La valutazione di impatto ambientale (la VIA), secondo il Consiglio di Stato, non
è un mero atto (tecnico) di gestione e/o di amministrazione, ma un
provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo
politico-amministrativo, sia pure con particolare riferimento al corretto uso
del territorio, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei
(contrapposti) interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici,
nonché di sviluppo economico — sociale) e privati”.
Ebbene, dopo aver detto per inciso che questa sua
affermazione “ingenera perplessità nel
richiamo alla funzione di indirizzo politico-amministrativa”, il Consiglio
di Stato ha tuttavia perseverato, affermando candidamente che “il giudizio di compatibilità ambientale,
pur reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione pienamente esposti al
sindacato del giudice, è attraversato da profili particolarmente intensi di
discrezionalità amministrativa sul piano dell'apprezzamento degli interessi
pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all'interesse
dell'esecuzione dell'opera”.
Apprezzamento, badate bene, che “è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di
manifesta illogicità o travisamento dei fatti, e risulti perciò evidente lo
sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all'Amministrazione”.
Come a dire: basta che l’Amministrazione non faccia errori
madornali, e il gioco è fatto. E il giudice non può che fare il “Pilato” della
situazione, decidendo di non decidere. E con questo, però, dare IL via….
Probabilmente, se nella stanza dei bottoni ci fosse
stato qualcun altro, forse i “profili particolarmente intesi di discrezionalità”
avrebbero virato da un’altra parte.
Ed è proprio questo continuo balletto a non andare
bene, specie quando si va a ballare il (tip)-TAP nella patria della tarantella…
Fuor di metafora: decidere sulla base di scelte
politiche, senza una visione, e non essere in grado di leggere il testo nel
contesto, addivenendo a soluzioni praticabili, non fa che allontanarci dal
“bene comune” (nel senso etimologico, e non politico, del temine), quello che
tiene, deve tener conto di tutti gli interessi in gioco. E guardare al futuro.
Avanti di questo passo una sintesi, e dunque una
soluzione, non verrà mai trovata, e il legislatore tarantolato (quello che
continua a produrre infinite normative, uguali e contraddittorie nello stesso
tempo) potrà proseguire a dichiarare la propria buona fede e a proclamare
cambiamenti, ma continuerà a produrre uno dei pochi made in Italy che ci rimangono: un frenetico
immobilismo.