Il legislatore Linus e i project (James) Bond in materia energetico-ambientale

0 commenti
La finanza sta entrando prepotentemente anche nel settore dell'energia: oltre a strumenti fiscali, infatti, i Governi degli Stati europei stanno studiando strumenti finanziari per aiutare - si dice - lo sviluppo del settore.
Ma i project bond in materia di energia, ultima trovata, oltre ad essere (resi) così sberluccicanti, sono tutta rose e fiori o nascondo insidie pericolose?

Di recente su “Il Quotidiano IPSOA” è stato pubblicato un articolo relativo a questa problematica (“Project (James) Bond: un infiltrato nelle politiche nazionali?”).

In estrema sintesi, si è messo in evidenza che, nonostante l’attuale crisi economica sia stata provocata anche da un disinvolto abuso di strumenti finanziari (spacciati come panacea buona per ogni stagione), sembra che la politica moderna non possa fare a meno di invocarne l’uso ogni qualvolta si tratti di giustificare il raggiungimento di un obiettivo. 
Anche il Governo dei tecnici, infatti, non è sfuggito a questa tentazione, e nel contesto delle misure adottate in rapida successione negli ultimi mesi per rilanciare la realizzazione di opere pubbliche in regime di partenariato pubblico-privato ha dato un rilievo particolare ai project bond, obbligazioni emettibili per finanziare le infrastrutture (ferroviarie, energetiche, idrauliche, telecomunicazioni, etc.) del nostro Paese (c.d. project financing),
“destinate a realizzare un passaggio da un sistema di finanziamento delle grandi opere prevalentemente bank-based ad un sistema market-based. Il recente decreto “crescita” ha apportato delle modifiche alla disciplina dei project bond per renderne più appetibile l’emissione e la sottoscrizione. I project bond sono emissioni obbligazionarie finalizzate alla realizzazione di opere infrastrutturali che consentono di coinvolgere capitali privati nel finanziamento di tali opere, soprattutto in una fase economica, come quella attuale, in cui le consuete fonti di finanziamento (in primis il credito bancario) non consentono una sufficiente disponibilità di risorse”.
In sostanza, i project bond non sono altro che titoli obbligazionari utili per realizzare un determinato progetto, con il rimborso che viene assicurato dai flussi di denaro che il progetto stesso riesce a garantire: il funzionamento si basa sul cosiddetto “tranching”, ovvero la suddivisione del prestito in tranches, con diversi gradi di rischio, il più rischioso dei quali è posto a carico della BEI.

Con il rating di ogni tranche che, in questo modo, diventa più alto, gli investitori sono più propensi a finanziare i progetti e i bond costano di meno….

Oltre ai (millantati? presunti? indubitabili?) vantaggi che i project bond possono portare – “riduzione dei tassi di interesse applicati nei project bond rispetto ai prestiti bancari, se è previsto uno schema di rating e garanzie elevate (con intervento ad esempio di assicurazioni per la garanzia dei bond); durata dei finanziamenti più elevata rispetto ai prestiti bancari tradizionali; impatto sul bilancio pubblico limitato, nel caso in cui si renda necessario un intervento pubblico”, secondo le parole del vice ministro alle infrastrutture Ciaccia – sono molti gli aspetti intrinsecamente negativi che i project bond contengono.

Nella relazione sulla proposta di regolamento, il relatore Göran Färm evidenziava, fra gli “aspetti che destano preoccupazione” la necessità di trovare il
“giusto equilibrio tra i poteri delegati accordati alla Commissione e alla BEI e gli obblighi di informazione e i meccanismi di responsabilità”.
Un difficile mix fra criteri vincolanti (necessari per rendere equo il sistema) e libertà d’azione che, “in considerazione del mutevole ambiente economico e finanziario”, non possono essere troppi e troppo stringenti, “in modo da concedere a questo nuovo mercato una maggiore flessibilità per svilupparsi”. 

Oltre ai limiti intrinseci del sistema – riassunti prudentemente con la formula “aspetti che destano preoccupazione” – vi sono altri aspetti negativi, di cui occorre tener conto, specie alla luce di quanto la finanza è stata in grado di combinare negli anni passati.

Innanzitutto le tempistiche: le opere cui sono collegati i project bond richiedono molti anni per la loro realizzazione, spesso inconciliabili con i tempi propri del mercato.

Quindi, oltre all’endemico problema italiano, relativo ai continui stravolgimenti normativi, che non hanno facilitato, e non continueranno a farlo, rebus sic stantibus, gli investimenti nel nostro Paese:

  • le potenziali complicazioni (con lievito dei costi) insite in progetti (come quelli relativi all’efficienza energetica, complessi e spesso frammentati) che sul piano economico offrono strutturalmente di ritorni contenuti e di lungo periodo, e 
  • il coinvolgimento di troppi, ulteriori attori, rispetto a quelli necessari: banche d’affari coinvolte nella valutazione del progetto, nella creazione e nella successiva distribuzione dei project bond; investitori istituzionali; BEI; agenzie di rating. 
A tale, ultimo, proposito, occorre segnalare, inter alia, che:
  • i grandi investitori istituzionali vengono inevitabilmente attratti da questo tipo di intervento pubblico – attuato tramite il sistema delle garanzie e il ruolo assunto dalla BEI – necessario per rendere possibile tale struttura finanziaria. In questo modo gli investitori sono tutelati, (come dimostrato dal cit. sistema del tranching), ma gli Stati rinunciano a parte del loro potere di decidere il futuro, considerato alla stregua di una scelta (di pura convenienza) fatta da parte di soggetti il cui unico scopo, lungi da quello di realizzare un’opera necessaria (che richiede tempi molto lunghi), è rappresentato dal profitto (che di solito è più impaziente); 
  • la BEI può essere oggetto di un declassamento, da parte delle agenzie di rating, che potrebbe vanificare in parte il presunto vantaggio dello schema di condivisione del rischio; 
  • le agenzie di rating avranno un ulteriore strumento di potere per condizionare il mercato. 
Se a ciò si aggiunge che rumors sottolineano la necessità di un’apertura verso una clientela retail, al fine di realizzare un mercato liquido ed efficiente di project bond, il cerchio si chiude, e lascia intravedere il grande (nuovo e già conosciuto) rischio speculativo, che vede coinvolti i soggetti, peraltro già noti, che hanno causato le precedenti “bolle”, da un lato.
E i perdenti, dall’altro.