Report, 13 aprile 2008: buon appetito! (VII)

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Continua l’analisi dell’approfondita puntata di Report di domenica 13 aprile 2008, intitolata “Buon appetito!

Il post precedente ha messo in evidenza l’importanza della logica che mette al centro il consumatore…

Occorre, ora, mettere in evidenza l’importanza del biologico

L’IMPORTANZA DEL BIOLOGICO

"Produrre una varietà antica di mele non è un vezzo o una nostalgia, significa contare su una varietà più resistente alle malattie di quel posto, significa poter non usare pesticidi e insetticidi chimici, insomma fare un’agricoltura più pulita".

Riguardo alla qualità dei frutti, uno studio dell’Università di California Davis del 2006 lascia pochi dubbi.
La ricerca, durata 10 anni, dimostra la superiorità del biologico.

Anche Maria Teresa Russo, chimica degli alimenti dell’Università di Reggio Calabria – Università dotata di un laboratorio integrato, uno dei pochissimi esempi esistenti qua in Italia, dove si fanno misurazioni di qualità e si estraggono sostanze naturali dai vegetali da usare nella lotta biologica alle malattie – sottolinea che "la concimazione su un prodotto alimentare […] ha un riflesso immediato sulla composizione chimica del prodotto. Diciamo che comunque prodotti alimentari ottenuti con metodo biologico hanno delle caratteristiche edonistiche e anche delle sostanze che definiscono l’aspetto nutrizionale per alcuni versi migliore".

Biologico, tuttavia, ricorda Piero Riccardi, non è solo assenza di pesticidi e fertilizzanti chimici.
Base dell’agricoltura biologica, infatti, è lasciare inerbiti i campi con le erbe spontanee per produrre quella sostanza organica nel terreno che permette di non usare i fertilizzanti chimici e questa è proprio quella pratica indicata dalla Fao per contenere la produzione di gas serra.

GLI EFFETTI DANNOSI DELL’AGRICOLTURA INDUSTRIALE…

Cercando qualche dato – dice la Gabanelli"abbiamo trovato che l’Istituto nazionale per la nutrizione delle piante ha calcolato il rapporto fra perdita di sostanza organica nei terreni, dovuta a continui cicli di arature e concimazioni chimiche, e la produzione di anidride carbonica".
In che modo?
"Sappiamo che l’erba e le foglie metabolizzano tramite fotosintesi l’anidride carbonica, liberano l’ossigeno nell’aria e trattengono il carbonio che si fissa nel terreno e si combina con le sostanze organiche. I continui cicli di aratura e di concimazione chimica distruggono le sostanze organiche, si libera il carbonio nell’aria che combinandosi con l’ossigeno diventa anidride carbonica.
In sostanza ogni volta che viene arato un campo iperconcimato, contribuisci all’emissione di gas serra tanto quanto una colonna di tir.
I dati ahimè sono impressionanti".

Il protocollo di Kyoto, dice che – a partire da gennaio e per i prossimi 4 anni – dobbiamo ridurre l’emissione di gas serra del 6,5%, pena una multa salatissima.
Siccome non abbiamo ancora fatto nulla, sul sito del Kyoto club c’è un contatore che misura in tempo reale il debito che l’Italia sta accumulando: 47 euro al secondo, più di 4 milioni di euro al giorno. Ma pare che la cosa non ci interessi granché.

"Eppure secondo l’istituto nazionale per la nutrizione delle piante, per rientrare nei parametri, basterebbe imprigionare dentro i nostri 13 milioni di terreni agricoli lo 0,1% di carbonio. Quel carbonio che viene liberato dalle continue arature di terreni iperconcimati chimicamente. Quindi bisognerebbe fare quello che già fa l’agricoltura biologica già fa.
Ma c’è chi sostiene che questo metodo provocherebbe una carenza di cibo".

“Un gruppo di ricercatori dell’Università del Michigan negli Stati Uniti – dice Maria Fonte, economista agraria dell’Università Federico II di Napoli – rispondendo a questa preoccupazione hanno portato avanti un grande lavoro di ricerca passando in rassegna circa trecento lavori, i quali mettevano a confronto le rese del biologico e le rese dell’agricoltura convenzionale”.

Il risultato svela che se tutti i paesi sviluppati coltivassero con metodi di agricoltura biologica, in media le rese sarebbero inferiori di un 10%, mentre aumenterebbe la disponibilità per i paesi in via di sviluppo.

…E QUELLI DELL’INUTILE SPRECO

Il problema del cibo, e dell’agricoltura, non è, da noi, un problema di carenza: anzi nei paesi ricchi di cibo ce n’è fin troppo, tanto da dover essere gettato via…

I prodotti che scadono, ad esempio, devono essere buttati via: in termini tecnici si dice che questi prodotti vengono valorizzati.
Sono gli scarti, i rifiuti dei supermercati.
Ma non di tutti

(continua)