I residui di produzione non sono rifiuti quando…(1)

0 commenti
(segue da)

Condizioni per cui i residui di produzione non sono considerati rifiuti

Come abbiamo visto nel post precedente, per la Corte di Giustizia, un materiale considerato residuo di produzione non è necessariamente un rifiuto: le caratteristiche che rendono un materiale adatto ad essere riutilizzato direttamente nel ciclo economico possono indicare che tale materiale non va considerato un rifiuto.

Nella giurisprudenza recente, la Corte di Giustizia ha stabilito tre condizioni che un residuo di produzione deve soddisfare per essere considerato un sottoprodotto.

Il riutilizzo di un materiale:
1. deve essere certo;
2. non deve richiedere una trasformazione preliminare e
3. deve avviene nella continuità del processo di produzione.

Queste condizioni sono cumulative, devono, cioè, essere soddisfatte contemporaneamente.

La Corte ha, inoltre, previsto che l'uso previsto per il sottoprodotto deve essere lecito, ovvero il sottoprodotto non può essere un materiale di cui il fabbricante ha l'obbligo di disfarsi o il cui utilizzo previsto è vietato dalla legislazione comunitaria o nazionale.

Cominciamo ad analizzare la prima delle tre condizioni; nel prossimo post vedremo le altre due.

Il riutilizzo del materiale è certo e non solo eventuale?

Se vi è la possibilità che:
  • il materiale non sia di fatto utilizzabile,
  • non possieda i requisiti tecnici richiesti per il suo utilizzo o
  • non esista mercato,
si deve continuare a considerarlo rifiuto: in questo modo si tutela l'ambiente dalle conseguenze potenziali di tale incertezza.

Se in seguito lo stesso materiale dovesse risultare avere un'utilità, cesserà di essere considerato rifiuto non appena sarà pronto ad essere riutilizzato come prodotto recuperato.


In alcuni casi può accadere che solo una parte del materiale possa essere riutilizzata: in questo caso, se l'autorità competente – analizzando il singolo caso – non ha indizi sufficienti che garantiscano l'utilizzo certo di tutto il materiale in questione, esso va automaticamente considerato rifiuto.

Ma ci possono essere casi che possono indicare che il materiale sarà utilizzato e, di conseguenza, dare la certezza del suo riutilizzo (ad es., l'esistenza di contratti a lungo termine tra il detentore del materiale e gli utilizzatori successivi).

Così come, all’opposto, vi sono situazioni in cui l’utilizzo è solo eventuale (ad esempio, quando il materiale è depositato per un periodo indeterminato in attesa di un riutilizzo eventuale): in questo caso occorre considerarlo un rifiuto per tutto il tempo in cui è depositato.

Il fatto, poi, che un fabbricante possa vendere un determinato materiale ricavandone un profitto indica sicuramente una maggiore probabilità che tale materiale venga riutilizzato.
Tuttavia, questo elemento, di per sé, non costituisce un indizio sufficiente, e occorre prendere in considerazione altri “indizi”, come i costi di trattamento dei rifiuti, e ponderarli accuratamente.

Perché?

Perché c’è il rischio che sia proposto un prezzo simbolico affinché il materiale non sia classificato come rifiuto, per poi trattarlo al di fuori di impianti di trattamento adeguati.
E perché, viceversa, un prezzo elevato potrebbe indicare che il materiale non è un rifiuto.

Un esempio: le cause sul letame spagnolo

Nelle cause riunite C-416/02 e C-121/03, Commissione contro Spagna, la Corte ha stabilito che il letame non è da considerasi rifiuto se
  • utilizzato come fertilizzante nell'ambito di una pratica legale di spargimento su terreni ben individuati (indipendentemente dal fatto che i terreni siano situati all'interno o al di fuori dell'azienda in cui è stato prodotto l'effluente) e
  • il suo stoccaggio è limitato alle esigenze di queste operazioni di spargimento.
(continua)

Foto 2