La Terra che verrà nelle previsioni di Legambiente: vediamo cosa è successo...

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Oggi ho deciso di rileggere questo post - pubblicato su questo blog ormai 5 anni fa (correva l'anno 2008 e siamo ormai da pochi mesi nel 2013). Le "previsioni" seguenti sono tratte da un articolo comparso sul Corriere della Sera  il 7 aprile 2008, dal titolo “2108: "La Terra che verrà - In un dossier di Legambiente le previsioni per il futuro del pianeta. All'insegna dell'ottimismo”.Come sarà la Terra tra cento anni? Difficile rispondere, ma non impossibile. Ci prova appunto Legambiente, in occasione dell'Earth Day festeggiato il 22 aprile 2008,  in un dossier alla cui base c'è la convinzione ottimistica che lo straordinario sviluppo delle tecnologie aiuterà gli esseri umani nella difficile battaglia per la salvaguardia del pianeta.

"DOMOTICA
Le rivoluzioni (a volte) cominciano dal piccolo: ecco allora che la prima novità riguarda la casa, dotata di strumentazioni all'avanguardia che permettono il massimo del risparmio energetico: elettrodomestici ad altissima efficienza, bio-edilizia passiva che rende minima la necessità di climatizzare artificialmente gli ambienti.E soprattutto la spazzatura (argomento caldo di questi tempi): nel mondo immaginato da Pietro Cambi, autore del dossier, ogni famiglia differenzia i materiali in appositi contenitori che compattano gli oggetti.
CITTA' PICCOLE E VERDI

Il futuro delle metropoli secondo le previsioni di Legambiente è più che grigio. Le grandi città sono destinate a scomparire, tranne le capitali e i centri finanziari. I grattacieli in gran parte saranno demoliti, tranne quelli di alto valore estetico, così come la maggior parte degli edifici in cemento armato. Le nuove case saranno piccole, costruite in polimeri e in buona misura autosufficienti sotto il profilo energetico.
MEZZI DI TRASPORTO

Nei centri abitati car sharing, tram e bicicletta la faranno da padrone. Protagonisti del trasporto anche i nuovi veicoli modulari, modificabili facilmente a seconda delle necessità e dotati di pilota automatico».

Automobili e altri mezzi personali saranno comunque mossi da motori elettrici, così come le navi. I grandi spostamenti avverranno comunque prevalentemente su rotaia.

AGRICOLTURA
Dopo una profonda crisi, secondo Legambiente nel 2060 l'agricoltura riscoprirà criteri del passato e attirerà manodopera anche dal terziario. Il consumo di carne diminuirà e aumenterà quello di frutta a verdura biologici. Secondo il dossier, per quel periodo dovrebbe essere anche tramontata la globalizzazione, le filiere saranno corte e ci sarà un forte legame fra consumi e stagionalità dei prodotti della terra.


ENERGIA
L’Italia, secondo le previsioni del dossier, dovrebbe essere, insieme all'Islanda e alla Nuova Zelanda, uno dei Paesi a emissioni zero per la produzione di energia, grazie a un mix di eolico, geotermico, idroelettrico e solare".


Sembrano passati molto più che 5 anni: non vi è alcun cenno alla crisi economica che ha colpito metà del Pianeta, e termini che - allora - sembravano avveniristici come car sharing e bio - edilizia, oggi sono entrati nel linguaggio comune. Per quanto riguarda il futuro delle metropoli, oggi non si sostiene più che scompariranno, ma che certamente si trasformeranno, chi prima chi dopo, in smart cities: città rese intelligenti dalla tecnologia che interviene per snellire gli spostamenti di esseri umani, merci e informazioni.
E' vero che la tecnologia ci aiuta a salvaguardare il Pianeta, ma per far fronte alla crisi economica ciò che maggiormente utilizziamo è il buon senso (filiere corte, consumi più stagionali e meno globali) che, evidentemente, avevamo smarrito...


Impatto ambientale: quando è “significativo”?

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VAS VIA e comportano due diverse valutazioni sugli impatti ambientali (che devono essere significativi) che talune opere possono avere sull'ambiente.

Com’è noto la normativa ambientale si caratterizza per il suo essere scoordinata, emergenziale, difficile da interpretare e – quando si riesce a capire quali sono poteri che spettano alle “autorità competenti” nei diversi steps che caratterizzano i vari procedimenti autorizzatori, e con quali limiti possono essere esercitati – da applicare.

La normativa ambientale – rectius: tutta la normativa, ma in particolare quella ambientale, per le sue ovvie ripercussioni sulla salute dei cittadini e sulla salubrità dell’ambiente – dovrebbe caratterizzarsi, invece, per la sua lungimirante visione, volta a cercare (e trovare nel concreto) un equilibrio fra le diverse esigenze (in primis, quelle di tutela delle risorse naturali e quelle economiche) che ruotano intorno alle scelte ambientali.

Nell’ottica ex ante che dovrebbe caratterizzare la legislazione ambientale, un ruolo di primaria importanza è rivestito dalle norme sul riparto di competenze e da quelle sulla VAS e sulla VIA.

La VAS, valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale.

La VIA, valutazione d’impatto ambientale, invece, è quel procedimento attraverso il quale viene effettuata una valutazione ambientale di piani e programmi che possono avere un impatto significativo sull’ambiente, ai fini dell’individuazione delle soluzioni più idonee per assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile.

In entrambe la valutazioni, il TUA fa riferimento non solo al possibile impatto significativo che piani e programmi possono avere sull’ambiente, ma anche ai possibili effetti significativi sull’ambiente “che non siano stati precedentemente considerati dagli strumenti normativamente sovraordinati”, che determinano la necessità della verifica di assoggettabilità.

Ma cosa sono, in concreto, i possibili impatti o effetti sull’ambiente di cui parla la normativa e, soprattutto, di quali margini discrezionali godono le autorità competenti nel valutare, nel caso concreto, la loro significatività?

In mancanza di un’univoca definizione normativa, la giurisprudenza ha contribuito a spiegare il concetto di significatività: nell’articolo “Impatto ambientale: quando è significativo?”, pubblicato su “Il Quotidiano IPSOA. Professionalità quotidiana” è contenuta un’analisi di alcune sentenze con le quali la giurisprudenza, con la sua paziente opera di interpretazione “dinamica” del dato normativo (a volte mancante), ha contribuito a spiegare, definendolo con maggiore precisione nel corso dei mesi, il concetto di significatività.




La necessaria ponderazione degli interessi ambientali ed economici nella localizzazione degli IAFR - Impianti Alimentati da Fonti Rinnovabili.

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Nella localizzazione di impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili (fra le quali rientrano anche i rifiuti, a particolari condizioni), di quali interessi bisogna tener conto?

In Italia, dopo anni di estenuanti diatribe giuridiche riguardanti la presunta prevalenza dell’interesse ambientale su quello economico, e viceversa, che ha visto in dottrina, ma anche in giurisprudenza, contrapporsi da un lato i sostenitori di una più spinta difesa del paesaggio e, dall’altro, i fautori dello sviluppo di IAFR, con il tempo si è andata affermando una costante giurisprudenza volta a porre l’attenzione necessaria al corretto bilanciamento, in concreto, dei diversi interessi in gioco. 

Di recente, tre sentenze del TAR dell’Abruzzo – nella sua duplice sede de L’Aquila e di Pescara – sono intervenute nuovamente in materia di localizzazione di IAFR, evidenziando una “contrapposizione di ritorno” che, di sicuro, non giova l’interprete ma, soprattutto, nuoce agli operatori del settore che, per fattori 
  • del tutto imponderabili (la “fortuna”, o meno, di soggiacere alla giurisdizione di un tribunale più o meno “equilibrato”) e 
  • inopinatamente discrezionali (senza alcuna motivazione nel/del caso concreto), 
rischiano di subire un trattamento indiscriminatamente differente, in relazione a fattispecie analoghe. 

Collocandosi sulla scia della consolidata giurisprudenza, il TAR de L’Aquila ha affermato che sono illegittimi gli atti amministrativi che vietano la localizzazione di uno IAFR in zone tout court classificate agricole dai vigenti piani urbanistici e, nello stesso tempo, la generale previsione di compatibilità con la destinazione agricola non importa comunque la possibilità di indiscriminata localizzazione.
Inoltre, è illegittimo il provvedimento con il quale la Regione nega l’avvio del procedimento di autorizzazione unica sulla base della considerazione che l’impianto progettato è in contrasto con il divieto di attività industriali in zona agricola: alla Regione è precluso procedere ad automatici meccanismi preclusivi invocando una destinazione urbanistica comunque non incompatibile con la realizzazione di opere che – una volta debitamente autorizzate – comunque si caratterizzano per essere di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti. 

Il TAR di Pescara, invece, ha innanzitutto richiamato “a proprio uso e consumo” le linee guida regionali in materia di localizzazione degli IAFR, che hanno dichiarato “espressamente inidonee le zone interne e anche esterne dei parchi nazionali e regionali, oltre che le riserve naturali regionali e nazionali”.

Sulla scia di un'assolutistica  presa di posizione - che potete approfondire leggendo l'articolo "Localizzazione degli IAFR: la necessaria ponderazione degli interessi ambientali ed economici", pubblicata su "Il quotidiano IPSOA" - il TAR di Pescara ha apoditticamente affermato che
“la gerarchia dei valori delineata a livello costituzionale comporta la prevalenza dell'interesse ambientale rispetto all'interesse economico, pur rilevante”, 
mettendo di fatto al bando qualsiasi altro tipo di considerazione, e pretermettendo ogni analisi del caso concreto.
A “giustificazione” di tale affermazione non vale evidenziare che l’area sulla quale si sarebbe dovuto realizzare il progettato intervento era destinata a verde agricolo e, sia pure al di fuori dei confini di una riserva naturale, ricadeva tuttavia all'interno della fascia di protezione esterna della riserva medesima.


Le PMI e le imprese individuali nel DLGS 231/01: esiste un modello "universale"?

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Le PMI (e le imprese individuali) sono molto meno strutturate delle grandi imprese, che per dimensioni ed organizzazione sono (teoricamente) in grado di dedicare maggiori risorse (umane ed economiche) alla pianificazione e alla progettazione di un modello ex DLGS n. 231/01; spesso, inoltre, gioca un ruolo fondamentale la considerazione che l’adozione di un MOG consente solo di ridurre (senza azzerarlo), il rischio di commissione di reati, essendo in ogni caso lasciato molto spazio alla discrezionalità del giudice, in sede di valutazione della responsabilità dell’ente.

Ragionamento che contiene in nuce aspetti pericolosi (per la responsabilità dell’ente), che non vengono tuttavia considerati in sede di decisione se adottare, o meno, un modello di organizzazione e gestione ex 231.

Ragionamento che, tuttavia, e sia pure in modo non corretto, è in qualche modo reso giustificabile (stante la non obbligatorietà della disciplina) dal nostro legislatore, che con le continue modifiche politico-normative, non offre certezze giuridiche e, anzi, crea un polverone pratico-applicativo che di fatto finisce con il “legittimare” le aziende a non agire, contando sulla sostanziale inoperatività del sistema sanzionatorio…

Esiste un modello ex 231/01 universale che le PMI possono adottare?

In tutte le occasioni in cui ho avuto modo di parlare di diritto dell’ambiente e dell’energia, ho parlato spesso di “molteplici sostenibilità”: lo sviluppo non può che essere sostenibile, non solo per motivi etico-ambientali, ma perché nel mondo globalizzato le molteplici sostenibilità (ambientale, economica, finanziaria, sociale, culturale, giuridica …) sono fortemente interconnesse fra di loro.
Per questo motivo, a livello politico-normativo non è ipotizzabile continuare ad annunciare semplificazioni (delle semplificazioni) decontestualizzate, senza avere un’idea dell’obiettivo che si vuole raggiungere, e senza certezza del diritto: su questa strada, infatti, le molteplici sostenibilità continueranno ad essere un flebile miraggio.
Fra le molteplici sostenibilità, quella culturale rappresenta la base logica per garantire stabilità ed autorevolezza alle altre: solo attraverso la comprensione di un’accorta programmazione preventiva, infatti, è possibile immaginare, prima, e realizzare, successivamente, un futuro sostenibile dal punto di vista politico, giuridico, economico, finanziario e quindi anche latu sensu sociale.

Questa premessa di carattere generale assume un’importanza maggiore nel settore ambientale, per:
  • le strette correlazioni che esistono fra la tutela della salute dell’uomo e della salubrità ambientale, da un lato, e del diritto al lavoro, dall’altro, come la vicenda dell’ILVA dimostra; 
  • limitare al massimo, di conseguenza, gli effetti negativi, economici e sociali, che si verificano sempre in tutti i casi in cui (troppo spesso), magari anche in buona fede, si è pensato di poter prescindere dal contesto globale nel quale si operava, relegando la prevenzione a mero cavillo burocratico considerato inutile ed eccessivamente oneroso. 
Nelle PMI, in particolare, questo aspetto era (ed è, tutt’ora) percepito come una spada di Damocle, “un ulteriore ingabbiamento delle funzioni aziendali, senza contare il costo” (DE GENNARO): più nello specifico, di fronte alla possibilità/necessità di adottare modelli organizzativi e di gestione ex DLGS n. 231/01 – che rientrano a pieno titolo nel concetto pratico di sostenibilità culturale, collante di tutte le altre – il proprietario/amministratore immediatamente nega la necessità di attuarli presso la propria struttura, in quanto tutto è centralizzato su di lui (firma dei contratti d’acquisto, firma del pagamento, firma dei contratti di vendita etc), e quindi è da escludere la possibilità di commettere reati…

Tornando alla domanda di poc'anzi ("esiste un modello ex 231/01 universale che le PMI possono adottare?"), una prima risposta è contenuta nell’articolo “Le PMI e il D.Lgs. n. 231/2001: est modus in rebus”, pubblicato su “Il Quotidiano IPSOA. Professionalità quotidiana”.

Nelle pagine dello stesso quotidiano online potrete trovare anche un approfondimento circa la possibilità di ritenere responsabili ex DLgs n. 231/01 le imprese individuali.

Con la recente sentenza n. 30085/12, infatti, la sesta sezione della Cassazione ribadisce, sia pure incidentalmente, l’inapplicabilità della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche alle imprese individuali, sconfessando il revirement giurisprudenziale operato dalla terza sezione della stessa Corte, che solo un anno aveva sostenuto, al contrario, la piena applicabilità del DLGS n. 231/01 anche alle imprese individuali.

Esiste un “modus in rebus” in grado di armonizzare, in concreto, contrapposizioni tanto assertive quanto “inconciliabili”?