La condizione di urgenza nella consulenza ambientale

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Questo articolo prende spunto da un piccolo ma illuminante "sfogo" di Corrado Tumaini dal titolo "Consulenti Ambientali: cosa stiamo diventando" a proposito di cosa si richiede oggi ad un consulente ambientale (intervenire in situazioni di emergenza e risolverle), e di come invece le cose dovrebbero andare.
Nel suo articolo Tumaini afferma quanto segue: "Sono consulente, il mio ruolo deve essere:
  • promuovere le istanze del Cliente;
  • facilitare lo sviluppo delle procedure; 
  • rimuovere il problema con un processo sequenziale di analisi & sintesi basato su quattro elementi portanti: 1) la valutazione del problema, 2) la scelta della strategia di gestione, 3) il controllo della tensione attorno al caso, 4) la comunicazione. Ritengo mio compito ricercare il corretto equilibrio tra le differenti istanze, tale da consentire l’adozione di azioni proporzionate, non discriminatorie, trasparenti e coerenti, di richiedere una procedura strutturata che applichi decisioni assunte sulla base di informazioni particolareggiate e obiettive". 
E invece scrive cosa gli capita sempre più spesso: "Da un po’ di tempo, nel prestare il mio servizio di consulente ambientale avverto di somigliare sempre più alla casalinga autistica intenta a mettere ordine nel cassetto dei bottoni mentre tutto intorno delinquenti e nuovi groll, indisturbati, devastano la Casa".

Le sue considerazioni non possono che essere condivisibili perché, da sempre, si ricorre alla consulenza ambientale in "condizione di urgenza", tipicamente nel momento in cui un proprio bene "subisce" un provvedimento quale un sequestro, ritenendo insomma "normale"  che il consulente ambientale intervenga normalmente ex post e sani l'esito finale di situazioni anomale o processi anche con lontanissimi prodromi nel passato.
Un po' come andare dal dentista quando il dente è già così malandato che l'unica opzione possibile resta quella di toglierlo.


Questo modo di agire trasforma l'attività di consulenza ambientale in qualcosa di schizofrenico, che mal si concilia con la sua natura: il consulente ambientale dovrebbe infatti essere interpellato ben prima del verificarsi di tali eventi, proprio al fine di fornire al cliente un ventaglio di scelte e opzioni possibili, tra le quali sia possibile scegliere quella che che meglio concilia gli interessi del cliente stesso con gli obblighi di legge e con la sostenibilità ambientale.
Invece, il più delle volte, "inazione, smarrimento, ipocrisia, confusione, irresponsabilità, [che] impediscono l’accesso al problema, lo avvolgono di una tensione peciosa, lo ingigantiscono ogni oltre misura".
Un modo di fare che, ahimé, è comune sia a moltissimi imprenditori sia ad altrettanti privati cittadini e pubbliche amministrazioni.
Sembra quasi che ragionare "a preventivo", essere ciò un inglese definirebbe "proactive", qui in Italia sia l'equivalente del più familiare "rompicoglioni". Eppure, non è così.
Essere proattivi, programmare le scelte future è semplicemente assai meno impegnativo che far fronte ogni giorno a nuove emergenze. Meno impegnativo e meno costoso. Ricordatevelo: prevenire è meglio che curare, e costa molto di meno. Chè tanto, prima o poi, i nodi di una politica aziendale non improntata ai criteri sostenibili di prevenzione, vengono al pettine. Con costi sproporzionati.
Si tratta di una strategia che premia chi sa guardare più in là del proprio naso, nel "famigerato" lungo periodo.
E' questa, a mio parere, la caratteristica che distingue coloro che sono destinati a conseguire, nel tempo, grandi risultati - pochi, davvero pochi - da tutti gli altri....