Le vicende Ilva ed Enel: diritto al lavoro versus diritto alla salute; il punto di ASSONIME

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La recente vicenda che vede coinvolta l’ILVA di Taranto è solo uno degli emblemi, l’ultimo in ordine cronologico, non solo del “modo” di (non) fare politica ambientale del nostro Paese, ma anche del ruolo di supplenza svolto dal giudice nella tutela dell’ambiente rispetto a forme di inquinamento (non solo) atmosferico e, infine, della passiva rassegnazione con la quale – secondo una sbagliata logica della sterile contrapposizione – i cittadini si riducono a scegliere fra diritto al lavoro e tutela della salute e della salubrità dell’ambiente
Soltanto pochi anni fa, in una bella sentenza del Tribunale di Rovigo-Sezione di Adria, il giudice – nel condannare i vertici dell’ENEL in relazione ai reati di getto pericoloso di cose (art. 674 c.p.), di danneggiamento aggravato (art. 635 c.p.) e peggioramento temporaneo delle emissioni (artt. 13, comma 5 e 25, comma 7, del DPR n. 203/88) – ha sottolineato l’incapacità del “sistema” di far fronte alla drammatica complessità dei problemi, derivanti dall’inquinamento atmosferico, inerenti la tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente. 
Un sistema che è reso ancora più complicato dalle “grandi distanze” fra gli interessi delle rilevanti entità economiche e politiche, da un lato, e quelli dei singoli cittadini dall’altro che, in un processo di tali dimensioni, rendono ancora più evidente l’incomunicabilità fra le posizioni contrapposte e “la sproporzione fra le capacità di attività degli uni e degli altri, che si muovono secondo logiche e in contesti diversi e – appunto – incomunicabili [...] Ma in questo processo la distanza e l’incomunicabilità emergono non solo fra le posizioni contrapposte ma anche all’interno delle singole posizioni astrattamente coincidenti. 
I cittadini danneggiati o preoccupati dall’attività del colosso industriale sentono quest’ultimo come lontano, a volte come nemico. Ma non minore è la distanza fra i vertici dell’industria e i suoi dirigenti e dipendenti locali, che non hanno accesso alle scelte aziendali che produrranno effetti nella realtà locale né di fatto riescono a gestire i risvolti non strettamente tecnici delle vicende. 
Una volta superata la formale unitarietà della difesa (della difesa appunto di quella entità indistinta che nel processo è chiamato ENEL) la posizione dei direttori di centrale è sembrata più che mai diversa e separata da quella degli amministratori. Dall’altra parte le istituzioni (enti locali, associazioni private ecc.) che avrebbero dovuto rappresentare e sostenere negli anni e nel confronto con ENEL i cittadini – istituzioni che pure sono state in gran parte presenti nel processo costituendosi parte civile – nel corso della vicenda hanno più volte dimostrato inerzia, timore, incapacità: tanto che la loro passività oggettivamente ha favorito gli interessi contrapposti a quelli dei cittadini che dovevano rappresentare”. 
Tale mancanza di dialogo è suggellata dall’amara constatazione “di come la perdurante accettazione sociale, politica ed economica di grandi siti inquinati in ragione della salvaguardia del posto di lavoro sia stata ingannevole e si sia svelata, nel tempo, come un compromesso sbagliato […] ed abbia distorto la realtà creando una situazione di grave connivenza tra controllore e controllato, quasi una perversa simbiosi, tale da allentare qualsiasi forma efficiente di monitoraggio ambientale”. Il perdurante caos normativo e l’obsolescenza dei suoi strumenti, l’assoluta incomunicabilità fra posizioni contrapposte, unite alla mancanza di una seria politica energetica, hanno, quindi, creato un clima di assoluta incertezza, cui il Giudice tenta di porre rimedio “come può”, con gli strumenti a sua disposizione.
A Taranto il procedimento è appena iniziato, ma già si intravedono i sintomi dello stesso modus cogitandi… Come cercare, allora, di far convivere due esigenze contrapposte e in apparenza divergenti come quella della tutela della salute versus del posto del lavoro – dietro la quale si cela quella della libertà economica a priori – dall’altro? 
A distanza di quasi un anno dall’entrata in vigore del nuovo sistema, ASSONIME o Associazione fra le Società italiane per Azioni, con la circolare n. 15 del 28 maggio 2012, ha “fatto il punto” della situazione, senza lesinare critiche al “sistema” introdotto dopo quasi due lustri di colpevole ritardo. L’Associazione ha ritenuto necessario verificare il grado di attuazione della direttiva 2009/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente – che richiedeva agli Stati Membri di prevedere anche la responsabilità delle persone giuridiche, quando gli illeciti vengono commessi con dolo o grave negligenza – e quale sia, in ultima analisi, l’impatto che quest’ulteriore estensione della responsabilità da reato degli enti ha sull’organizzazione delle società interessate.
Forti (ed inevitabili) le critiche mossa dall’Associazione inter alia alla scelta dei criteri volti a selezionare i reati presupposto (scelta minimalista e nello stesso tempo eccessiva – sottolinea l’ASSONIME – perché “la legge delega, in aderenza alle direttive comunitarie che ha inteso recepire, aveva selezionato come rilevanti per la responsabilità delle persone giuridiche reati correlati ad effettive situazioni di danno o di pericolo”) e al sistema sanzionatorio.
Il testo completo dell’articolo di Andrea QuarantaAssonime critica sull’impostazione dei reati ambientali” è stato pubblicato mercoledì 29 agosto 2012 su “Il quotidiano online – Professionalità quotidiana” della casa editrice Ipsoa.