Biomasse, rifiuti, FORSU: quando e come sono energie rinnovabili?

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La normativa in materia di fonti rinnovabili di energia e quella sulla gestione dei rifiuti si intrecciano quando una fonte rinnovabile è costituita (come ad esempio nel caso delle biomasse) da sostanze che, per altri aspetti, e al ricorrere di diverse circostanze fattuali, possono essere considerate rifiuti.

Con la sentenza n. 897/12 il Tar Piemonte è tornato sul delicato rapporto rifiuti-rinnovabili, stabilendo che agli impianti che producono energia rinnovabile tramite trattamento di rifiuti biodegradabili è certamente applicabile sia la normativa afferente la produzione di energia da biomasse, sia la normativa sulla gestione dei rifiuti.
Il Tar Piemonte ha analizzato il ricorso di una società novarese contro la Provincia di Asti per l’annullamento della procedura di archiviazione dell'autorizzazione per la costruzione e l’esercizio di un impianto di energia elettrica alimentato a cippato di legno detannizzato: l'amministrazione infatti non reputava tale rifiuto come una biomassa combustibile per via del doppio trattamento meccanico e termico.
Partendo dall’elencazione della definizione comunitaria e da quelle nazionali, il TAR Piemonte ha evidenziato che – alla stregua dell’analisi condotta – emerge con chiarezza che non solo è fisiologico che la problematica dei rifiuti e quella delle biomasse si intersechino, ma che è anche naturale che, all’interno del sistema normativo, possano coesistere più definizioni di biomassa, ognuna funzionale ad una determinata disciplina. Di conseguenza, è inutile tentare la ricostruzione di un’unica e universalmente valida definizione di biomassa, proprio perché tale tentativo si scontrerebbe con la molteplicità di definizioni prevista, e tollerata, dal sistema.

In sostanza, per applicare correttamente la normativa, occorre effettuare un’analisi del testo nel contesto: “comprendere a quale fine e in quale contesto la definizione di biomassa deve essere ricostruita, per poter procedere all’individuazione della giusta definizione. Ne deriva la fisiologica possibilità che, ciò che in un determinato contesto è soltanto un rifiuto, in un altro possa assumere il valore di fonte rinnovabile di energia”.
Ai fini che qui interessano, l’unica definizione di biomassa (testo) pertinente, nell’ambito della disciplina afferente le fonti rinnovabili di energia (contesto), è quella dettata dall’art. 2 del DLGS n. 387/03.
Non sono pertinenti, pertanto – perché non contestualizzate – le definizioni ricavabili da altre normative, non dettate in attuazione specifica della direttiva comunitaria in materia di fonti rinnovabili di energia.

Il TAR di Torino, con la cit. sentenza, nell’accogliere il ricorso e, di conseguenza, nell’annullare la delibera impugnata, ha in realtà affrontato diverse tematiche:

  1. quella relativa alle competenze in materia di determinazione del fabbisogno di impianti per la gestione dei rifiuti;
  2. a proposito del ruolo della programmazione regionale, il TAR di Torino ha sottolineato che l’individuazione degli impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi di provenienza regionale o extraregionale deve avvenire in sede di approvazione del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti, ancorché per tale tipologia di rifiuti valga il principio di libera circolazione;
  3. da quanto sopra sintetizzato, ne deriva, in relazione all’ambito di gestione dei rifiuti, che a) i rifiuti urbani non pericolosi devono essere gestiti solo in ambito regionale, e b) il principio di libera circolazione, valevole per quella frazione di essi destinata al recupero, costituisce dunque una deroga ad un divieto generale che deve essere fatta oggetto di stretta interpretazione;
  4. é nel quarto e ultimo punto che oggetto dell’analisi del TAR di Torino è l’eventuale possibilità di sottrarre l’impianto de quo dalla disciplina speciale sui rifiuti, in ragione della sua finalizzazione alla produzione di energia elettrica e della riconducibilità della FORSU al concetto di “biomassa” utile alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Il Collegio ha rilevato che l’attività di “recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi sono definite dall’allegato C alla parte quarta del DLGS n. 152/06, lettera R3, tra le operazioni di recupero dei rifiuti, indipendentemente dalla finalizzazione della attività.
Allo stesso modo al punto R1 si considera attività di recupero dei rifiuti l’utilizzo di rifiuti principalmente come combustibile e come altro mezzo per produrre energia, indipendentemente dalla energia sviluppata”.

Come logica conseguenza, le attività di compostaggio di rifiuti nonché l’attività di trattamento anaerobico di rifiuti finalizzata alla creazione di biogas e alla produzione di energia o calore, devono essere annoverate tra le attività di recupero dei rifiuti, la quale attività appartiene al ciclo di gestione dei rifiuti, ed è quindi soggetta alla relativa disciplina, nella quale è compresa la programmazione territoriale di settore.

Nella fattispecie, il Collegio non ha condiviso l’assunto della società, secondo la quale la FORSU utilizzata per la produzione di energia rinnovabile perde la sua connotazione di “rifiuto” per assumere quella di “biomassa”, con la conseguenza di rendere inapplicabile la normativa in materia di rifiuti agli impianti che utilizzano rifiuti biodegradabili per la produzione di energia rinnovabile.
La circostanza che la FORSU, come altri rifiuti biodegradabili, possa qualificarsi come biomassa ai fini della applicabilità delle norme in materia di produzione di energia rinnovabile, infatti, “non toglie che essa è e continua ad essere un rifiuto sino a che, ad ultimazione del ciclo di trattamento, viene definitivamente trasformata in un prodotto secondario.
L’energia traibile dalla attività di recupero dei rifiuti biodegradabili costituisce solo una utilità che si affianca a quella insita nel recupero dei rifiuti stessi, e che tale utilità possa costituire il motivo principale che induce il gestore alla apertura dell’impianto non altera la natura della attività, che resta pur sempre anche una attività oggettivamente deputata al recupero degli stessi. Del resto è evidente che il trattamento dei rifiuti biodegradabili utilizzati per la produzione di energia rinnovabile ne garantisce il corretto recupero solo ove assoggettato interamente alla normativa sui rifiuti, la quale costringe il gestore dell’impianto a non disinteressarsi dei rifiuti trattati dopo averne sfruttato le capacità energetiche”.
Agli impianti che producono energia rinnovabile tramite trattamento di rifiuti biodegradali sarà quindi certamente applicabile – come lo stesso TAR ha affermato nella cit. sentenza n. 1563/09) – la Sezione ha già chiarito nella sentenza n. 1563/09 – sia la normativa afferente la produzione di energia da biomasse, sia la normativa sulla gestione dei rifiuti: “tale statuizione non si pone in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria sulla produzione di energia da fonti rinnovabili, la cui applicazione non può e non deve tradursi nella selvaggia proliferazione di impianti di notevole impatto ambientale, e soprattutto non deve portare a pratiche idonee a compromettere la programmazione della gestione dei rifiuti ed il corretto recupero degli stessi.