Le PMI (e le imprese individuali) sono molto meno strutturate delle grandi imprese, che per dimensioni ed organizzazione sono (teoricamente) in grado di dedicare maggiori risorse (umane ed economiche) alla pianificazione e alla progettazione di un modello ex DLGS n. 231/01; spesso, inoltre, gioca un ruolo fondamentale la considerazione che l’adozione di un MOG consente solo di ridurre (senza azzerarlo), il rischio di commissione di reati, essendo in ogni caso lasciato molto spazio alla discrezionalità del giudice, in sede di valutazione della responsabilità dell’ente.
Ragionamento che contiene in nuce aspetti pericolosi (per la responsabilità dell’ente), che non vengono tuttavia considerati in sede di decisione se adottare, o meno, un modello di organizzazione e gestione ex 231.
Ragionamento che, tuttavia, e sia pure in modo non corretto, è in qualche modo reso giustificabile (stante la non obbligatorietà della disciplina) dal nostro legislatore, che con le continue modifiche politico-normative, non offre certezze giuridiche e, anzi, crea un polverone pratico-applicativo che di fatto finisce con il “legittimare” le aziende a non agire, contando sulla sostanziale inoperatività del sistema sanzionatorio…
Esiste un modello ex 231/01 universale che le PMI possono adottare?
In tutte le occasioni in cui ho avuto modo di parlare di diritto dell’ambiente e dell’energia, ho parlato spesso di “molteplici sostenibilità”: lo sviluppo non può che essere sostenibile, non solo per motivi etico-ambientali, ma perché nel mondo globalizzato le molteplici sostenibilità (ambientale, economica, finanziaria, sociale, culturale, giuridica …) sono fortemente interconnesse fra di loro.
Per questo motivo, a livello politico-normativo non è ipotizzabile continuare ad annunciare semplificazioni (delle semplificazioni) decontestualizzate, senza avere un’idea dell’obiettivo che si vuole raggiungere, e senza certezza del diritto: su questa strada, infatti, le molteplici sostenibilità continueranno ad essere un flebile miraggio.
Fra le molteplici sostenibilità, quella culturale rappresenta la base logica per garantire stabilità ed autorevolezza alle altre: solo attraverso la comprensione di un’accorta programmazione preventiva, infatti, è possibile immaginare, prima, e realizzare, successivamente, un futuro sostenibile dal punto di vista politico, giuridico, economico, finanziario e quindi anche latu sensu sociale.
Questa premessa di carattere generale assume un’importanza maggiore nel settore ambientale, per:
- le strette correlazioni che esistono fra la tutela della salute dell’uomo e della salubrità ambientale, da un lato, e del diritto al lavoro, dall’altro, come la vicenda dell’ILVA dimostra;
- limitare al massimo, di conseguenza, gli effetti negativi, economici e sociali, che si verificano sempre in tutti i casi in cui (troppo spesso), magari anche in buona fede, si è pensato di poter prescindere dal contesto globale nel quale si operava, relegando la prevenzione a mero cavillo burocratico considerato inutile ed eccessivamente oneroso.
Tornando alla domanda di poc'anzi ("esiste un modello ex 231/01 universale che le PMI possono adottare?"), una prima risposta è contenuta nell’articolo “Le PMI e il D.Lgs. n. 231/2001: est modus in rebus”, pubblicato su “Il Quotidiano IPSOA. Professionalità quotidiana”.
Nelle pagine dello stesso quotidiano online potrete trovare anche un approfondimento circa la possibilità di ritenere responsabili ex DLgs n. 231/01 le imprese individuali.
Con la recente sentenza n. 30085/12, infatti, la sesta sezione della Cassazione ribadisce, sia pure incidentalmente, l’inapplicabilità della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche alle imprese individuali, sconfessando il revirement giurisprudenziale operato dalla terza sezione della stessa Corte, che solo un anno aveva sostenuto, al contrario, la piena applicabilità del DLGS n. 231/01 anche alle imprese individuali.
Esiste un “modus in rebus” in grado di armonizzare, in concreto, contrapposizioni tanto assertive quanto “inconciliabili”?