Pillole di Giurisprudenza: la nozione di rifiuto interpretata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee (4). I «LUWA-bottoms» e i trucioli

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L’orientamento della Corte


Prima di addentrarsi nell’interpretazione delle normativa, la C.G.C.E. effettua una doverosa premessa: l'ambito d'applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi» e, conformemente alla giurisprudenza della Corte, tale termine va interpretato tenendo conto delle finalità della direttiva, la quale precisa che «ogni regolamento in materia di smaltimento dei rifiuti deve essenzialmente mirare alla protezione della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e del deposito dei rifiuti».


Del resto, il trattato CE stabilisce che la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata sui principi, in particolare, della precauzione e dell'azione preventiva: la nozione di rifiuto, pertanto, non può essere interpretata in senso restrittivo.


Effettuata questa doverosa premessa, la Corte di Giustizia, in relazione alla prima domanda fa il seguente ragionamento:


1. dal tenore letterale della definizione di rifiuto si desume che l'ambito d'applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi»;


2. tale termine ricomprende lo smaltimento e il recupero di una sostanza o di un oggetto (allegati II A e II B della direttiva);


3. come precisato dalla nota che precede le diverse categorie elencate, appunto, negli allegati II A e II B, questi ultimi sono volti a ricapitolare le operazioni di smaltimento e di recupero così come esse sono effettuate in pratica;


4. tuttavia, dal fatto che nei detti allegati vengano descritti metodi di smaltimento o di recupero dei rifiuti non consegue necessariamente che qualunque sostanza trattata con uno di tali metodi debba essere considerata un rifiuto: infatti, nonostante le descrizioni di taluni dei metodi facciano riferimento esplicito a rifiuti, altre sono invece formulate in termini più astratti, potendo quindi essere applicate a materie prime che non sono rifiuti.


Si deve pertanto risolvere la prima questione sollevata nelle due cause nel senso che dal semplice fatto che su una sostanza come i LUWA-bottoms o i trucioli di legno venga eseguita un'operazione menzionata nell'allegato II B della direttiva non discende che l'operazione consiste nel disfarsene e che pertanto la detta sostanza va considerata un rifiuto ai sensi della direttiva.


In relazione alle tre parti in cui è divisa la seconda questione, la Corte di Giustizia si è pronunciata nel seguente modo:


A) le modalità d'uso di una sostanza


In estrema sintesi, le società ricorrenti ritenevano che:

- il fatto che una sostanza venga recuperata in modo compatibile con le esigenze di tutela ambientale e senza subire trasformazioni radicali fosse un elemento importante per dimostrare che la detta sostanza non è un rifiuto;


- le sostanze destinate ad essere utilizzate in un processo produttivo identico
o analogo a quello cui sono sottoposte le materie prime primarie non dovessero in nessun caso essere considerate come rifiuti, purché l'utilizzo avveniva in modo compatibile con le esigenze di tutela ambientale, cioè, rispetto all'uso nelle materie prime primarie, l'uso della sostanza di cui trattasi non abbia maggiori incidenze negative sulla salute delle persone e sull'ambiente;


- non occorrerebbe invece far ricorso al criterio dell'analogia tra l'uso e una modalità corrente di recupero dei rifiuti.


La C.G.C.E. ha sottolineato che:


- il metodo di trasformazione o le modalità di utilizzo di una sostanza non sono determinanti per stabilire se si tratti o no di un rifiuto: la destin
azione futura di un oggetto o di una sostanza, infatti, non ha incidenza sulla natura di rifiuto;


- la nozione di rifiuto non deve essere intesa nel senso che esclude le sostanze e oggetti suscettibili di riutilizzazione economica;


- la nozione di rifiuto non va neppure intesa nel senso che esclude le sostanze e oggetti suscettibili di riutilizzo come combustibile in modo compatibile con le esigenze di tutela ambientale e senza trasformazioni radicali;


- l'impatto ambientale della trasformazione di tale sostanza non incide sulla qualifica come rifiuto: un combustibile ordinario può essere bruciato in spregio delle norme di tutela ambientale senza divenire un rifiuto per tal motivo, mentre sostanze di cui ci si disfa possono essere recuperate come combustibile in modo compatibile con le esigenze di tutela ambientale e senza trasformazioni radicali pur continuando ad essere qualificate come rifiuti;


- nella direttiva europea non v’è nulla che indica che essa non riguarda le operazioni di smaltimento o di recupero che fanno parte di un processo di produzione industriale qualora risulti che non costituiscono un pericolo per la salute dell'uomo o per l'ambiente;


- il fatto che talune sostanze possano essere recuperate come combustibile in modo compatibile con le esigenze di tutela ambientale e senza trasformazioni radicali è senz'altro importante per stabilire se l'uso come combustibile debba essere autorizzato, agevolato o per decidere della severità del controllo da attuare;


- analogamente, quand'anche il metodo di trattamento di una sostanza non abbia incidenza sulla natura di rifiuto della medesima, non si può però escludere che tale metodo venga considerato un indizio dell'esistenza di un rifiuto: se, infatti, l'uso di una sostanza come combustibile costituisce una modalità corrente di recupero dei rifiuti, tale utilizzo può costituire un elemento che consente di accertare che il detentore della sostanza se ne disfa ovvero ha l'intenzione o l'obbligo di disfarsene;


- in mancanza di disposizioni comunitarie specifiche relative alla prova dell'esistenza di un rifiuto, spetta al giudice nazionale applicare le norme in materia del proprio or
dinamento giuridico in modo da non pregiudicare la finalità e l'efficacia della direttiva;


- in relazione al modo in cui un rifiuto viene comunemente considerato, si deve rilevare che neppure tale elemento è adeguato, ma può anch'esso costituire un indizio dell'esistenza di un rifiuto;


- in definitiva, per stabilire se l'uso come combustibile di una sostanza come i LUWA-bottoms o i trucioli di legno sia riconducibile al concetto di disfarsene, il fatto che tali sostanze possano essere recuperate come combustibile in modo compatibile con le esigenze di tutela ambientale e senza trasformazioni radicali non è rilevante.


Il fatto che tale uso come combustibile costituisca una modalità corrente di recupero dei rifiuti e che tali sostanze vengano comunemente considerate rifiuti, possono essere considerati come indizi del fatto che il detentore delle medesime se ne disfa ovvero ha deciso o ha l'obbligo di disfarsene

L'effettiva esistenza di un rifiuto va però accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva ed in modo da non pregiudicarne l'efficacia.


B) le modalità di produzione di una sostanza


Secondo le società ricorrenti:


- non si può ritenere che l'uso di una sostanza come combustibile sia riconducibile al concetto di disfarsene facendo unicamente riferimento alla provenienza della sostanza stessa;


- inoltre, dal momento in cui le materie prime secondarie possono essere utilizzate in un processo di produzione identico o analogo a quello per cui vengono utilizzate le materie prime primarie, esse non possono essere considerate rifiuti.


La Corte di Giustizia, dopo aver ribadito che:

- dal fatto che su una sostanza venga eseguita un'operazione di recupero, quale l'uso come combustibile, non discende che l'operazione consiste nel disfarsene e che quindi tale sostanza va considerata un rifiuto, e che

- talune circostanze possono invece costituire indizi del fatto che il detentore
della sostanza se ne disfa ovvero ha deciso o ha l'obbligo di disfarsene (ad es. quando la sostanza utilizzata è un residuo di produzione, cioè un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale al fine di utilizzarlo come combustibile)

ha evidenziato quanto segue:


- l'uso di una sostanza quali i LUWA-bottoms come combustibile, in sostituzione di combustibile ordinario, è un elemento che può far ritenere che l'utente di tale sostanza se ne disfa vuoi perché intende farlo vuoi perché ne ha l'obbligo;


- anche il fatto che la sostanza è un residuo, per cui non è utilizzabile in nessun altro uso se non lo smaltimento, può essere considerato un indizio: tale circostanza può far ritenere che il detentore della sostanza l'abbia acquistata unicamente allo scopo di disfarsene vuoi perché intende farlo vuoi perché ne ha l'obbligo, per esempio sulla scorta di un accordo concluso con il produttore della sostanza o con un altro detentore. Questa considerazione vale anche nel caso in cui la sostanza sia un residuo la cui composizione non è idonea per l'uso che ne viene fatto, ovvero se tale uso debba avvenire in condizioni particolari di prudenza a causa della pericolosità per l'ambiente della sua composizione.



In conclusione, la Corte di Giustizia ritiene che:


- il fatto che una sostanza utilizzata come combustibile sia il residuo di un processo di produzione di un'altra sostanza, che non sia ipotizzabile nessun altro uso di tale sostanza se non lo smaltimento,

- che la composizione della sostanza non sia idonea per l'uso che ne viene fatto o

- che tale uso debba avvenire in particolari condizioni di precauzione per l'ambiente


possono essere considerati indizi del fatto che il detentore della sostanza stessa se ne disfa ovvero ha deciso o ha l'obbligo di disfarsene.

L'effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva va però accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia.


C) le operazioni di riciclaggio


Nella causa principale, le ricorrenti ritenevano che il legno utilizzato come combustibile fosse impregnato di sostanze altamente tossiche e sarebbe dovuto essere trattato alla stregua dei rifiuti pericolosi: il fatto che tale legno fosse trasformato in trucioli e questi ultimi fossero ridotti in polvere non modifica in alcun modo la natura e la composizione della sostanza, che conserva gli agenti tossici.


La società che li utilizzava, invece, riteneva che:

- una sostanza oggetto di un'operazione di riciclaggio non vada considerata un rifiuto qualora venga utilizzata in modo compatibile con le esigenze di tutela ambientale, cioè qualora, rispetto all'uso di una materia prima primaria, l'uso della citata sostanza non abbia incidenze più sfavorevoli per la salute delle persone e per l'ambiente;

- l'elenco delle operazioni di recupero di cui all'allegato II B della direttiva non è esauriente, e che nuovi metodi di riciclaggio devono poter essere presi in considerazione.


La C.G.C.E. ha rilevato che:

- anche se un rifiuto è stato oggetto di un'operazione di recupero completo, la quale comporti che la sostanza di cui trattasi ha acquisito le stesse proprietà e caratteristiche di una materia prima, cionondimeno tale sostanza può essere considerata un rifiuto se, conformemente alla definizione, il detentore della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene;


- il fatto che la sostanza sia il risultato di un'operazione di recupero completo costituisce solo uno degli elementi che vanno presi in considerazione per stabilire se si tratti di un rifiuto, ma non consente di per sé di trarne una conclusione definitiva;


- se un'operazione di recupero completo non priva necessariamente un oggetto della qualifica di rifiuto, ciò vale a maggior ragione per una semplice operazione di cernita o di trattamento preliminare di tali oggetti, come la trasformazione in trucioli di residui di legno impregnati di sostanze tossiche ovvero la riduzione dei trucioli in polvere di legno, che non depurandolo delle sostanze tossiche che lo impregnano non ha l'effetto di trasformare i detti oggetti in un prodotto analogo ad una materia prima, con le medesime caratteristiche e utilizzabile nelle stesse condizioni di tutela ambientale.


In conclusione, la Corte di Giustizia afferma che il fatto che una sostanza sia il risultato di un'operazione di recupero costituisce solo uno degli elementi che vanno presi in considerazione per stabilire se tale sostanza sia ancora un rifiuto, ma non consente di per sé di trarne una conclusione definitiva.

L'esistenza di un rifiuto deve essere accertata sulla scorta del complesso delle circostanze, alla luce della definizione di rifiuto: in sostanza, dal fatto che il detentore della sostanza se ne disfi ovvero abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene, tenendo conto della finalità della direttiva ed in modo da non pregiudicarne l'efficaci.


Sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità eruopee nelle cause C-418-419/97, Arco Chemie Nederland