Intelligenza ambientale: meglio guadagnare che perdere!

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di Naide Della Pelle

Dopo la pausa estiva, ricomincio a scrivere su questa rubrica segnalandovi le ricerche in materia di intelligenza ambientale (come sviluppare un istinto che ci porti a rigettare i prodotti e i comportamenti inquinanti) ad opera del gruppo di studio diretto da Elke Weber, psicologa della Columbia University, e dal collega David Krantz, fondatori del Center for research on environmental decisions.
Il loro campo di studi è pionieristico e si situa a metà fra psicologia ed economia. La Weber si ispira agli studi del Nobel Daniel Kahneman ed alle sue ricerche in materia di decisioni finanziarie, dalle quali sappiamo che le persone spesso compiono le scelte quotidiane non in base a processi decisionali guidati dalla logica del profitto, o in vista della difesa di determinati valori etici, ma agiscono sulla base di motivazioni che potremmo definire “istintive” e “frivole”.

Il meccanismo non è diverso nel caso di decisioni che hanno a che fare con la salvaguardia dell’ambiente:
installo il pannello fotovoltaico sul tetto di casa mia perché l’ha fatto il mio vicino (e non perchè ho una vaga misura del risparmio e dei vantaggi che potrei averne - a questo proposito: fotovoltaico è business...), e comunque, non per salvare il pianeta; compro l’auto ibrida perché è uno status symbol, non perché così consumo meno benzina e quindi preservo l’ambiente per i miei figli.

L’interrogativo da cui la Weber e i suoi si sono mossi riguarda proprio l’ambiente: se il riscaldamento del clima dipende dal comportamento degli uomini, e il mondo scientifico è oggi abbastanza concorde su questo concetto, perché spesso la gente si mostra sorda ai messaggi che riguardano i pericoli che l’Ambiente ed il Pianeta stanno correndo?

Per rispondere al quesito occorre tirare in ballo la genetica: l’evoluzione sembra averci ben attrezzati per reagire prontamente alle minacce, purché queste siano immediate e ben visibili o udibili. Purtroppo però i pericoli che minacciano noi e l’ambiente non sono di questo tipo e così, anche se a livello razionale ci rendiamo conto che bisogna combattere l’effetto serra, ci manca il “campanello d’allarme” che ci porti ad agire.

Che fare allora?

Forse i messaggi di tipo ambientalista vengono ignorati perché sono sbagliati: secondo Tony Leiserowitz, direttore dello Yale Project on Climate Change
“il messaggio centrale del movimento ambientalista va ristrutturato".
Gli ambientalisti hanno fatto un ottimo lavoro descrivendo il problema in termini di "perdita” (estinzione della specie, sprofondamento delle città…), perché tutti noi siamo per natura contrari alle perdite.

Ma hanno sbagliato a descrivere in termini di perdite anche le soluzioni dei problemi (non comprare le bombolette spry, non usare l’auto ecc.).

Le soluzioni andrebbero presentate in termini positivi, parlando prima dei benefici e poi dei costi, perché gli esseri umani sono portati a trovare alternative piacevoli: “se ti offri di dare un passaggio al lavoro alla tua vicina di casa, con la scusa di ridurre le emissioni di smog, hai un’occasione in più per provarci con lei”.

Il mondo della pubblicità e del marketing è avvertito!

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