche dietro a testi tanto condivisibili quanto poco
coercitivi (ed essere classificati come pro
TTIP), né gridare al complotto ad ogni piè sospinto (ed essere, al
contrario, additabile alle stregua di un NO-TTIP).
Semplicemente, ci si vuole porre delle domande, ben sapendo che
esistono tensioni positive nell’una
come nell’altra campana.
Basti pensare, a mero titolo di esempio:
-
(pro fautori del
TTIP), alla necessità e all’urgenza di cercare di uniformare la normativa
(naturalmente in senso migliorativo) di creare nuovi sbocchi per il mercato, di
alleggerire, più in generale, un sistema per certi versi anchilosato e
connotato da protezionismi a corrente alternata;
-
(pro detrattori del
trattato), alle questioni relative ai timori paventati sulla qualità del cibo e
alla tutela dell’ambiente.
Nonostante il testo sia etereo,
può preoccupare, preoccupa il fatto che le questioni sulle sostenibilità
siano tratteggiate, quando lo sono, e non invece trattate con più forza, senza
sottointesi.
A proposito di sottointesi, cosa dire del “nodo” relativo alle
controversie?
Nel testo si legge che “le parti s’impegnano ad istituire un
meccanismo efficace ed efficiente per risolvere le controversie che possono
insorgere tra le Parti stesse in merito all'interpretazione e all'applicazione
del presente accordo con l'obiettivo di pervenire, laddove possibile, a
soluzioni concordate”.
A rigor di logica si parla di controversie relative alle “parti”
che dovrebbero sottoscrivere il trattato (id
est, in mancanza di una definizione di parti, gli Stati), e quindi si fa
fatica, almeno di primo acchito, a comprendere la polemica relativa alla
possibilità per le corporation di
intentare causa ai singoli Stati, con l’effetto paradosso cui si è fatto cenno.
Ma se così fosse (se davvero le controversie oggetto del paragrafo dovessero
riguardare anche le corporation), c’è
da domandarsi perché prevedere uno strumento “altro” rispetto all’ordinaria
giustizia, per il semplice fatto che si garantirebbero tempistiche più consone:
il problema dell’eterna lentezza della giustizia non si risolve accorciando i
tempi di prescrizione, o devolvendo le controversie a giudici sulla cui terzietà
si potrebbero scrivere interi pamphlet…
A proposito, invece, di argomenti che rischiano di passare in
secondo piano, in questa diatriba settoriale (e, quindi, destrutturata e
deconstestualizzata), siamo sicuri che già oggi – mentre l’Europa è in “crisi esistenziale”
(J.P. Junker) – non si importino, ad esempio, prodotti contraffatti e/o
sofisticati da altri paesi (asiatici), in un silenzio reso ancora più totale
dall’accanimento contro uno strumento necessario, anche se necessariamente
perfettibile?
Chi scrive non condivide il “gioco delle parti” in voga in modo
generalizzato in questo periodo che prevede solo due opzioni (a favore o contro
il TTIP, secondo una logica dell’“azzardo morale”): chi scrive non è contrario
al TTIP, ma a questo TTIP, perché
frutto di una politica infantile (che insegue – ognuno per la propria strada,
secondo le proprie “idee” – una purezza irraggiungibile, che ha qualcosa di
nauseante, oltre che ottuso[18]), cui fanno da cassa di
risonanza sia una parte del web (rectius: chi utilizza il web in modo non
corretto), sia un certo “neo-giornalismo d’assalto”, autoreferenziale e
destinato alla marginalità culturale.
Prescindere dagli opposti punti di vista, spacciati per verità,
significa cercare "La" verità – che
poi dovrebbe essere niente di più, niente di meno che il Bene Comune – che “si
trova da qualche parte nella tensione fra i due estremi[19]”.
È la Politica che dovrebbe trovare questa via di mezzo, senza
cedere agli azzardi morali delle opposte fazioni.
Discutendo, anche in modo animato, ma con una prospettiva
diversa rispetto al passato.
Capendo che si discute (si dovrebbe discutere) per capire.
Non per avere ragione.
<< TTIP: molte domande e poche risposte. Parliamone.... Focus sul capitolo sullo sviluppo sostenibile
[19]
“Ed è lì che dovrebbe vivere il giornalismo, in quella tensione”. J. Franzen, Purity, cit.
<< TTIP: molte domande e poche risposte. Parliamone.... Focus sul capitolo sullo sviluppo sostenibile
[17] J.
Franzen, Purity, cit.
[18] “La stupidità scambiava se stessa per
intelligenza, mentre l’intelligenza riconosceva la propria stupidità”. J.
Franzen, Purity, cit.. Come a dire,
occorrerebbe essere consapevoli dei limiti intellettuali ed estetici
dell’approccio militante.