Amianto: il datore di lavoro è oggettivamente responsabile? Cassazione 18627/13

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L’art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge (in materia di amianto, nel caso di specie) o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, sicché incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore dì lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi

È scientificamente assodato che la tossicità dell'amianto si manifesta principalmente in caso di inalazione delle relative fibre e che il rischio per la salute è direttamente legato alla quantità ed al tipo di fibre inalate, alla loro stabilità chimica nonché ad una predisposizione personale a sviluppare la malattia. 
In altre parole, la scienza medica ha appurato che mentre nel mesotelioma pleurico, nei soggetti suscettibili esposti ad amianto, l'effetto cancerogeno può essere conseguente ad una "dose" estremamente bassa, al contrario, per tutti gli altri tumori - compreso il carcinoma polmonare da amianto - dosi basse non producono effetti epidemiologicamente dimostrabili. 
È stato anche specificato che il carcinoma polmonare è in rapporto sicuro con l'amianto solo se vi è asbestosi o "l'evidenza di un'affezione pleurica causata dall'amianto", in quanto in difetto di tali evenienze, il suddetto tumore può essere conseguenza, ad esempio, del fumo di sigarette. Il che presuppone obiettivi riscontri anatomo-patologici e il rinvenimento di fibre di amianto nei polmoni in quantità rilevanti. 

Nella fattispecie analizzata dalla Cassazione (18627/13), la Suprema Corte ha evidenziato che, se è vero che i ferodi dei freni dei mezzi meccanici di vecchia fattura contenevano amianto e ciò vale anche per quelli dei sistemi frenanti degli ascensori, è altrettanto vero che l’affermazione del collegamento - causale o concausale - dell'esposizione all'amianto con l'insorgenza di un tumore polmonare da parte di un manutentore ascensorista (venuto in contatto con ferodi dei freni di vecchia fattura) è necessario dimostrare l'effettiva ricorrenza delle condizioni di polverosità da asbesto dell'ambiente di lavoro.
Va, inoltre, considerato che l'esposizione all'amianto nella lavorazione sui sistemi frenanti assume, per i manutentori ascensoristi, un rilievo diverso rispetto a quello che si riscontra nella cantieristica navale, per i lavoratori che hanno svolto attività di manutentori meccanici (con interventi sui sistemi frenanti di gru e carri ponte spesso effettuati con frequenza giornaliera, dato l'elevato numero di mezzi meccanici da sottoporre a manutenzione periodica) così come per gli addetti ai sistemi frenanti di automezzi di medie e grosse dimensioni delle aziende di trasporto pubblico nonché per gli operai meccanici che abbiano svolto anche il lavoro di gommista, stando così a stretto contatto con le polveri di amianto che si raccolgono sia all'interno di tutto il sistema frenante sia all'interno degli pneumatici. 
Di qui l'esclusione della rilevanza causale o concausale della suddetta esposizione rispetto alla malattia, cioè la configurazione di tale elemento come antecedente privo, in concreto, dì efficienza causale.