La notizia, pochi giorni fa, è di quelle "storiche": nell'ambito del processo Eternit, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il barone belga Louis De Cartier De Marchienne, 91 anni, sono stati condannati a 16 anni di reclusione per disastro doloso e omissione dolosa di misure infortunistiche.
La condanna vale per i reati commessi negli stabilimenti piemontesi di Casale e Cavagnolo, dal 13 agosto 1999 in avanti. Altri invece risultano prescritti, come quelli contestati in determinati periodi negli stabilimenti di Bagnoli e Rubiera.
E' appena stato pubblicato il dispositivo (128 pagine, coincidenti con l'elenco delle parti civili costituite) della sentenza di Torino che condanna i capi della Eternit al risarcimento per i danni provocati ai cittadini e all'ambiente di Casale Monferranto, sede dello stabilimento in cui si produceva l'eternit appunto, un (allora) "innovativo" materiale composto da fibra di amianto.
Di seguito, pongo alcune considerazioni partendo dall'articolo pubblicato sul sito di Repubblica, a firma di Antonio Cianciullo, dal titolo più che evocativo: "Le altre eternit, diecimila vittime in tanti anni di inquinamento".
Nell'articolo si concentra l'attenzione sul significato che la sentenza riveste da un duplice punto di vista: il reato non riguarda un evento singolo, come Seveso per intenderci, ma l'inquinamento "da stillicidio", causato ad un territorio e ad una popolazione "poco a poco", nel corso di anni e anni di attività.
Inoltre, e qui arriviamo alla seconda importante novità, ad essere considerati colpevoli non sono i capi di reparti o sotto reparti demandati alla sicurezza, ma l'asset proprietario dell'impresa.
Citando dall'articolo: "la sentenza di Torino è destinata a fare da apripista a tante altre. A rilanciare storie di discariche, acciaierie e impianti chimici che hanno gravemente danneggiato il territorio e la salute della gente. Oltre 5 milioni di persone interessate con dati impressionanti di mortalità in eccesso. Questo è il commento asciutto di Rino Pavanello, da 25 anni segretario dell'associazione Ambiente e lavoro".
La sentenza ha fatto notizia nei media di tutto il mondo, e sembra essere la miccia pronta a riaccendere centinaia di vertenze "dormienti" relative all'impatto sanitario e ambientale dell'inquinamento nel lungo periodo dei vecchi colossi della chimica, dell'acciaio e delle discariche sui territori che li hanno ospitati. Quei territori che, nel caso delle fabbriche e degli stabilimenti industriali sorti nel boom economico, hanno ricevuto molto in termini di lavoro e iniziale benessere, dovendo poi restituire, in una proporzione assolutamente sballata, in termini di vite umane e danni incalcolabili all'ambiente.
Per una ricostruzione accurata del profondo e controverso legame che unisce un territorio al proprio "mostro chimico" suggerisco la lettura de Il segreto tra di noi, ambientato fra le langhe piemontesi, che attraverso la vicenda letteraria racconta anche il dramma dell'Acna di Cengio, la grande fabbrica che avvelenò il fiume Bormida e i suoi operai.
Per dare conto della vastità e drammaticità della cosa, basti qui ricordare che Legambiente e Wwf hanno redatto una serie di dossier che mostrano tutte le situazioni di richieste di risarcimento.
"Il salto che si è determinato con la sentenza del tribunale di Torino, anche se siamo ancora al primo grado di giudizio, è netto", osserva Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente. "Nel caso dei grandi incidenti del passato, da Seveso a Bhopal, si è trattato di un episodio, sia pure gravissimo: e il giudizio della magistratura ha riguardato quelle specifiche responsabilità. Ma le conclusioni del processo Eternit ribaltano questo punto di vista e spostano l'attenzione sulle responsabilità per la routine quotidiana, quando questa routine comporta un rischio inaccettabile per chi vive dentro le fabbriche, per chi abita vicino agli impianti a rischio e, molto spesso, anche per milioni di altre persone che possono venire in contatto con oggetti pericolosi".
E ancora, "Patrizia Fantilli, responsabile dell'ufficio legale del Wwf, ricorda che, a questo punto, il discorso della richiesta di risarcimenti si allarga ad altre situazioni critiche. Ad esempio al poligono di Quirra, in Sardegna, dove sono stati interrati rifiuti militari (bombe, parti di missile, batterie, pneumatici) contenenti sostanze tossiche tra cui amianto e uranio.
O alla discarica di Bussi (Pescara), considerata una delle più inquinanti d'Europa: dagli anni Sessanta ai Novanta qui sono state smaltite abusivamente grandi quantità di sostanze chimiche che hanno contaminato per oltre 25 anni le falde idriche che arrivano ai pozzi utilizzati da 400 mila persone".
La condanna vale per i reati commessi negli stabilimenti piemontesi di Casale e Cavagnolo, dal 13 agosto 1999 in avanti. Altri invece risultano prescritti, come quelli contestati in determinati periodi negli stabilimenti di Bagnoli e Rubiera.
E' appena stato pubblicato il dispositivo (128 pagine, coincidenti con l'elenco delle parti civili costituite) della sentenza di Torino che condanna i capi della Eternit al risarcimento per i danni provocati ai cittadini e all'ambiente di Casale Monferranto, sede dello stabilimento in cui si produceva l'eternit appunto, un (allora) "innovativo" materiale composto da fibra di amianto.
Di seguito, pongo alcune considerazioni partendo dall'articolo pubblicato sul sito di Repubblica, a firma di Antonio Cianciullo, dal titolo più che evocativo: "Le altre eternit, diecimila vittime in tanti anni di inquinamento".
Nell'articolo si concentra l'attenzione sul significato che la sentenza riveste da un duplice punto di vista: il reato non riguarda un evento singolo, come Seveso per intenderci, ma l'inquinamento "da stillicidio", causato ad un territorio e ad una popolazione "poco a poco", nel corso di anni e anni di attività.
Inoltre, e qui arriviamo alla seconda importante novità, ad essere considerati colpevoli non sono i capi di reparti o sotto reparti demandati alla sicurezza, ma l'asset proprietario dell'impresa.
Citando dall'articolo: "la sentenza di Torino è destinata a fare da apripista a tante altre. A rilanciare storie di discariche, acciaierie e impianti chimici che hanno gravemente danneggiato il territorio e la salute della gente. Oltre 5 milioni di persone interessate con dati impressionanti di mortalità in eccesso. Questo è il commento asciutto di Rino Pavanello, da 25 anni segretario dell'associazione Ambiente e lavoro".
La sentenza ha fatto notizia nei media di tutto il mondo, e sembra essere la miccia pronta a riaccendere centinaia di vertenze "dormienti" relative all'impatto sanitario e ambientale dell'inquinamento nel lungo periodo dei vecchi colossi della chimica, dell'acciaio e delle discariche sui territori che li hanno ospitati. Quei territori che, nel caso delle fabbriche e degli stabilimenti industriali sorti nel boom economico, hanno ricevuto molto in termini di lavoro e iniziale benessere, dovendo poi restituire, in una proporzione assolutamente sballata, in termini di vite umane e danni incalcolabili all'ambiente.
Per una ricostruzione accurata del profondo e controverso legame che unisce un territorio al proprio "mostro chimico" suggerisco la lettura de Il segreto tra di noi, ambientato fra le langhe piemontesi, che attraverso la vicenda letteraria racconta anche il dramma dell'Acna di Cengio, la grande fabbrica che avvelenò il fiume Bormida e i suoi operai.
Per dare conto della vastità e drammaticità della cosa, basti qui ricordare che Legambiente e Wwf hanno redatto una serie di dossier che mostrano tutte le situazioni di richieste di risarcimento.
"Il salto che si è determinato con la sentenza del tribunale di Torino, anche se siamo ancora al primo grado di giudizio, è netto", osserva Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente. "Nel caso dei grandi incidenti del passato, da Seveso a Bhopal, si è trattato di un episodio, sia pure gravissimo: e il giudizio della magistratura ha riguardato quelle specifiche responsabilità. Ma le conclusioni del processo Eternit ribaltano questo punto di vista e spostano l'attenzione sulle responsabilità per la routine quotidiana, quando questa routine comporta un rischio inaccettabile per chi vive dentro le fabbriche, per chi abita vicino agli impianti a rischio e, molto spesso, anche per milioni di altre persone che possono venire in contatto con oggetti pericolosi".
E ancora, "Patrizia Fantilli, responsabile dell'ufficio legale del Wwf, ricorda che, a questo punto, il discorso della richiesta di risarcimenti si allarga ad altre situazioni critiche. Ad esempio al poligono di Quirra, in Sardegna, dove sono stati interrati rifiuti militari (bombe, parti di missile, batterie, pneumatici) contenenti sostanze tossiche tra cui amianto e uranio.
O alla discarica di Bussi (Pescara), considerata una delle più inquinanti d'Europa: dagli anni Sessanta ai Novanta qui sono state smaltite abusivamente grandi quantità di sostanze chimiche che hanno contaminato per oltre 25 anni le falde idriche che arrivano ai pozzi utilizzati da 400 mila persone".