Vocabolario ambientale: l’evoluzione storica della nozione di rifiuto (2). Il Decreto Ronchi

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Nel precedente post ho cominciato a delineare l’evoluzione storica della nozione di rifiuto, cominciando da quanto stabilito dal D.P.R. n. 915/82.

Con il successivo D.Lgs. n. 22/97 (c.d. “Decreto Ronchi”)
si è assistito ad un netto cambiamento di rotta rispetto alle linee ispiratrici della normativa pregressa, attraverso la ridefinizione dell’intera disciplina di settore: con il D.Lvo n. 22/97, infatti, la gestione dei rifiuti diventa l’asse portante della disciplina, laddove la previgente normativa basava tutta la sua regolamentazione sul concetto di smaltimento (che comprendeva le fasi della raccolta, dello spazzamento, della cernita, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso, del deposito e della discarica sul suolo e nel suolo).

La gestione dei rifiuti, dopo l’emanazione del Decreto Ronchi, vede distinte ed autonome le diverse fasi, valorizzate ognuna secondo un preciso ordine di priorità.
In merito alla nozione di rifiuto, occorre premettere che, nel contesto delle normative ambientali, ci si deve astrarre dai concetti ordinari di gergo comune in ordine al loro significato corrente, e soltanto quello che viene definito tra virgolette deve essere inteso come vigente nella normativa in questione: tutto quanto nel gergo comune viene definito rifiuto non lo è in senso tecnico-giuridico

L’art. 6, comma 1, del Decreto Ronchi definiva rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi”.

Il primo elemento essenziale della nozione di rifiuto è rappresentato dall’appartenenza a una delle categorie di materiali e sostanze individuate nell’allegato A.

In secondo luogo è necessario che il detentore di una sostanza o di un materiale:

1. si disfi (un soggetto «si disfa» di qualche cosa quando è in atto o è stata effettuata un’attività di smaltimento o di recupero. In tal caso, la qualificazione di un materiale, di una sostanza o di un oggetto come rifiuto emerge dal fatto stesso dell’effettuazione, in atto o passata, di un’operazione di recupero o di smaltimento);

2. abbia deciso di disfarsi (in questo caso vengono in questione tutti i materiali, le sostanze o gli oggetti che sono ancora idonei alla loro funzione originaria o possono essere utilizzati direttamente in altri cicli di produzione o di consumo senza dover essere sottoposti ad alcun trattamento, e diventano rifiuti per una precisa scelta del detentore.
In altri termini, è il detentore che decide di avviare allo smaltimento un bene anziché continuare a utilizzarlo per la sua funzione originaria, oppure che decide di avviare a smaltimento o recupero una sostanza che potrebbe, invece, essere utilizzata direttamente come materia prima senza alcun previo trattamento.
L’intenzione di destinare un materiale, una sostanza o un oggetto ad attività di smaltimento o di recupero, oppure all’impiego diretto in un ciclo produttivo (ad esempio impiego di una materia prima secondaria) dovrà trovare espre
ssione in fatti oggettivi.
È, pertanto, richiesta una ragionevole valutazione caso per caso in applicazione della generale disciplina dei rifiuti e dei principi indicati dalle sentenze della Corte di giustizia, comunque vincolanti per l’ordinamento italiano: in particolare, dovranno essere valutati tutti i comportamenti del detentore incompatibili con la destinazione di un bene alla sua funzione originaria o all’impiego diretto senza alcuna attività di recupero dei rifiuti);

3. abbia l’obbligo di disfarsi dello stesso (ricorre, invece, l’obbligo di disfarsi quando la destinazione di un materiale, di una sostanza o di un oggetto allo smaltimento o al recupero, nel senso sopra precisato, è imposta:
- direttamente dalla legge (si pensi ad esempio agli oli usati e alle batterie esauste) o
- da un provvedimento dell’autorità (ad esempio una ordinanza con la quale la P.A. impone a un determinato soggetto l’obbligo di smaltire determinate sostanze o materiali) o
- deriva dalla stessa natura del materiale considerato, che non è idoneo alla sua funzione originaria e può, eventualmente, essere impiegato in un ciclo produttivo previo trattamento);

Tale definizione ha dato luogo, tuttavia, a molteplici interpretazioni, molte delle quali mirate a inibire la pratica applicazione del decreto stesso, nonché a creare confusione, rendendo difficile l’applicazione pratica del D.Lgs. n. 22/97, con tutte le conseguenze operative e di natura autorizzatoria e sanzionatoria che ne derivavano…

In dottrina c’era, comunque, chi non condivideva la confusione interpretativa sviluppatasi intorno alla concettualità di rifiuto, ritenendo il concetto di rifiuto chiaro non solo a livello di espressione, ma anche di interpretazione “già nella struttura genetica della norma che va letta in modo parallelo rispetto alle chiarissime prese di posizione della Corte europea di giustizia che già si è pronunciata ripetutamente in ordine a tale elemento predominante” (Santoloci-Maglia).

L’art. 7 del Decreto Ronchi classificava i rifiuti:
1. secondo l'origine, in:

- rifiuti urbani (art. 7, comma 2, D.Lgs n. 22/97):
a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione;
b) rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità;
c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua;
e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali;
f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e), e
- rifiuti speciali (art. 7, comma 3, del D.Lvo n. 22/97):
a) i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;
b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo;
c) i rifiuti da lavorazioni industriali, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera f-quater);
d) i rifiuti da lavorazioni artigianali;
e) i rifiuti da attività commerciali;
f) i rifiuti da attività di servizio;
g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi;
h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie;
i) i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti;
j) i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti;
k) il combustibile derivato da rifiuti qualora non rivesta le caratteristiche qualitative individuate da norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale.

2. e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in:

- rifiuti pericolosi i rifiuti non domestici precisati nell'elenco di cui all'allegato D sulla base degli allegati G, H ed I.
- rifiuti non pericolosi.

L’art. 8, infine, escludeva dal campo di applicazione della normativa sulla gestione dei rifiuti:

- gli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera, nonché, in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge
- i rifiuti radioattivi;
- i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;
- le carogne ed i rifiuti agricoli seguenti: materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nell'attività agricola ed in particolare i materiali litoidi o vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici e le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli;
- i residui e le eccedenze derivanti dalle preparazioni nelle cucine di qualsiasi tipo di cibi solidi, cotti e crudi, non entrati nel circuito distributivo di somministrazione, destinati alle strutture di ricovero di animali di affezione di cui alla legge 14 agosto 1991, n. 281, e successive modificazioni, nel rispetto della vigente normativa;
- le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido;
- i materiali esplosivi in disuso;
- le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilita' stabiliti dalle norme vigenti;
- i materiali vegetali non contaminati da inquinanti in misura superiore ai limiti stabiliti dal decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto.
- il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo.

(continua)
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