La responsabilità di un’altra forma di emergenza ambientale: il perenne stillicidio di norme

0 commenti
La XVI legislatura si è appena messa in moto, e già sono stati proposti alcuni progetti di legge, sia alla Camera che al Senato, per una nuova modifica del D.Lgs n. 152/06, il c.d. “Testo Unico Ambientale”, oggetto già di due recenti modifiche (ad opera del D.Lgs. n. 284/07 prima, e del D.Lvo 4/08 poi…)

In questa sede mi limito ad una breve rassegna, senza entrare nel merito (approfondirò, se del caso, quando i DDL saranno più…”maturi”): tuttavia vorrei segnalare come, ancora una volta, il modus operandi della nostra "classe" politica sia viziato dal perenne ritorno sulle stesse questioni, in un walzer di modifiche e stratificazioni di normative (e relativi periodi transitori) che contribuiscono, pro quota, ad aumentare la già affollata confusione legislativa che regna nel nostro paese…

1. DDL n. 238, presentato al Senato in data 29 aprile 2008 dal Sen. Ugo Martinat (PdL) e altri, in materia di responsabilità per lo smaltimento dei rifiuti speciali e dei rifiuti tossici e nocivi.
Il disegno di legge – si legge nell’intervento pubblicato sul sito del Senato – riproduce il testo di una proposta già presentata alla Camera nella X, XI, XII, XIII, XIV e XV legislatura, e pone l’attenzione su un problema di primaria importanza che il decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, “quantunque dettagliato e articolato con la individuazione delle competenze fra Stato, regioni e comuni, contiene a nostro giudizio una lacuna che può essere colmata”.

In sostanza, si tratta di sapere esattamente “su chi deve ricadere la responsabilità nel caso in cui durante il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti si manifestino inquinamenti, contaminazioni, intossicazioni, danni ecologici, morìe ed altro, e chi deve pagare i danni.
In genere, le industrie, le aziende, gli enti che producono questi rifiuti, una volta consegnata la merce ai trasportatori e ad aziende specializzate, ritengono di essersi sottratti a qualsiasi responsabilità, e non solo non si curano, ma neppure vogliono sapere, come si svolga il trasporto, dove vada a finire e con quali sistemi il prodotto venga reso inerte o riciclato".
In altre parole – conclude il relatore – “chi produce si mette al riparo da ogni responsabilità, sia civile che penale, con la consegna a terzi dei rifiuti.

“Il presente disegno di legge reca modifiche agli articoli 188 e 194 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (relativi, rispettivamente, agli oneri dei produttori e dei detentori e alle spedizioni transfrontaliere) tese a prevedere che la responsabilità civile e penale, in caso di incidenti, ricade sempre sulla industria, ditta, azienda che ha prodotto le scorie o i rifiuti e che tale responsabilità cessa solamente quando il materiale venga scaricato nelle discariche autorizzate […]”.

2 – DDL n. 584, presentato alla Camera in data 29 aprile 2008 dall’On. Angelo Compagnon (UdC), in materia di gestione delle crisi e delle emergenze idriche;

3 – Il DDL n. 617, presentato alla Camera in data 30 apriel dall’On. Davide Caparini (LNP), in materia di gestione del servizio idrico e di determinazione delle relative tariffe nei comuni montani;

4 - Il DDL n. 712, presentato alla Camera in data 05 maggio 2008 dall’On. Adolfo Urso (PdL), contenente norme in materia di servizio idrico integrato.

5 Il DDL n. 396, presentato al Senato in data 07 maggio 2008 dal Se. Domenico Benedetti Valentini (PdL), contenente modifiche all'articolo 148 in materia di adesione facoltativa dei comuni montani alla gestione unica del servizio idrico integrato;

Nella sua relazione, il Sen. Valentini evidenzia che “la legge 5 gennaio 1994, n. 36, in materia di risorse idriche, meglio nota come «legge Galli», pose indubbiamente alcune finalità importanti e stabilì alcune linee operative tutt’altro che secondarie, come l’articolazione delle tariffe, la qualità delle risorse e del territorio, il ripristino degli acquedotti contro le inaccettabili dispersioni e altre ancora.
Tuttavia i risultati complessivi di questa normativa non sono stati esaltanti e molte applicazioni che ne hanno inteso fare le regioni, specie in fatto di individuazione dei cosiddetti «ambiti territoriali ottimali» (ATO), sono state aberranti e in ogni caso controproducenti.
Al di là della quasi totale abrogazione di tale legge […] alcuni dei suoi effetti perversi dalla stessa legge determinati hanno continuato a creare turbative, disservizi, malesseri funzionali e amministrativi non indifferenti.
In modo particolare, in troppe zone si è registrato un aumento vertiginoso delle tariffe del servizio idrico integrato per gli utenti, mentre non si è arrivati affatto a una valida ed effettiva uniformità delle tariffe stesse […]

Le presunte economie di scala che venivano prospettate non ci sono state; al contrario, la situazione, a causa di queste aggregazioni forzose, è peggiorata. Si intende, dunque, sottolineare che il «consenso» delle realtà locali a forme di sinergia amministrativa e funzionale deve essere «riconquistato» con fatti virtuosi e garanzie, non con schematismi politici e burocratici immeritevoli.

Da tali considerazioni nasce il presente disegno di legge, che non intende, almeno per ora, incidere sul contesto normativo vigente in maniera radicale, bensì soccorrere a quell’esigenza di corretto equilibrio tra autonomia dei comuni «minori» e di verificato terreno di collaborazione tra i territori comunali, sul quale andrà ricostituito il clima opportuno della migliore collaborazione, nell’interesse dei cittadini amministrati e serviti.

Questo obbiettivo non è perseguibile con buoni propositi o con «ravvedimenti» solo enunciati e, ad oggi, poco credibili. È preferibile concepire norme che forniscano lo strumento per aprire, in maniera stringente, un nuovo tipo di rapporto tra Autorità d’ambito e comuni.
Si suggerisce, pertanto, di utilizzare la normativa del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, che rende non coatta, ma facoltativa, l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato da parte dei comuni montani con popolazione fino a 1.000 abitanti.

Come si legge nella nuova formulazione proposta dell’articolo 148 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, si prevede che la facoltatività sia riconosciuta ai comuni, interamente montani, con popolazione fino a 5.000 abitanti, nonché a quelli anche sensibilmente più grandi, cioè con popolazione fino a 15.000 abitanti, il cui territorio sia però classificato montano per più della metà e le cui problematiche siano generalmente assai assimilabili a quelle dei comuni demograficamente minori (cosa che non sempre corrisponde alla consistenza geografica).

Si è convinti che queste modificazioni alla normativa vigente indurrebbero benefici effetti nei rapporti amministrativi, come del resto sollecitano tanti amministratori di comuni di ogni parte d’Italia. L’eventualità che, di fronte a gravi disservizi e costi, la gestione – pur sempre rigorosamente pubblica – torni nelle dirette mani del comune produrrà una chiarificazione e una democratizzazione di tali rapporti, ferme restando allo Stato le funzioni di regolazione generale e di controllo rimesse all’Autorità d’ambito.

Sia lecito, infine, chiosare che poco significa produrre leggi o «leggine» di generico «sostegno» ai comuni piccoli, interni e montani, se contemporaneamente non li si mette in condizioni di negoziare la propria qualificante adesione alle aggregazioni amministrative e di garantire qualità ed economicità reali di servizi ai propri cittadini".