Fotovoltaico e vincoli paesaggistici: quale equilibrio?

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Dopo il progetto presentato poco tempo fa (lo abbiamo visto nel post dal titolo Fotovoltaico, vincoli paesaggistici e DIA,) l’io narrante ne presenta un altro, sempre per la realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza inferiore a 1 MW.
Chiede ancora l’autorizzazione paesaggistica, che viene rilasciata “in conformità del parere e del progetto sopra indicato”…

Anche questa volta l’autorizzazione viene annullata, per carenza “di adeguate motivazioni” e difetto di istruttoria, dato che nella stessa “non sono manifestate le ragioni giustificatrici in base alle quali l’intervento è ritenuto compatibile con il contesto vincolato in relazione all’esigenza di rispetto e conservazione del paesaggio.
Inoltre, si spiega, l’intervento finirebbe per alterare “gravemente il paesaggio tutelato per la sua originaria bellezza e conformazione naturale, introducendo un elemento di discontinuità percettiva inaccettabile in un quadro panoramico di grande rilievo sotto il profilo culturale e di riconoscibilità geografica di un esteso territorio”.

Vediamo cosa ha deciso, questa volta, sempre il TAR Lecce (sentenza n. 1944/10 scaricabile dalla pagina NaturaGiuridica/fonti-rinnovabili.Come già evidenziato nel post precedente, in sede di esame del contenuto della autorizzazione paesistica e prima della conclusione del procedimento, il Ministero può motivatamente valutare se la gestione del vincolo avviene con un atto legittimo, rispettoso di tutti tali principi, e annullare l'autorizzazione che risulti illegittima sotto qualsiasi profilo di eccesso di potere (senza il bisogno di ricorrere in sede giurisdizionale e ancor prima della modifica dei luoghi), ma non può sovrapporre le proprie eventuali difformi valutazioni sulla modifica dell'area, se l'autorizzazione non risulti viziata”.
Il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica deve dunque basarsi sulla esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall'autorità che ha emanato l'autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con i fondamentali principi sulla legittimità dell'azione amministrativa.

In quel caso – ma ce ne sono tanti, sparsi sul territorio nazionale – il Collegio ha sottolineato che il provvedimento comunale, nella autorizzazione paesaggistica rilasciata in prima battuta, si era limitata ad autorizzare l’intervento “in conformità del parere e del progetto sopra indicato”, ovverosia con un difetto di motivazione (in quanto del tutto assente) ma anche con difetto di istruttoria, avendo omesso l’amministrazione comunale qualsivoglia valutazione in ordine a circostanze specifiche ed elementi concreti in base ai quali l’intervento richiesto sarebbe stato compatibile con i valori paesaggistici dell’area interessata.

E quindi?
Questa volta, il mio ricorso viene respinto, perché ai fini della valutazione positiva circa il rispetto dei valori paesaggistici, non è sufficiente una relazione elaborata a tal fine dal tecnico progettista che fa capo al soggetto che richiede l’intervento, poiché si tratterebbe di una asseverazione tecnica che è richiesta – peraltro quale condizione essenziale di efficacia – per gli interventi (di minore impatto) sottoposti a denunzia di inizio attività.
Si tratta di uno schema che è stato da sempre ricusato dal legislatore, il quale, stante l’estrema importanza da accordare alla tutela dei beni paesaggistici, ha costantemente prescritto per tali tipologie di procedimenti il meccanismo dell’autorizzazione “espressa” della P.A.

Qualora si accedesse alla tesi contraria, verrebbe meno uno dei pilastri della c.d. “compartecipazione necessaria”, la quale richiede, giocoforza:
• non solo una valutazione di legittimità da parte della amministrazione statale, ma ancora più a monte, ed in una posizione di particolare delicatezza, essendo l’unico dei due soggetti del procedimento che si può esprimere in termini di “merito” sull’intervento richiesto,
• una valutazione espressa e soprattutto autonoma, rispetto alle pur legittime valutazioni “di parte”, ad opera dell’amministrazione locale (qualora subdelegata dalla regione).

Morale? Cornuto e mazziato: ricorso respinto e condanna alla corresponsione, a favore dell’Amministrazione resistente, di 2.000 €. Caso analogo, incipit analogo da parte del giudice amministrativo, ma soluzione diametralmente opposta, quindi.

Ho messo volutamente questi due post in rapida successione per “rispondere” brevemente a tutti coloro che, magari avendo letto solo la sentenza di segno opposto (anche in ambiti diversi da quello delle energie rinnovabili: in materia di sottoprodotti, per fare un esempio, su domande molto gettonate) mi contattano per chiedermi perché “anche loro” non possono ottenere lo stesso risultato.
Perché cambiano i presupposti e le motivazioni con le quali si fanno (anche quando non si potrebbe) le “cose”.
Per questo, prima di iniziare un percorso che – si dovrebbe saperlo, nel 2011 – è pieno zeppo di imprevisti, spesso spiacevoli, è bene richiedere una consulenza ambientale preventiva, per sapere cosa, come e quando si può fare quello che si ha in testa, e quali strade alternative migliori si possono seguire per raggiungere il risultato prefissato…

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Natura Giuridica di Andrea Quaranta: Impresa di Consulenza Ambientale.

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