Certo, qualcuno potrebbe subito obiettarmi che le conclusioni dell’Avv. Generale della Corte di Giustizia, Juliane Kokott, non sono giurisprudenza…avrebbe sicuramente ragione, ma sta di fatto che, molto spesso, tali conclusioni vengono recepite in toto nelle sentenze della CGCE, perché si inseriscono sulla linea di continuità evolutiva della giurisprudenza della Corte stessa…per tale motivo ho deciso di inserirle in questa categoria…
Oggi vi voglio accennare ad una problematica quanto mai attuale: quella relativa all’incenerimento dei rifiuti, argomento quanto mai scottante in periodi di acutizzazione dell’emergenza….e soprattutto fonte di serrato scontro fra i fautori dei termovalorizzatori e i nemici giurati degli inceneritori…come vedete, anche la semantica gioca il suo ruolo!
Per cominciare ad affrontare questo argomento, “approfitto” delle conclusioni dell’Avvocato generale Juliane Kokott, presentate lo scorso 22 maggio 2008 nella causa C-251/07 (Gävle Kraftvärme AB contro Länsstyrelsen i Gävleborgs län), relativa ad una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Högsta domstol, Svezia.
Il caso
Una società svedese, che gestisce un impianto per la produzione di energia termica ed elettrica, sta organizzando una trasformazione dell’impianto, e ha programmato di installare una o due ulteriori caldaie per una potenza calorica di combustione complessiva di 85 MW: una per i rifiuti per un massimo di 50 MW, l’altra per l’incenerimento dei rifiuti domestici e industriali.
Pertanto, la società ha chiesto un’autorizzazione per l’attività dell’impianto per una potenza calorica di combustione complessiva massima di 170 MW.
La domanda include:
- l’autorizzazione per continuare a far funzionare l’attuale caldaia a combustibile solido […] nonché
- quella per installare e mettere in funzione sia una nuova caldaia per la combustione dei rifiuti.
La domanda contempla la combustione nella caldaia 1 e nella caldaia 2 di 150.000 tonnellate al massimo di combustibili solidi a base di rifiuti per ogni anno: di tale quantità di rifiuti, un massimo di 10.000 tonnellate sarebbe costituito da rifiuti pericolosi, sotto forma di legname trattato in superficie oppure di legname rivestito.
L’amministrazione provinciale competente ha ritenuto che lo scopo principale dell’impianto consistesse nella produzione di energia: pertanto lo ha autorizzato, proprio come richiedeva la società, come impianto di coincenerimento.
L'amministrazione regionale competente ha impugnato tale decisione, perchè a suo giudizio la caldaia 2 doveva essere classificata come impianto di incenerimento e non di coincenerimento.
In seguito all'accoglimento di tale ricorso, la società ha proposto ricorso, ritenendo che l’installazione debba essere considerata come un unico impianto; il giudice remittente, l’Högsta domstol (Corte di cassazione svedese), ha sollevato due questioni pregiudiziali.
Le questioni pregiudiziali
1) In base all’interpretazione della direttiva incenerimento, qualora una centrale per la produzione di energia termoelettrica sia costituita da più unità (caldaie), ogni unità deve essere considerata quale impianto, ovvero la valutazione complessiva deve riferirsi alla centrale termoelettrica nella sua totalità?
2) Un impianto costruito per l’incenerimento dei rifiuti, ma avente come obiettivo principale la produzione di energia, deve, in base all’interpretazione della detta direttiva, essere classificato come impianto di incenerimento ovvero come impianto di coincenerimento?
Tralasciando l'analisi delle questioni giuridiche, per le quali si rimanda alla lettura del testo completo, in questa sede riporterò le conclusioni dell'Avvocato Generale Juliane Kokott:
Nell’applicare la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 dicembre 2000, 2000/76/CE, sull’incenerimento dei rifiuti, a un impianto termoelettrico composto di più unità (caldaie), si deve considerare sostanzialmente ogni unità, cioè ogni caldaia e relative attrezzature, come un impianto a sé. È tuttavia possibile considerare più impianti tra loro connessi come uno solo ai fini di singole disposizioni della direttiva, a condizione che con ciò non vengono aggirate le disposizioni a tutela dell’ambiente e della salute.
La classificazione di un impianto in cui sono bruciati rifiuti come impianto di incenerimento ai sensi dell’art. 3, n. 4, della direttiva 2000/76/CE o come impianto di coincenerimento ai sensi dell’art. 3, n. 5, della stessa dipende dallo scopo principale così perseguito, se il trattamento termico dei rifiuti oppure la produzione di energia o di altro. Lo scopo principale deve risultare da circostanze oggettive.
Per leggere il testo completo delle conclusioni dell'Avvocato generale, clicca qui.
Oggi vi voglio accennare ad una problematica quanto mai attuale: quella relativa all’incenerimento dei rifiuti, argomento quanto mai scottante in periodi di acutizzazione dell’emergenza….e soprattutto fonte di serrato scontro fra i fautori dei termovalorizzatori e i nemici giurati degli inceneritori…come vedete, anche la semantica gioca il suo ruolo!
Per cominciare ad affrontare questo argomento, “approfitto” delle conclusioni dell’Avvocato generale Juliane Kokott, presentate lo scorso 22 maggio 2008 nella causa C-251/07 (Gävle Kraftvärme AB contro Länsstyrelsen i Gävleborgs län), relativa ad una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Högsta domstol, Svezia.
Il caso
Una società svedese, che gestisce un impianto per la produzione di energia termica ed elettrica, sta organizzando una trasformazione dell’impianto, e ha programmato di installare una o due ulteriori caldaie per una potenza calorica di combustione complessiva di 85 MW: una per i rifiuti per un massimo di 50 MW, l’altra per l’incenerimento dei rifiuti domestici e industriali.
Pertanto, la società ha chiesto un’autorizzazione per l’attività dell’impianto per una potenza calorica di combustione complessiva massima di 170 MW.
La domanda include:
- l’autorizzazione per continuare a far funzionare l’attuale caldaia a combustibile solido […] nonché
- quella per installare e mettere in funzione sia una nuova caldaia per la combustione dei rifiuti.
La domanda contempla la combustione nella caldaia 1 e nella caldaia 2 di 150.000 tonnellate al massimo di combustibili solidi a base di rifiuti per ogni anno: di tale quantità di rifiuti, un massimo di 10.000 tonnellate sarebbe costituito da rifiuti pericolosi, sotto forma di legname trattato in superficie oppure di legname rivestito.
L’amministrazione provinciale competente ha ritenuto che lo scopo principale dell’impianto consistesse nella produzione di energia: pertanto lo ha autorizzato, proprio come richiedeva la società, come impianto di coincenerimento.
L'amministrazione regionale competente ha impugnato tale decisione, perchè a suo giudizio la caldaia 2 doveva essere classificata come impianto di incenerimento e non di coincenerimento.
In seguito all'accoglimento di tale ricorso, la società ha proposto ricorso, ritenendo che l’installazione debba essere considerata come un unico impianto; il giudice remittente, l’Högsta domstol (Corte di cassazione svedese), ha sollevato due questioni pregiudiziali.
Le questioni pregiudiziali
1) In base all’interpretazione della direttiva incenerimento, qualora una centrale per la produzione di energia termoelettrica sia costituita da più unità (caldaie), ogni unità deve essere considerata quale impianto, ovvero la valutazione complessiva deve riferirsi alla centrale termoelettrica nella sua totalità?
2) Un impianto costruito per l’incenerimento dei rifiuti, ma avente come obiettivo principale la produzione di energia, deve, in base all’interpretazione della detta direttiva, essere classificato come impianto di incenerimento ovvero come impianto di coincenerimento?
Tralasciando l'analisi delle questioni giuridiche, per le quali si rimanda alla lettura del testo completo, in questa sede riporterò le conclusioni dell'Avvocato Generale Juliane Kokott:
Nell’applicare la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 dicembre 2000, 2000/76/CE, sull’incenerimento dei rifiuti, a un impianto termoelettrico composto di più unità (caldaie), si deve considerare sostanzialmente ogni unità, cioè ogni caldaia e relative attrezzature, come un impianto a sé. È tuttavia possibile considerare più impianti tra loro connessi come uno solo ai fini di singole disposizioni della direttiva, a condizione che con ciò non vengono aggirate le disposizioni a tutela dell’ambiente e della salute.
La classificazione di un impianto in cui sono bruciati rifiuti come impianto di incenerimento ai sensi dell’art. 3, n. 4, della direttiva 2000/76/CE o come impianto di coincenerimento ai sensi dell’art. 3, n. 5, della stessa dipende dallo scopo principale così perseguito, se il trattamento termico dei rifiuti oppure la produzione di energia o di altro. Lo scopo principale deve risultare da circostanze oggettive.
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