Negli ultimi due anni
ho scritto diversi articoli in materia di sicurezza alimentare (in fondo al
post troverete alcuni riferimenti). Inoltre, sto lavorando ad un e-book, che
presto sarà pubblicato.
Le norme in materia
di sicurezza alimentare, infatti, stanno diventando sempre più stringenti, e
c’è sempre più bisogno di un’attività di consulenza specifica, perché:
-
la burocrazia è lenta e macchinosa;
-
i controlli (quando ci sono) sono asfissianti;
-
ipertrofica, e spesso frammentaria, è la legislazione
italiana.
Consulenza in materia di sicurezza alimentare che, con il passare
degli anni, Natura Giuridica ha affiancato a quella, tradizionale, di
consulenza ambientale.
Sono molte le domande
che i clienti mi pongono, per esempio quelle
che riguardano la buona fede nel settore
della sicurezza alimentare e la delega di funzioni.
Partiamo dalla prima: il fatto che
spesso le prescrizioni imposte da una norma sono generiche (come quelle dettate
dall’art. 5 della legge n. 283/1962, in materia di conservazione degli
alimenti), non costituisce un’esimente, o almeno un’attenuante alla
responsabilità?
Assolutamente no.
La Cassazione ha affermato, al riguardo,
proprio in relazione all’ipotesi di reato prevista dall’art. 5 lett. d) della
legge n. 283/62, che la norma contiene in sé la nozione di:
- “nocività”, intesa con riferimento a quelle sostanze alimentari che possono creare un pericolo per la salute pubblica per non essere genuine, e quella di
- “alterazione”, e cioè della presenza di un processo modificativo di una sostanza alimentare che diviene altra da sé per un fenomeno di spontanea degenerazione.
Non si tratta pertanto di una norma
penale in bianco, dovendosi considerare le eventuali indicazioni contenute in
circolari del Ministero della Sanità un parametro scientificamente valido al
quale ancorare il giudizio (ex multis, v.
Cass. Pen., n. 11828/1997, e da ultimo, Cass. Pen., n. 4522/2017).
Per sostanze alimentari “comunque
nocive” devono intendersi quelle che possono arrecare un concreto pericolo alla
salute dei consumatori, desumibile dal giudice non soltanto nell’ipotesi di
superamento dei limiti massimi di concentrazione dei contaminanti alimentari
stabiliti dalla legge - che costituisce un solido elemento indiziario in ordine
alla idoneità della sostanza rinvenuta a determinare un “vulnus” alla salute
degli eventuali fruitori del prodotto - ma anche da altri elementi, purché il
relativo apprezzamento sia sul punto adeguatamente e logicamente motivato
(Cass. Pen., n. 14483/2016).
Inoltre, il cattivo stato di conservazione degli alimenti ai fini della
contravvenzione può essere accertato dal giudice di merito senza dover esperire
una perizia tecnica ma in base a dati obiettivi del fatto (Tribunale di Napoli,
sez. I 26 settembre 2016 n.
1813).
Quanto alla seconda (“La delega di funzioni
nell’esercizio di un’attività di impresa esonera il titolare dalla
responsabilità penale connessa alla posizione di garanzia?”), occorre
premettere che il D.Lgs n.
155/1997 stabiliva che il responsabile dell’industria alimentare era il
titolare o il responsabile specificatamente delegato: per la validità della
delega occorreva rispettare specifici requisiti di tipo:
- oggettivo
(dimensioni dell’impresa; effettivo trasferimento dei poteri, con autonomia
decisionale, gestionale ed economica; norme interne di disciplina del
conferimento della delega) e
- soggettivo
(capacità ed idoneità tecnica del soggetto delegato; divieto di ingerenza del
delegante) (Cassazione, 23.4.96, Zanoni).
In passato, in molte sentenze si è pretesa la forma
scritta della delega; tuttavia, tale orientamento è stato superato dalla
successiva giurisprudenza, che ha evidenziato che, diversamente da quanto
accade per le responsabilità connesse agli obblighi
relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro, nel diritto penale alimentare non
vi è una norma che richiede la delega scritta.
In sostanza, in
tema di vendita di sostanze alimentari, il titolare dell'impresa è esonerato da
responsabilità solo se fornisce la prova del conferimento espresso, inequivoco
e certo di una delega di funzioni ad una persona:
Tutto
ciò, a prescindere dalla forma orale o scritta dell'atto.
Di
recente, tuttavia, la Cassazione, sotto la vigenza della nuova normativa (D.Lgs
n. 193/2007) è tornata sui suoi passi, affermando che la delega di funzioni
nell'esercizio di un'attività di impresa esonera il titolare dalla
responsabilità penale connessa alla posizione di garanzia soltanto se è
conferita per iscritto al delegato, essendo inidonea l'attribuzione in forma
orale (Cass., n. 16452/2012; n. 6872/2011): di conseguenza, la responsabilità del
delegato deve essere esclusa nel caso in cui vi sia l'attribuzione meramente
verbale di una qualifica, non accompagnata dalla specifica individuazione delle
funzioni e delle responsabilità che a tale qualifica conseguono.
Concludo suggerendovi qualche
approfondimento in materia di sicurezza
alimentare (si tratta di articoli che ho pubblicato per la rivista Ambiente
& Sviluppo, edita da IPSOA).
Sicurezza alimentare: norme e prospettive per un settore strategico ma non adeguatamente presidiato, in Ambiente & Sviluppo,
IPSOA, n. 3/2017
Il TTIP: le ragioni (e i torti) del sì e del no, in Ambiente & Sviluppo, IPSOA, n. 11/2016
I reati agroalimentari, fra valide proposte di riforma e insidie politiche(seconda parte), in Ambiente & Sviluppo,
IPSOA, n. 7/2016
I reati agroalimentari, fra valide proposte di riforma e insidie politiche (primaparte), in Ambiente & Sviluppo,
IPSOA, n. 6/2016