Non si può amare a distanza,restando fuori della mischia,senza sporcarsi le mani,ma soprattutto non si può amaresenza condividere
Don Luigi Di Liegro
Non è stato facile trovare un titolo a questo post, scritto, come sfogo, una notte di fine estate, nel vortice di una delle “mille maree del bene e del male che inondano e prosciugano la terra”…
Un momento di riflessione, sullo sfondo raccapricciante del nulla che ogni giorno viene distillato da “mani sapienti”, propinato ad uso e consumo da chi si basa “sulla vostra apatia, sulla vostra voluta ignoranza”, e prepara “strategie su di essa, calcolando fino a quando possono farsa franca su di essa”.
Vi ricordate cosa diceva Robert Redford nello splendido film “Leoni per agnelli” allo studente che lo contestava e criticava la “gestione” delle scelte dei due soldati americani partiti volontari per l’Afghanistan?
E lo scoramento attonito dello stesso studente, nel suo momento di riflessione, che coincide con la fine del film, quando, di fronte al telegiornale la cui attenzione è concentrata sui pettegolezzi relativi all’ennesima capricciosa top model ripensa al discorso sull’apatia, leggendo le ovattate “segnalazioni” in sovraimpressione, che annunciavano la morte dei due soldati?
Il tutto, nella morte collettiva di chi non si accorge di tutto questo scempio: un dettaglio insignificante in un mondo che vive e si autoalimenta di nulla…
Alla domanda “di cosa ha paura”? Fabrizio De Andrè rispondeva
"Sicuramente della morte, che se mi darà il tempo di accorgermene,mi farà provare la mia buona dose di paura...Ma soprattutto dello scarso attaccamento alla vita che vedo in molti miei simili,che si ammazzano per cose sicuramente più futili del valore della vita.Io ho paura di quello che non capisco, e questo proprio non mi riesce di capirlo"
E così qui da noi, mentre impazzano i consueti tormentoni legati alla commistione vita privata-pubblica del premier (“de che?”, direbbero a Roma), che tutto hanno a che fare tranne che con le sorti e il futuro del nostro martoriato Paese; mentre il depistaggio informativo permette a chi detiene il potere di dormire sonni tranquilli; mentre il partito democratico – in perenne crisi d’identità, e in continuo disaccordo con se stesso – sembra crogiolarsi in un’agonia autoreferenziale e senza soluzione; mentre le gerarchie ecclesiastiche continuano ad entrare nel merito di qualsiasi vicenda politica-sociale-economica-culturale-sessuale, per dettare – sentendosi come Gesù nel tempio, o non potendo (più?) dare il cattivo esempio, fate vobis – le analitiche linee guida cui noi tutti dovremmo diligentemente (o ipocritamente, fate vobis) attenerci; ma, soprattutto, mentre il silenzio assordante e apatico sembra essere l’unica risposta che il cittadino medio è in grado di (non) dare, si compiono misfatti (anche) ambientali di cui però nessuno parla.
Salvo i soliti rari casi, impossibili da nascondere, e comunque comunicati in modo distratto, ovattato e così intriso di ideologia da vanificare l’intento (?) informativo.
Da nord a sud, ci sono veramente pochi angoli incontaminati, frutto di pessime gestioni clientelari dei rifiuti, di farraginose bonifiche che stentano ad iniziare (figuriamoci a proseguire…), della mancanza di depuratori, di una folle politica energetica, di obsolete ed inadeguate tecnologie ambientali, di estenuanti iter burocratici per la realizzazione degli impianti per la produzione di energia rinnovabile, di velleitari veti incrociati destinati a paludare ogni flebile tentativo di costruzione di un futuro all’insegna della sostenibilità.
Nella Puglia “all’avanguardia energetica” gli “investimenti” sugli inceneritori si accompagnano a numerosi sequestri giudiziari, a violazioni di tipo paesaggistico, alla pessima qualità degli impianti progettati, ad omissioni nella valutazione degli impatti ambientali; mentre il Salento rischia di diventare una nuova Napoli, e a Brindisi l’impianto Enel ha il primato italiano (ottavo posto a livello europeo) di emissioni di CO2. Per non parlare dell’ILVA di Taranto. O della zona ex Enichem a Manfredonia.
In Toscana sono numerosi i SIN, i siti di interesse nazionale: da Orbetello a Massa, da Livorno a Piombino, le concentrazioni di alcune sostanze pericolose sono elevate, i rischi per la salute enormi, e le attese infinite.
Ai “veleni per sempre” toscani, come sono stati definiti, fa compagnia la “valle dei tumori” di Trento, dove si favoleggia su un fantomatico recupero ambientale e la costruzione di altalene laddove ora ci sono i resti di un dinosauro residuato dal fascismo: una sorta di via Gluck al contrario, cui nessuno crede più...
Nella valle del Sacco (Lazio) la contaminazione delle acque ha raggiunto livelli “pazzeschi”, tanto da farne una delle zone più inquinate del mondo occidentale.
“Gli inquinanti, quando va bene, vengono nascosti sotto il tappeto nemmeno fossero polvere, o separati dalle zone circostanti con muri speciali, come si progettava per Portoscuso, in Sardegna”, sottolinea Emiliano Fittipaldi in un documentato articolo sull’Espresso.
Per quanto riguarda la Campania sono emblematiche le parole di Raffaele Del Giudice, che all’affermazione (detta a mo’ di giustificazione-scaricabarile): “È la progettualità che manca…” risponde “E' 'a dignità che nun tenimm”!
In Piemonte, già tormentato dalle vicende di Spinetta Marengo, dell’Acna di Cengio, di Pieve Vergonte, dell’Eternit di Casale Monferrato, tanto per citarne solo alcune, di recente il procuratore Guariniello ha aperto un’inchiesta, in seguito alla morte di 27 professori nel giro di sei anni, deceduti per mesotelioma pleurico o per asbestosi.
In Sicilia Gela è una delle aree più inquinate al mondo: il solito Emiliano Fittipaldi, citando Sciascia ci racconta del disastro sanitario ed ambientale che coinvolge la città siciliana. Con livelli di arsenico superiori di 1600 volte il tasso limite, c’è ben poco da aggiungere.
A Priolo, invece, oltre alle note vicende legate al polo petrolchimico, spuntano in rete raccapriccianti dossier: quello sul “Piatto del giorno: pesce al veleno”, di Reverse Information è solo l’ultimo in ordine cronologico.
A questo frammentario quadro – sul quale ora non mi dilungo per motivi di tempo, ma che riprenderò non appena gli impegni di lavoro me lo consentiranno – fa da contraltare una “politica che è solo far carriera”, il “perbenismo interessato” del politically correct, la “dignità fatta di vuoto” (versione pop della “rassegnazione” di Biutiful cauntri).
E “l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai con il torto”, segno dei tempi in cui l’unico modo di farsi sentire è quello di Tarzan: urlare e non ascoltare, a prescindere.
Una politica dei soliti noti che, ad esempio, trascura con non-calanche le istanze innovatrici in campo energetico, e rimane sorda a quelle giuridico-sanzionatorie, trasformando lo strumento principe nella difesa contro gli abusi ambientali in sterili grida manzoniane.
Schiava di questa abitudine l’’Italia è destinata a morire lentamente
Sempre per citare Faber, occorrono tante “lingue allenate a battere il tamburo”, e tante voci potenti, di quelle “adatte per il vaffanculo”.
Perchè amare: una persona, un Paese, un animale, l'ambiente, tutto, significa anche questo. Saper dire quando è ora di finirla.
Per ricominciare.
Per ricominciare.