Fotovoltaico e denuncia di inizio attività

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Coerenza e semplificazione (per tutti!) in materia di fonti di energia rinnovabile

È difficile spiegare la frustrazione che si prova di fronte alla costante volontà di complicare le cose, il mestiere più diffuso e redditizio in Italia.

Nel settore delle fonti rinnovabili, il nostro Paese infatti, nonostante le infinite potenzialità, si bea trastullandosi in rinvii, rimpalli di competenze, istituzioni di nuove competenze (da non riconoscere appena formalizzate), di estenuanti perdite di tempo, dovute al dedalo giuridico nostrano, a sua volta fatto di tanti principi, cui non fanno seguito riforme serie e rigorose. Questo è lo scenario di  tante lotte dei cittadini contro l’ignoranza amministrativa.

Come spesso capita, è il giudice che, nel nostro Paese, cerca di mettere un po’ di ordine, di dare un po’ di coerenza al caos normativo. Per fortuna, infatti, il giudice non è sempre come quello nano descritto da De Andrè in una sua famosa canzone.
Purtroppo, da noi, la parte del nano – “carogna di sicuro, perché ha il cuore troppo vicino al” …..“lì!”, come direbbe la Marchesini nei panni della sessuologa – è recitato in ben altri palazzi, non giudiziari…
E il giudice, in questo caso, è rappresentato dal TAR di Lecce sentenza n. 1064/2010, gratuitamente scaricabile dal sito di Natura Giuridica previa semplice registrazione, che ha cercato di spiegare in modo così semplice da risultare persino banale come si dovrebbe procedere, meglio e più speditamente, specie quando ci sono in ballo interessi così importanti come il diritto alla salute e ad un ambiente salubre.
Vediamo di seguire sinteticamente, e con altrettanto semplice rigore, il pensiero equilibrato del TAR di Lecce.
Equilibrato perché tiene conto di tutti gli interessi in gioco.
Cominciamo dal lato Pubblica Amministrazione: un soggetto a volte ingiustamente subissato di critiche, ma a volte anche capriccioso e inutilmente conservatore.
In materia di denuncia di inizio attività per impianti fotovoltaici, alla Pubblica amministrazione, per ragioni di buon andamento, deve essere assegnato, ai fini del controllo dei requisiti di legge, un termine pieno, e non “monco”.
Detto in altri termini: all’Amministrazione non può e non deve essere concesso un termine di fatto inferiore a trenta giorni, come quello che alla stessa sarebbe inevitabilmente riservato se, alla scadenza indicata dalla legge, si dovesse procedere sia alla istruttoria della pratica ed alla relativa (eventuale) decisione inibitoria, sia alla materiale notificazione della predetta decisione.
Date a Cesare ciò che è di Cesare.

Quindi, per tornare al caso concreto analizzato dal TAR di Lecce (1064/2010) è sufficiente che nel termine perentorio di trenta giorni l’ordine sia stato adottato e, tutt’al più, inviato, mentre la notifica, ossia la materiale conoscenza dell’ordine da parte del privato istante, può ragionevolmente avvenire, in considerazione degli ordinari tempi tecnici, anche successivamente a tale termine.
Si tratta, in definitiva, di un’impostazione coerente con quanto stabilito dalla Corte costituzionale a proposito della notifica di atti giudiziari, ove si è affermato che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario anziché a quella, successiva, di ricezione dell’atto da parte del destinatario antecedente.
Sarebbe infatti palesemente irragionevole che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di un’attività riferibile non al notificante, ma a soggetti diversi (l’ufficiale giudiziario, l’agente postale oppure il messo comunale, come nella specie), e perciò del tutto estranea alla sfera di disponibilità del primo).

D’altro canto – e qui veniamo al lato operatori del settore – la denuncia di inizio attività nasce da esigenze di semplificazione e di liberalizzazione del sistema: in particolare, nel settore urbanistico tale esigenza si manifesta per lo più in ordine agli interventi (c.d. minori) di non rilevante impatto urbanistico.
Per quanto riguarda poi gli impianti di energia rinnovabile, tale esigenza riveste natura ancor più accentuata se solo si tiene in debito conto che:
• da un lato, gli stessi sono considerati dalla normativa nazionale come opere di interesse pubblico e,
• dall’altro lato, la normativa comunitaria di riferimento, nell’ottica di una progressiva liberalizzazione del mercato dell’energia, esprime un netto “favor” per la produzione di energia derivante da fonti rinnovabili e per la realizzazione dei relativi impianti, imponendo agli stati membri di rimuovere ogni ostacolo normativo o di altro tipo (es. amministrativo, come nella specie) all’aumento della produzione di elettricità di questo tipo.

Atteso l’obiettivo di massima semplificazione perseguito sia dalla DIA edilizia in sé, sia – e soprattutto – dalla normativa in materia di impianti di energia rinnovabile, quindi, ogni tipo di adempimento istruttorio posto a carico del privato deve essere soggetto ad un criterio di stretta interpretazione ed applicazione.
Pertanto, poiché l’art. 23 del testo unico edilizia richiede che tali interventi, ai fini della loro ammissibilità, siano (unicamente) conformi agli strumenti urbanistici ed edilizi, alle norme di sicurezza ed a quelle di carattere igienico-sanitario, si deve ritenere che fuori da tali ipotesi la PA procedente non possa prospettare condizioni ostative alla realizzazione dell’intervento ulteriori o meglio afferenti ad interessi non rientranti tra quelli eminentemente ascritti alla sua sfera di competenza (comunale).

Nel caso analizzato dal TAR di Lecce nella sentenza 1064/2010, il Collegio ha dato ragione alla ricorrente, che sottolineava l’illegittimità della sospensione, da parte del Comune, del tiolo abilitativo, sulla mancanza di elementi istruttori non riconducibili a quelle attestazioni documentali che, ai sensi del predetto art. 23 TUED, debbono necessariamente corredare la denunzia di inizio attività.

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