Come sapete, il D.Lgs. n. 152/06 (Testo Unico Ambientale) ha introdotto il concetto di sottoprodotto, modificando i termini di riferimento del dibattito sulla questione dell’inquadramento del riutilizzo di una sostanza o materia all’esito di un processo di produzione o consumo
Tale concetto, in realtà, era già presente nelle decisioni della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia: qui veniva ammesso in via generale, pur circoscrivendolo al riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare e nel corso del processo di produzione.
La giurisprudenza comunitaria, in particolare, si era orientata verso l’esclusione dal concetto di sottoprodotto sia dei residui di consumo, che dei beni riutilizzati presso terzi, conclusione cui è pervenuta anche la Suprema Corte, facendo leva sull’obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla natura dello stesso.
Vorrei cominciare a parlarvi di sottoprodotto cominciando da una sentenza della Corte di Cassazione dell’anno scorso, la n. 14557 del 2007 (Palladino)
Il caso
Con sentenza del 2004, il Tribunale monocratico di Alba aveva condannato la Sig. Palladino […] perché – quale titolare della ditta individuale CTP – aveva depositato in modo incontrollato circa 20 mc di rifiuti non pericolosi di varia specie nel cortile esterno adiacente al capannone della ditta.
Il giudice aveva osservato e accertato in linea di fatto che:
Tale concetto, in realtà, era già presente nelle decisioni della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia: qui veniva ammesso in via generale, pur circoscrivendolo al riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare e nel corso del processo di produzione.
La giurisprudenza comunitaria, in particolare, si era orientata verso l’esclusione dal concetto di sottoprodotto sia dei residui di consumo, che dei beni riutilizzati presso terzi, conclusione cui è pervenuta anche la Suprema Corte, facendo leva sull’obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla natura dello stesso.
Vorrei cominciare a parlarvi di sottoprodotto cominciando da una sentenza della Corte di Cassazione dell’anno scorso, la n. 14557 del 2007 (Palladino)
Il caso
Con sentenza del 2004, il Tribunale monocratico di Alba aveva condannato la Sig. Palladino […] perché – quale titolare della ditta individuale CTP – aveva depositato in modo incontrollato circa 20 mc di rifiuti non pericolosi di varia specie nel cortile esterno adiacente al capannone della ditta.
Il giudice aveva osservato e accertato in linea di fatto che:
- nel cortile adiacente al capannone della ditta predetta erano stati abbandonati da almeno sei/sette mesi circa 20 mc di cascami di fibre tessili e ovatta, resti di imballaggi e imballaggi leggeri in plastica;
- il materiale era stato venduto alla CTP dalla Sas Filplast, il cui rappresentante aveva dichiarato che esso era destinato a essere rivenduto “tal quale” ad allevatori di animali (che lo utilizzavano come lettiere), a produttori di filtri per l’olio e a produttori di compostaggio;
- la stessa Palladino, nel corso dei suo esame, aveva confermato che il materiale era destinato ad altre ditte per essere successivamente riutilizzato.
Sulla base di tali premesse, il giudice, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e della Corte di Cassazione, aveva ravvisato il contestato reato di deposito incontrollato di rifiuti, in particolare osservando che non era applicabile nel caso di specie la norma di cui all’articolo 14 del DL 138/02, invocata dal difensore.
Avverso la sentenza il difensore della Palladino proponeva appello, convertito ex lege in ricorso per Cassazione, deducendo due motivi a sostegno:
- inesistenza degli elementi oggettivi del reato contestato, in quanto, alla luce della “norma interpretativa” di cui all’articolo 14 del DL 138/02 (che non può essere riferita solo al produttore), i materiali depositati presso la ditta CTP, in quanto effettivamente destinati alla riutilizzazione, esulavano dalla categoria dei rifiuti;
- in ogni caso mancava nella Palladino qualsiasi profilo di dolo o di colpa.
La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha stabilito che:
La nozione di sottoprodotto di cui al D.Lgs. 152/06 confligge con quella individuata dalla giurisprudenza comunitaria laddove sottrae alla disciplina sui rifiuti il sottoprodotto riutilizzato in un ciclo produttivo diverso da quello di origine poiché secondo tale giurisprudenza il ciclo produttivo deve essere il medesimo poiché se il riutilizzo avvenisse in un diverso ciclo produttivo vorrebbe dire che il produttore ha inteso "disfarsi" del residuo per commercializzarlo o comunque cederlo ai terzi per la riutilizzazione.
Ai sensi del D.Lgs. 152/2006, il produttore non "si disfa" del residuo produttivo quando lo riutilizza direttamente "tal quale" oppure lo commercializza a condizioni per lui economicamente favorevoli perché venga riutilizzato in altri cicli produttivi.
Per escludere la disciplina sui rifiuti, quindi, è necessario che a destinare il sottoprodotto al riutilizzo senza trattamenti di tipo recuperatorio sia lo stesso produttore e non un semplice detentore cui la sostanza sia stata conferita a qualche titolo.
Un elemento essenziale della materia prima secondaria è dato dalla conformità alle caratteristiche tecniche fissate con decreto ministeriale. Infatti, in attesa della emanazione dell'apposito decreto ministeriale, continuano ad applicarsi per espressa disposizione transitoria (art. 181, comma 6) le norme di cui al decreto ministeriale 5.2.1998 (per i rifiuti non pericolosi) o al decreto ministeriale 12.6.2002 n. 161 (per i rifiuti pericolosi) i quali prevedono anche che i materiali debbano essere effettivamente e oggettivamente destinati all'utilizzo in cicli di produzione o di consumo: l’art. 3, comma 3, del D.M. 5.2.1998 e l'art. 3, comma 5, del D.M. 12.6.2002 n. 161 stabiliscono infatti che restano sottoposti al regime dei rifiuti i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all'utilizzo nei cicli di consumo o di produzione.
Sentenza della Cassazione Penale n. 14557/2007 Palladino
La nozione di sottoprodotto di cui al D.Lgs. 152/06 confligge con quella individuata dalla giurisprudenza comunitaria laddove sottrae alla disciplina sui rifiuti il sottoprodotto riutilizzato in un ciclo produttivo diverso da quello di origine poiché secondo tale giurisprudenza il ciclo produttivo deve essere il medesimo poiché se il riutilizzo avvenisse in un diverso ciclo produttivo vorrebbe dire che il produttore ha inteso "disfarsi" del residuo per commercializzarlo o comunque cederlo ai terzi per la riutilizzazione.
Ai sensi del D.Lgs. 152/2006, il produttore non "si disfa" del residuo produttivo quando lo riutilizza direttamente "tal quale" oppure lo commercializza a condizioni per lui economicamente favorevoli perché venga riutilizzato in altri cicli produttivi.
Per escludere la disciplina sui rifiuti, quindi, è necessario che a destinare il sottoprodotto al riutilizzo senza trattamenti di tipo recuperatorio sia lo stesso produttore e non un semplice detentore cui la sostanza sia stata conferita a qualche titolo.
Un elemento essenziale della materia prima secondaria è dato dalla conformità alle caratteristiche tecniche fissate con decreto ministeriale. Infatti, in attesa della emanazione dell'apposito decreto ministeriale, continuano ad applicarsi per espressa disposizione transitoria (art. 181, comma 6) le norme di cui al decreto ministeriale 5.2.1998 (per i rifiuti non pericolosi) o al decreto ministeriale 12.6.2002 n. 161 (per i rifiuti pericolosi) i quali prevedono anche che i materiali debbano essere effettivamente e oggettivamente destinati all'utilizzo in cicli di produzione o di consumo: l’art. 3, comma 3, del D.M. 5.2.1998 e l'art. 3, comma 5, del D.M. 12.6.2002 n. 161 stabiliscono infatti che restano sottoposti al regime dei rifiuti i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all'utilizzo nei cicli di consumo o di produzione.
Sentenza della Cassazione Penale n. 14557/2007 Palladino