Avete un’attività di gestione di rifiuti?
Bene, allora sapete già che dovete tenervi
informati, conoscere ogni novità normativa, innanzitutto, ma anche
giurisprudenziale: le principali sentenze in materia di rifiuti emesse da
Cassazione, TAR e Consiglio di Stato.
Dovete insomma essere sempre sul pezzo.
La normativa in materia di gestione dei rifiuti è
complessa? Non posso che essere d’accordo con voi.
Ma deve essere applicata, e dinnanzi ad un giudice
– perché è facile finire, anche inconsapevolmente, nelle maglie della giustizia
– non potete invocare la complessità della normativa per sfuggire alle
sanzioni, amministrative o penali che siano.
Ma procediamo con calma, e per gradi.
Il diritto dell’ambiente continua ad essere
aggiornato, modificato, integrato, integrato e sostituito: questa situazione,
unita al fatto che possono esistere discipline differenti da regione a regione,
e che anche la normativa nazionale è scritta in modo non sempre chiaro, non
facilita certo la sua osservanza e la sua applicazione.
In altri termini, è estremamente facile sbagliare
ed incorrere in sanzioni, ma la complessità e la nebulosità della normativa non
sono motivazioni valide per sfuggire alle sanzioni.
Non si può ricorrere alla buona fede, per
difendersi innanzi al giudice.
Di recente, due sentenze della Cassazione (n.
2996/2017 e n. 2246/2017) hanno ribadito questo concetto fondamentale, che vale
per chi gestisce in modo professionale i rifiuti, ma è applicabile a tutti
coloro che, a diverso titolo, devono sottostare alle stringenti regole del
diritto dell’ambiente.
I due protagonisti delle sentenze avevano effettuato:
- in un caso, attività di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi, e
- nell’altro, raccolta, trasporto e commercio non autorizzati di rifiuti metallici,
in
assenza di titolo autorizzativo e di iscrizione nell’Albo Nazionale dei Gestori
ambientali.
Varie
le motivazioni addotte dagli imputati, che facevano leva proprio sulla buona
fede:
“è poco che mi occupo di queste faccende”;“la normativa è complicata e presenta rilevanti connotati di equivocità”“si tratta di errore inevitabile”;“i rifiuti trattati sono pochi”,
e
così di seguito …..
Secondo
la Cassazione tali argomentazioni sono estremamente generiche: la Corte non
arriva a dire che si tratta di un atteggiamento infantile, ma il senso è
quello.
Si
tratta, e qui esprimo la mia opinione frutto di oltre 15 anni di esperienza
nella consulenza giuridica in materia di diritto dell’ambiente, di un
atteggiamento che deriva da un approccio anacronistico rispetto alle
problematiche connesse con la gestione del rischio ambientale.
La
prima obiezione che mi viene mossa quando prospetto ai clienti – non importa se
di grandi o piccole dimensioni – l’ipotesi di costruire un sistema di gestione
ambientale è la seguente:
“si, ma qui vedo solo costi, che dovrei sostenere per far fronte a situazioni del tutto eventuali…”
È
una reazione che io definisco “miopia prospettica d’impresa”, e che consiste
nell’aver una scarsissima visione di medio-lungo periodo del proprio business.
Di
fronte a questa prima reazione propongo un’argomentazione più pratica: prescindiamo
per un momento dalle “motivazioni ambientalistiche”, dal quanto ciascuno di noi
tenga alla salvaguardia del pianeta, e passiamo alle motivazioni meramente
economiche.
Il
portafoglio.
Prevenire
è importante perché non si prevengono solo “generici danni all’ambiente” – un
concetto per molti ancora troppo astratto – ma soprattutto perché si prevengono
i danni economici (che ci sono sempre), quelli di immagine, per non parlare dei
contenziosi con le Pubbliche Amministrazioni…
Prevenire
è meglio che curare, sintetizzava con efficacia una pubblicità di tanti anni
fa.
E
aggiungo che, a conti fatti, prevenire costa meno che curare, da qualsiasi
angolo visuale voi vogliate guardare la situazione.
In
ogni caso, ci pensa la Cassazione a ricordarvelo.
Cassazione
che, nel redigere il testo delle sentenze, sembra quasi ispirarsi ad Arthur
Donan Doyle, che ne “Le avventure si Sherlock Holmes” sosteneva che “nulla è
più innaturale e sfuggevole dell’ovvio”.
Perché
ciò che è ovvio per un soggetto (ad esempio, il legislatore, nel momento in cui
legifera), può non esserlo, e spesso non lo è, per un altro (ad esempio, per gli
operatori del settore, nell’ osservare le
leggi).
E
in assenza di una normativa chiara, potete presumere
di poter agire correttamente, salvo poi scoprire che ciò che consideravate corretto
era in realtà frutto di una vostra libera
(o giustificabile) interpretazione.
Con
tutte le conseguenze burocratiche, amministrative, temporali, sanzionatorie ed
economiche del caso.
Il
punto focale è, allora, probabilmente proprio
quest’ultimo: presumere troppo, supporre.
Ovviamente in buona fede, anziché chiedere aiuto ad uno specialista del diritto
ambientale. Come me.
Perché,
allora, non affidarvi ad uno specialista in grado di prevedere, e di prevenire
i danni?
*°*
Ecco
alcuni passi delle due sentenze.
In
tema di ignoranza della legge penale, la Corte (n. 2996/2017) afferma che “per il comune cittadino tale condizione è
sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria
diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di
qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione
vigente in materia.
Tale obbligo è particolarmente
rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata
attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis”
nello svolgimento dell’indagine giuridica.
Per l’affermazione della
scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo
degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento
giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza
dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del
comportamento tenuto“(Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994, P.G. in proc. Calzetta,
Rv. 19788501)”.
Avete
capito?
Un
comportamento positivo consiste proprio nell’adottare misure di prevenzione e di
gestione del rischio ambientale, avvalendosi di esperti giuristi ambientali.
Comunque, prosegue la Cassazione:
- “l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale non si configura quando l’agente svolge una attività in uno specifico settore rispetto al quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente, e
- l’ignoranza, da parte dell’agente, sulla normativa di settore e sull’illiceità della propria condotta è idonea ad escludere la sussistenza della colpa se indotta da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della pubblica amministrazione, ovvero ad una precedente giurisprudenza assolutoria o contraddittoria o ad una equivoca formulazione del testo della norma.
E infine: né il carattere di
frammentarietà di una disciplina normativa, né il fatto che sull'applicazione
della stessa si siano formati diversi orientamenti, tanto da giustificare
l'emanazione di una norma di interpretazione autentica, possono essere invocati
a causa di ignoranza incolpevole della legge penale, o comunque della legge
integratrice del precetto penale, facendo venir meno l'elemento soggettivo del
reato, quando il soggetto che svolga professionalmente una specifica attività
non abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle
autorità competenti i chiarimenti necessari e per informarsi in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, con
ciò adempiendo allo stringente dovere di informazione sullo stesso gravante (Cassazione Penale, n.
2246/2017).
Ne
va del vostro futuro, e della vostra serenità.
Prevention is now, before
tomorrow