Nel caso di malattia professionale non tabellata, come anche in quello di malattia ad eziologia multifattoriale, al fine della corresponsione di una rendita occorrono alcuni presupposti, e la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità; e, a tale riguardo, il giudice deve non solo consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale.
La “cronaca ambientale” degli ultimi mesi ha puntato i riflettori sull’ILVA di Taranto, punta dell’iceberg di una lunga (e triste) vicenda che vede contrapposti, loro malgrado, la tutela della salubrità dell’ambiente e, quindi, della salute dell’uomo, da un lato, e il diritto al lavoro, dall’altro.
In una sentenza di qualche anno fa, relativa ad una vicenda analoga a quelle dell’ILVA – l’impianto allora “preso di mira” dall’autorità giudiziaria era quello di Porto Tolle – il giudice, conscio del fatto che, nel desolato (e desolante) panorama normativo italiano, la tutela dell’aria (e della salute dell’uomo) è stata spesso:
Mentre i media continuano a parlare – semplicemente contrapponendoli, e senza neanche vagheggiare di possibili soluzioni pratiche, che pure esisterebbero, se solo le classi dirigenti succedutesi nel corso dei lustri non avessero continuato a far finta di niente – il diritto alla salute e quello al lavoro, la Cassazione è intervenuta in materia di rapporti fra ambiente lavorativo e l’insorgere di malattie professionali.
La vicenda è stata oggetto di un approfondimento analitico nell’articolo “Il rilevante grado di probabilità per la corresponsione della rendita”, pubblicato nelle pagine del “Il Quotidiano IPSOA. Professionalità quotidiana”.
Riporto qui di seguito soltanto un passaggio della sentenza della Cassazione, con la quale la Suprema corte ha evidenziato che
- “delegata” alla decretazione d’urgenza – inidonea, in quanto tale, a risolvere il problema alla radice – o
- “affidata” a strumenti nati con altri scopi (l’art. 674 c.p., che la giurisprudenza ha utilizzato come passepartout per cercare di “tappare le falle” dell’impianto normativo, tanto da arrivare ad affermare che “la sola presenza attiva della centrale, che emette fumi visibili e di notevoli dimensioni, è sufficiente a creare allarme, e a giustificare l’applicazione dell’art. 674 del c.p.”),
Mentre i media continuano a parlare – semplicemente contrapponendoli, e senza neanche vagheggiare di possibili soluzioni pratiche, che pure esisterebbero, se solo le classi dirigenti succedutesi nel corso dei lustri non avessero continuato a far finta di niente – il diritto alla salute e quello al lavoro, la Cassazione è intervenuta in materia di rapporti fra ambiente lavorativo e l’insorgere di malattie professionali.
La vicenda è stata oggetto di un approfondimento analitico nell’articolo “Il rilevante grado di probabilità per la corresponsione della rendita”, pubblicato nelle pagine del “Il Quotidiano IPSOA. Professionalità quotidiana”.
Riporto qui di seguito soltanto un passaggio della sentenza della Cassazione, con la quale la Suprema corte ha evidenziato che
“nel caso di malattia professionale non tabellata, come anche in quello di malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità; e, a tale riguardo, il giudice deve non solo consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso ad ogni iniziativa ex officio diretta ad acquisire ulteriori elementi in relazione all’entità ed all’esposizione del lavoratore ai fattori di rischio ed anche considerando che la natura professionale della malattia può essere desunta con elevato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti che possano costituire causa della malattia”.