AIA, Autorizzazione Integrata Ambientale. Ecco i primi indirizzi per l'uniforme applicazione

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Sul n. 2/2015 della rivista "Ambiente & Sviluppo", edita da IPOSA, è stato pubblicato un articolo in materia di AIA, Autorizzazione Integrata Ambientale.
In particolare, nell’articolo si affronta il tema relativo alla ricerca di uniformità normativa nelle diverse regioni italiane, e si analizzano i primi indirizzi per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale della disciplina in materia di AIA.
Quella che segue è un a sintesi del contenuto (non sono presenti le numerose note), e soprattutto alcune riflessioni finali.
Per il testo completo dell’articolo, collegarsi al seguente indirizzo web.

Supporre va bene, ma approfondire è meglio
Il nostro diritto dell’ambiente – anche se è ormai diventato un’ovvietà, occorre ribadirlo – è sovraffollato di norme figlie di una politica priva di una visione prospettica e strategica (e per questo destrutturate e fragili), dettate dalla (presunta, o artefatta) emergenza di turno (e per questo fra di loro scoordinate e contraddittorie) e al contempo piene di rinvii, deroghe, eccezioni e spesso vuote (per mancanza dei decreti attuativi), e per questo prive di una reale pregnanza.
Ma, soprattutto, le norme ambientali sono, più di altre, diversamente interpretabili, e per questo, nei fatti, spesso inefficaci, oltre che foriere di atteggiamenti e/o decisioni contraddittorie, a seconda dell’autorità (competente?) o del giudice che ci si trova di fronte.
Anche la normativa sull’AIA, recentemente modificata dal decreto “emissioni industriali” non è sostanzialmente sfuggita a questo paradigma.
Per quanto concerne gli aspetti tecnico-giuridici dettati dal D.Lgs n. 46/2014 si rimanda il lettore agli articoli pubblicati su questa rivista; in questa sede si vuole invece porre l’attenzione sulle “prime linee” di indirizzo sulle “modalità applicative” della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, emanate dal ministero dell’ambiente a valle dei “primi approfondimenti” finora svolti dal Coordinamento istituito proprio dal decreto “emissioni industriali” per l’uniforme applicazione [dell’AIA] sul territorio nazionale.
Tali “primi indirizzi” costituiscono una (prima) direttiva per la corretta applicazione della norma, che all’indomani della sua entrata in vigore è già stata oggetto di numerosi quesiti da parte delle autorità competenti al rilascio dell’AIA e dalle associazioni di categoria degli operatori economici interessati i quali, in balìa delle “supposizioni applicative”, cui anche questa normativa dà adito, ha preferito chiedere al ministero di dettare “disposizioni applicative” in grado di evitare, almeno in parte, interpretazioni disomogenee e, in ultima analisi, “difformità applicative”.
Perché, come diceva un grande scrittore americano, Mark Twain, “supporre va bene, ma approfondire è meglio”.

Le “linee guida ante litteram”
A pensarla così – approfondire è meglio che dare per scontato, e serve a rendere la norma più omogenea nella sua applicazione – è stata, ancora prima del recepimento della direttiva 2010/75/UE, la regione Emilia Romagna, che nel settembre dello scorso anno, preso atto che, a distanza di più di nove mesi dalla data finale entro la quale l’Italia avrebbe dovuto recepire la direttiva 2010/75/UE , nulla era ancora stato fatto, ha emanato le proprie “prime indicazioni di merito”.
Gli “approfondimenti di tipo tecnico e giuridico in merito agli adempimenti e alle tempistiche dettate dalla direttiva” dovevano servire soprattutto ad “assicurare una tempestiva conformità delle azioni amministrative operanti sul territorio regionale alle normative europee”, tenuto conto che, [...]

Le indicazioni operative della “Commissione Ambiente e Energia” della Conferenza delle Regioni
Nelle premesse della proposta di deliberazione della Commissione in materia di indirizzi urgenti per l’attuazione del decreto emissioni industriali, si legge testualmente che “le nuove disposizioni [...] introducono numerosi elementi innovativi in chiave applicativa, oltre ad introdurre nuove fattispecie di attività soggette, circostanza che, com’era naturale attendersi, ha da subito dato luogo a problemi nell’interpretazione uniforme e coerente della norma”.
Non a caso il legislatore delegato aveva previsto l’istituzione di un coordinamento per l’uniforme attuazione della normativa sul territorio nazionale, al quale alla data del 29 luglio 2014, in attesa delle linee guida nazionali, erano arrivate molte richieste di chiarimento sulla corretta interpretazione della normativa, fra le quali alcune rilevanti questioni concernenti il campo di applicazione e l’assoggettabilità, che “pretendono un orientamento condiviso tempestivo, anche in vista della prossima scadenza del 7 settembre p.v. entro la quale i soggetti ricadenti per la prima volta nella direttiva IED devono presentare domanda AIA”.
E così, “quantomeno per le questioni indifferibili”, la Commissione ha ritenuto di “fornire senza ulteriore ritardo le necessarie indicazioni operative alle autorità competenti [...] in ordine ai più rilevanti ed impellenti aspetti problematici”, relativi agli aspetti sintetizzati nella tabella che segue [...]

I primi indirizzi applicativi delle regioni [...]

Le linee di indirizzo nazionali: il confronto
Con la circolare n. 22295 del 27/10/2014 il MATTM:
  • alla luce dei chiarimenti forniti dalla DG ambiente della Commissione europea e degli approfondimenti finora svolti dal Coordinamento, testé sintetizzati,
  • e anche in riscontro a quesiti pervenuti in merito dalle autorità competenti al rilascio dell’AIA e dalle associazioni di categoria degli operatori economici interessati,
ha diramato i primi indirizzi per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale della disciplina in materia di AIA, che in parte riprendono la struttura degli approfondimenti del Coordinamento, salvo discostarsene in alcuni punti (sia in melius, sia in peius), e in parte aggiungono linee di indirizzo.
Dal confronto fra le due discipline emerge che, al di là della diversa numerazione degli indirizzi, nelle linee guida nazionali:
1. non sono contenuti gli “indirizzi” relativi alla “capacità produttiva/limite legale, al tariffario, alla transcodifica dei rifiuti, alle garanzie finanziarie e agli autodemolitori;
2. risultano essere più precise la definizione di attività connessa, l’indicazione per la presentazione della relazione di riferimento e quella concernente le soglie delle attività di prodotti alimentari o mangimi, le modalità di gestione dei procedimenti in corso;
3. al contempo, sono più imprecisi i riferimenti agli “impianti esistenti non già soggetti ad AIA”;
4. sono sostanzialmente identiche le linee guida relative ai frantumatori metallici, alla capacità di incenerimento, all’impiego delle linee guida MTD e all’applicazione dell’istituto del rinnovo periodico;
5. sono inseriti altri approfondimenti interpretativi (definizione di sito; nozione di pollame; oggetto dei controlli; sospensione dell’autorizzazione; obblighi di pubblicazione).

La promessa uniformità
Nel loro complesso, queste prime linee di indirizzo sulla modalità applicative della disciplina sull’AIA possono essere valutate tutto sommato positivamente, come primo (o parziale) tentativo di sistematizzare e rendere intelligibile la normativa, che alle nostre latitudini è sempre diversamente interpretabile.

Un primo aspetto positivo riguarda la definizione del concetto di attività connessa, ulteriormente spiegato dal MATTM, rispetto ai più timidi e confusi (sul punto) orientamenti del Coordinamento.
Il ministero, infatti, pone le basi per prendere in considerazione il “verso” della connessione.
In altri termini, fino alla novella normativa, due attività erano considerate connesse fra di loro su un piano – per così dire – paritario: un impianto di produzione e la sua centrale termica erano impianti tout court connessi.
Oggi, invece, ai sensi di quanto specificato al punto 2b) delle linee guida nazionali (ma non preso in considerazione, invece, dal Coordinamento), il legislatore lascia la facoltà ai gestori di chiedere comunque di considerare il complesso produttivo quale unica installazione (ma anche no), nel caso in cui “le modalità di svolgimento hanno una qualche implicazione tecnica con le modalità di svolgimento dell’attività IPPC”, e in particolare nel caso in cui il loro “fuori servizio” sia in grado di determinare – direttamente o indirettamente – problemi all’esercizio dell’attività IPPC.
Nel caso in cui manchi la richiesta esplicita del gestore, l’attività non può essere considerata connessa.

Una seconda miglioria concerne la proroga di validità dell’AIA in corso con un semplice carteggio fra gestore e autorità competente, e non con un formale, e pesante, aggiornamento dell’atto. Da segnalare che il MATTM, nel riprendere sostanzialmente quanto già messo in luce dal Coordinamento, specifica tuttavia le cause che hanno indotto lo stesso ministero a prevedere tale snella (e utile) modalità operativa: “spesso, infatti, nei procedimenti AIA è riportata espressamente la prevista data di rinnovo, e pertanto la violazione di tale scadenza potrebbe essere considerata violazione di una condizione autorizzativa”.
Insomma, un’incertezza interpretativa nel tempo e nello spazio che comunque, sia pure potenziale, non faceva bene al sistema.

Possiamo considerare un miglioramento anche:
  • la precisazione (anche questa non prevista dal Coordinamento) in base alla quale, nel caso di sospensione dell’autorizzazione, come anno di riferimento per calcolare la reiterazione per più di due volte della violazione delle condizioni dell’AIA, occorre considerare i 365 giorni precedenti l’ultimo accertamento, e non l’anno solare “X”: un’interpretazione che sembra riportare sui giusti binari la norma, in precedenza diversamente interpretata a livello territoriale;
  • la previsione del trasferimento (punto 4-b, secondo alinea) “per seguito di competenza alle autorità competenti al rilascio delle altre autorizzazioni ambientali di settore” nel caso in cui, a seguito dell’emanazione del decreto “emissioni industriali”, le installazioni non sono più soggette ad AIA.

Più in generale, come s’è fatto cenno, è da apprezzare lo sforzo compiuto dal ministero per cercare di cominciare a rendere questa normativa meno incerta e, di conseguenza, più facilmente applicabile.

Non mancano, per la verità, anche aspetti critici e criticabili, relativi, ad esempio, alla mancata considerazione (e alla mancata motivazione di tale scelta) di alcuni aspetti oggetto, invece, dell’analisi del Coordinamento, o al minor dettaglio di altri indirizzi già trattati dal Coordinamento a fronte dell’inserimento di indirizzi che, seppur utili, non sembravano, a chi scrive, nell’ottica di questa “strategia semplificatoria ex post”, così urgenti (rispetto ad altri) da trattare nelle prime linee guida di indirizzo sulle modalità applicative della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento.

La sfuggevolezza dell’ovvio e la necessità di regole chiare e condivise

In un passo de “Le avventure si Sherlock Holmes” si legge che “nulla è più innaturale e sfuggevole dell’ovvio”.

Come a dire: è innaturale dare per scontato, perché ciò che è ovvio per un soggetto (ad esempio, il legislatore, nel momento in cui legifera), può non esserlo, e spesso non lo è, per un altro (nell’esempio: l’operatore del settore, nel momento in cui deve cercare di osservare le leggi), di modo tale che quest’ultimo, in assenza di una norma chiara, può legittimamente presumere di poter agire correttamente, salvo poi scoprire che quello considerava corretto era in realtà frutto di una sua libera (o giustificabile) interpretazione.
Con tutte le conseguenze burocratiche, amministrative, temporali, sanzionatorie ed economiche del caso.

Il punto focale è, allora, probabilmente proprio quest’ultimo: un errore che spesso viene fatto è quello di presumere troppo, di supporre.
Ma se il consulente è – diciamo – in qualche modo incentivato dalla legge (rectius da questo modo di legiferare) ad agire in questo modo, non altrettanto si può dire per il legislatore (che dovrebbe avere un altro ruolo), il quale spesso abbina a questa presunzione la pretesa di essere stato chiaro: concetto che implica almeno completezza e adeguatezza, sia contenutistica che temporale.

Ora, in considerazione del fatto che il nostro nomoteta non brilla né per chiarezza né per completezza, e che spesso (e volentieri) arriva dopo (dopo che un problema si è verificato, che un termine è scaduto, che un danno è stato fatto, ...), aumentando, anche per questa via, la smania regolatrice delle regioni, che si sentono ulteriormente autorizzate ad agire secondo coscienza, ben vengano queste prime linee di indirizzo.
A patto che possano costituire idealmente l’inizio di un nuovo modus operandi del legislatore, volto a cominciare un percorso nel quale l’incertezza applicativa – comunque inestirpabile al 100% – deve rimanere soltanto quella fisiologica. Da curare, all’occorrenza, con linee guida di orientamento.
Diversamente, ci troveremo, fra neanche molto tempo, a commentare le trecentesime linee guida (o orientamenti, indirizzi, criteri, non fa differenza), emanate a valle dell’ennesimo – forse anche reiterato – SOS interpretativo da parte degli operatori del settore, pubblici o privati che siano.
E, quindi, dopo che l’incertezza normativa avrà già prodotto nuovi ed ulteriori danni burocratici, amministrativi, temporali, sanzionatori ed economici del caso.

Un new deal legislativo nel quale il legislatore non supponga (magari anche sotto la spinta dell’emergenza di turno) ma approfondisca, per farsi capire (e, conseguenza non del tutto marginale: farsi rispettare), specie perché predica, continua a predicare, una semplificazione che, nei fatti, continua ad essere un argomento astratto e non praticato.
Semplificare significa magari anche spiegare all’utente della legge (spesso considerato, e trattato, come un utonto) concetti che possono anche apparire ovvi (pollame compreso): ma bisogna farlo prima, in modo organico, strutturato, strutturale, autorevole – e non sempre dopo, con prime indicazioni, che forse saranno seguite da seconde, terze... trecentesime linee guida.
Semplificare significa, in ultima analisi, permettere al Sistema di spiegare le ali, e permettergli quel salto di qualità che, oggi più che mai, serve al nostro Paese, martoriato anche da problemi e diktat esogeni, ma in gran parte vittima di questo suo modo di non fare le cose, di non darsi delle regole chiare, di dichiarare la condivisibilità di alcuni principî, salvo non condividerne alcuna applicazione pratica.

Salvo non condividere, più in generale, e a livello locale, le sorti comuni, accontentandosi di pensare al proprio particulare, e di dare la colpa “agli altri”.

Chiunque essi siano, ma senza alcuna linea guida che ci permetta di individuarli...