Panoramica delle molteplici sostenibilità (ambientali, energetiche, economiche, sociali, …) delle fonti di energia rinnovabile, con particolare riferimento al fotovoltaico in zona agricola.
Nel post “Fotovoltaico in zona agricola: DIA, titoli edilizi, autorizzazione unica e altra burocrazia…” ho illustrato brevemente qual è l’iter burocratico che occorre seguire per la realizzazione di un impianto fotovoltaico in zona agricola.
In quel caso, ripercorrevo l’iter interpretativo seguito dal TAR di Bari, che nel caso di specie aveva sottolineato che i Comuni, nell’esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio, possono prevedere aree specificamente destinate alla realizzazione di impianti fotovoltaici, in armonia con quanto disposto dalla legislazione nazionale (art. 12 del D.Lgs n. 387/03).
Quest’ultimo prevede che “nell'ubicazione (dei pannelli fotovoltaici) si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale".
Solo in mancanza di simili previsioni gli impianti fotovoltaici possono essere localizzati in tutte le zone agricole, senza alcuna distinzione.
Il post di oggi vuole essere un punto di partenza per cercare di analizzare, insieme a voi, e senza paraocchi ideologici, un tema di primaria importanza: quello relativo alla realizzazione di impianti fotovoltaici in zona agricola di prima, seconda e terza classe.
Lo spunto è offerto dai regolamenti adottati per disciplinare l’installazione di pannelli solari in campo agricolo, emanati di recente da due Comuni del cuneese: Fossano e Savigliano.
Il Comune di Fossano ha vietato la costruzione di impianti fotovoltaici nelle zone agricole ad alta fertilità (la prima e la seconda classe), mentre ha consentito la realizzazione del fotovoltaico nelle zone di classe 3.
Il Comune di Savigliano, invece, ha optato per un’altra soluzione: sì alla realizzazione degli impianti fotovoltaici in tutte le zone agricole, a patto che non venga superato il limite dei 200 Kw di potenza.
Due Comuni confinanti, due regole per la realizzazione di impianti fotovoltaici in zona agricola differenti: come la mettiamo?
Cosa devo fare, io cittadino, o io impresa, se ho un terreno agricolo a disposizione, e ho intenzione di investire in una tecnologia pulita e rinnovabile come il fotovoltaico?
Esiste una normativa che impedisce la realizzazione di un impianto fotovoltaico in zona agricola, o come dice il TAR di Bari, salvo la presenza di previsioni conformative del territorio, è possibile costruire impianti fotovoltaici senza alcuna distinzione fra zone agricole ad alta fertilità e zone agricole di minor prestigio?
È sufficiente affermare – come hanno fatto alcuni consiglieri di minoranza, nei due Comuni, e due tecnici, interpellati a dire la loro sul caso – che:
• “non si può decidere a priori che una zona è proibita”;
• vietare la costruzione di impianti fotovoltaici “significa frenare un’economia fiorente, che rappresenta un’opportunità di nuovo reddito per gli agricoltori”;
• è sufficiente l’equiparazione al reddito agricolo della produzione di energia solare, effettuata dalla circolare circolare n. 32/e del 6 luglio 2009;
• il fatto che su una giornata piemontese, un impianto da 200 Kw rende 1500 € all’anno, contro i 220 dei kiwi, i 200 delle pesche e i 52 del mais;
• (addirittura!) un divieto di costruzione di impianti fotovoltaici in zone ad alta fertilità costituisce un “divieto classista”,
per giustificare la costruzione di un impianto fotovoltaico, a prescindere da ogni altra considerazione ambientale-energetico-economico?
Un conto è affermare che gli impianti che producono energia da fonti rinnovabili devono essere incentivati: sacrosanto (e chi sostiene il contrario è un burfaldino!).
Un altro è fare discorsi superficiali d’impatto (non ambientale, ma) emotivo, senza tener conto dei tanti fattori che entrano in gioco: non solo quello meramente economico, o strettamente interpretativo, o di breve periodo.
Il fatto che manchi una politica energetico-ambientale integrata, non ci esime dall’affrontare la questione in termini concreti (ed integrati).
Dunque partiamo dall’aspetto economico, visto che è quello che sembra stare più a cuore ai detrattori delle fonti rinnovabili di energia, o a coloro che spingono per mettere un impianto eolico qua, il fotovoltaico là, una centrale a biomasse su, un impianto idroelettrico giù, perché economicamente vantaggioso, e consentito (o “consentibile”...) dalla legge.
A scanso di equivoci, le fonti di energia rinnovabile – nonostante il loro indubbio interesse e valore ambientale – qualche “limite” ce l’hanno: le fonti rinnovabili di energia, infatti, fotovoltaico in testa, non sono, né possono essere, la panacea, il deus ex machina che interviene per mettere tutto a posto (e magari tutti d’accordo).
Da tempo, ormai, infatti, si sostiene che gli attuali incentivi al fotovoltaico, contenuti nel c.d. “Conto Energia”, siano insostenibili, per almeno due ordini di motivi.
Da un lato, infatti, i soldi per finanziare le rinnovabili pesano sulla bolletta energetica di tutti noi tramite la componente A3, per una percentuale che si aggira intorno al 7,5% (fonte: Energia 24).
Dall’altro, e questo aspetto è più significativo, la concessione di questi incentivi non è stata accompagnata (nemmeno in modo non adeguato! Non è stata proprio accompagnata) da alcun sviluppo industriale nel settore del fotovoltaico.
La morale?
La risposta la troverete nella seconda puntata del post "Fotovoltaico sui terreni di prima classe agricola: si può fare?", pubblicata sul blog di Natura Giuridica giovedì 11 marzo 2010.
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Natura Giuridica di Andrea Quaranta: Studio di Consulenza legale Ambientale.
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