Pillole di Giurisprudenza: la nozione di rifiuto interpretata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee (3)

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Proseguendo nell’analisi della giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla nozione di rifiuto, iniziata con l’analisi della sentenza “Vessoso”, vediamo ora in sintesi, cosa ha affermato la C.G.C.E. nella sentenza “Inter-Environment Wallonie ASBL”, nel procedimento C-129/96.

Massima
Il mero fatto che una sostanza sia inserita, direttamente o indirettamente, in un processo di produzione industriale non la esclude dalla nozione di rifiuto ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE. Gli artt. 5, secondo comma, e 189, terzo comma, del Trattato CEE, nonché la direttiva 91/156 impongono che, in pendenza del termine posto dalla direttiva stessa per la propria trasposizione, lo Stato membro destinatario della direttiva si astenga dall'adottare disposizioni che possano gravemente compromettere la realizzazione del risultato che la direttiva prescrive.

Breve riassunto della vicenda
Nel lontano 1996 il Conseil d'État del Belgio ha sottoposto alla C.G.C.E. due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE e dell'art. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 75/442/CEE, relativa ai rifiuti.

Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un ricorso d'annullamento proposto dall'associazione senza fine di lucro Inter-Environnement Wallonie.
In estrema sintesi, l'Inter-Environnement Wallonie sosteneva che l'art. 5, n. 1, di un regolamento regionale vallone relativo ai rifiuti tossici e pericolosi violava la direttiva europea, in quanto escludeva dall'obbligo di autorizzazione l'installazione e l'esercizio di un impianto specifico di raggruppamento, di pretrattamento, di smaltimento o di recupero dei rifiuti tossici o pericolosi, qualora tale installazione fosse «inserita in un processo di produzione industriale».L'Inter-Environnement Wallonie sosteneva che:
- la direttiva
consente di derogare all'obbligo di autorizzazione per le imprese che assicurano il ricupero dei rifiuti alle sole condizioni determinate da queste stesse disposizioni e solo alle imprese registrate presso le autorità competenti;
- l'esclusione prevista dall'art. 5, n. 1, del regolamento è in contrasto con il decreto, in quanto quest’ultimo non contiene alcuna deroga per le operazioni che si inseriscono in un processo industriale.


Le questioni pregiudiziali

Il Conseil d'État ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:


1. gli articoli 5 e 189 del Trattato CEE impediscono agli Stati membri di adottare disposizioni in contrasto con la direttiva 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti
[…] durante il periodo fissato per la trasposizione di quest'ultima?
Le medesime norme del Trattato impediscono agli Stati membri di adottare e far entrare in vigore una norma che si presenta come trasposizione della detta direttiva, ma le cui disposizioni appaiano in contrasto con quanto prescritto dalla direttiva stessa?

2. una sostanza indicata nell'allegato I della direttiva 91/156/CEE […]che sia inserita, direttamente o indirettamente, in un processo di produzione industriale, è un rifiuto ai sensi dell'art. 1, lett. a, di tale direttiva?

L’orientamento della Corte

n relazione al secondo quesito, la C.G.C.E. afferma che dal tenore dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442 […] discende in primo luogo che l'ambito di applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi», che include al contempo lo smaltimento e il recupero di una sostanza o di un oggetto.
La nozione di rifiuto non esclude in via di principio alcun tipo di residui, di prodotti di scarto e di altri materiali derivanti da processi industriali.
La direttiva non si applica solo allo smaltimento e al recupero dei rifiuti da parte delle imprese specializzate nel settore, ma anche allo smaltimento e al recupero di rifiuti ad opera dell'impresa che li ha prodotti, nei luoghi di produzione.

Se, ai sensi della direttiva 75/442, i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo, e senza che vengano utilizzati procedimenti o metodi atti ad arrecare pregiudizio all'ambiente, nulla nella direttiva indica che essa non sia applicabile alle operazioni di smaltimento o di recupero che fanno parte di un processo industriale, qualora esse non sembrino costituire un pericolo per la salute dell'uomo o per l'ambiente.
La nozione di rifiuto, inoltre, come abbiamo già visto, non deve intendersi nel senso che essa esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica.

In conclusione, possono costituire rifiuti sostanze che fanno parte di un processo di produzione: tale conclusione non pregiudica la distinzione tra il recupero dei rifiuti ai sensi della direttiva 75/442 e il normale trattamento industriale di prodotti che non costituiscono rifiuti, a prescindere peraltro dalla difficoltà di siffatta distinzione.

Quindi, il mero fatto che una sostanza sia inserita, direttamente o indirettamente, in un processo di produzione industriale non la esclude dalla nozione di rifiuto.

In relazione al primo quesito la Corte ha statuito che gli artt. 5, secondo comma, e 189, terzo comma, del Trattato CEE, nonché la direttiva 91/156 impongono che, in pendenza del termine posto dalla direttiva stessa per la propria trasposizione, lo Stato membro destinatario della direttiva si astenga dall'adottare disposizioni che possano gravemente compromettere la realizzazione del risultato che la direttiva prescrive.