Nelle conclusioni dell’Avv. Generale della Corte di Giustizia, J. Kokott, nella causa C-254/08 sono stati affrontati i seguenti temi: i costi dello smaltimento dei rifiuti, il principio “chi inquina paga”, la responsabilità finanziaria per lo smaltimento dei rifiuti e la responsabilità di gruppo, il potere discrezionale di scelta nella determinazione del soggetto tenuto a sopportare i costi dello smaltimento dei rifiuti, il coefficiente di produttività quantitativa.
In estrema sintesi, nella causa de quo bisognava chiarire in che misura il principio «chi inquina paga», proprio della normativa in materia di rifiuti, limiti la libertà organizzativa degli Stati membri nel disciplinare le modalità di ripartizione dei costi di smaltimento dei rifiuti urbani: numerose imprese alberghiere, infatti, contestano i costi ad esse imposti ed affermano che essi non corrisponderebbero alla quantità di rifiuti prodotta.
Nelle sue conclusioni, l’Avv. Generale J. Kokott ha delineato in modo chiaro i contorni del principio chi inquina paga.
Innanzitutto, il principio «chi inquina paga» rileva soprattutto in quanto l’inquinatore è incentivato ad evitare l’inquinamento ambientale: qualora tale principio non venga attuato quale divieto di porre in essere comportamenti che inquinano l’ambiente, bensì sotto forma di una regolamentazione dei costi, l’inquinatore può decidere se cessare l’inquinamento ovvero ridurlo o sostenere invece le spese necessarie alla sua cessazione.
Inoltre, il principio «chi inquina paga» – espressione del principio di proporzionalità, concretizzazione del principio della parità di trattamento ovvero di non discriminazione – è inteso a ripartire equamente i costi legati all’inquinamento dell’ambiente, che non vengono addossati ad altri (alla collettività), o semplicemente ignorati, bensì vengono imputati a colui che è responsabile dell’inquinamento.
Il principio «chi inquina paga», infine, sembra ostare a disposizioni in cui l’ammontare dell’imposta non corrisponde necessariamente allo sforzo impiegato per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti prodotti dai soggetti tenuti al pagamento.
Per una disciplina dei costi dello smaltimento dei rifiuti urbani che corrisponda esattamente alla quantità dei rifiuti, secondo l’Avvocato generale occorrerebbe registrare i rifiuti conferiti e i costi che ne derivano e fatturarli al produttore di rifiuti: l’incentivo ad evitare di produrre rifiuti sarebbe relativamente forte, in quanto ogni diminuzione della quantità di rifiuti comporterebbe un risparmio dei costi.
Tuttavia, avverte, è controverso se il modello della liquidazione esatta dei costi debba essere applicato allo smaltimento dei rifiuti urbani.
Tuttavia, avverte, è controverso se il modello della liquidazione esatta dei costi debba essere applicato allo smaltimento dei rifiuti urbani.
Lo smaltimento dei rifiuti urbani, in definitiva, riveste il carattere di un «affare di massa»: già questa considerazione potrebbe giustificare di non liquidare in maniera esatta i costi, ma di ripartili mediante un regime forfettario.
Inoltre, è difficile effettuare una liquidazione precisa […]
Si deve constatare, sottolinea l’Avv. Generale J. Kokott, che vi possono essere senz’altro motivi per non fondare la disciplina dei costi dello smaltimento dei rifiuti urbani su una liquidazione esatta dei costi causati dal singolo produttore di rifiuti: di conseguenza, nell’attuazione del principio «chi inquina paga» sussiste una certa flessibilità (la Corte ha talvolta collegato l’obbligo di sopportare i costi non all’aver causato il danno, ma alla circostanza che il responsabile al quale è richiesto il pagamento ha contribuito a generare i rifiuti o i danni): di conseguenza, non si può esigere un’esatta liquidazione dei costi, ma occorre fare riferimento all’appartenenza ad un gruppo responsabile nel suo complesso per l’inquinamento ambientale, espressione della responsabilità di gruppo.
L’ultima questione affrontata riguarda la capacità di reddito di un produttore di rifiuti, la quale non è direttamente connessa alla sua quantità di rifiuti (è vero che non si può escludere che le imprese più redditizie producano una quantità di rifiuti particolarmente elevata, ma si può assumere anche il contrario), e non può giustificare tariffe più elevate neanche sotto il profilo sociale.
Il principio «chi inquina paga», infatti, è inteso a garantire che tutti gli strati sociali assumano un comportamento che danneggi nella minor misura possibile l’ambiente: sarebbe incompatibile con tale principio esonerare direttamente taluni gruppi, a causa dell’estrema indigenza o della ridotta capacità produttiva, dai costi legati all’inquinamento ambientale da essi causato.
Ciò non esclude tuttavia la necessità di prendere in considerazione tali costi – segnatamente nella misura in cui l’inquinamento ambientale costituisca una componente inevitabile del tenore di vita – nel calcolare eventuali misure di sostegno in campo sociale.
In tal modo verrebbe infatti garantita la funzione di incentivo svolta dal principio «chi inquina paga».
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