In questo articolo vediamo come l'introduzione del D.Lgs 231/2001, che sancisce la responsabilità amministrativa per le imprese, stia producendo una serie di riflessioni, e forse di conseguenze concrete, nell'ambito di un dibattito che sembra poter condizionare profondamente la cultura della responsabilità d'impresa in Italia.
Non dimentichiamo, infatti, che il presupposto dell'intero impianto normativo italiano della responsabilità ex 231/2001, inclusa l'estensione a determinati reati ambientali, è quello di introdurre una serie di cambiamenti "morbidi" all'interno della cultura imprenditoriale italiana, con lo scopo di suscitare il cambiamento "dal basso" e non con stravolgimenti normativi piovuti dall'alto. In particolare, negli ultimi tempi il dibattito sulla 231 ha investito il mondo del calcio, quello dei partiti politici e dei rimborsi elettorali, e quello di alcune società di gioco (casinò e siti on line). Infine, il dibattito è approdato in Confindustria e poi in Consiglio dei Ministri, ma per questo ultimo tema, al di là di una prima introduzione, rinvio ad un articolo dedicato.
In questo post, parlerò dei primi due ambiti.
Non dimentichiamo, infatti, che il presupposto dell'intero impianto normativo italiano della responsabilità ex 231/2001, inclusa l'estensione a determinati reati ambientali, è quello di introdurre una serie di cambiamenti "morbidi" all'interno della cultura imprenditoriale italiana, con lo scopo di suscitare il cambiamento "dal basso" e non con stravolgimenti normativi piovuti dall'alto. In particolare, negli ultimi tempi il dibattito sulla 231 ha investito il mondo del calcio, quello dei partiti politici e dei rimborsi elettorali, e quello di alcune società di gioco (casinò e siti on line). Infine, il dibattito è approdato in Confindustria e poi in Consiglio dei Ministri, ma per questo ultimo tema, al di là di una prima introduzione, rinvio ad un articolo dedicato.
In questo post, parlerò dei primi due ambiti.
Il modello organizzativo 231 fa il suo ingresso nel mondo del calcio: il 27 aprile scorso, il Consiglio federale FIGC ha approvato le linee guida per la redazione di un proprio Modello organizzativo ai sensi del D.lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti, che dovrebbe entrare in vigore a partire dal 1 Luglio 2012. Solo pochi giorni prima, il 20 aprile, l’Assemblea della Lega di Serie A ha deliberato di adottare un Codice Etico ed un Modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del medesimo decreto e di prevedere quale fondamentale requisito per l’iscrizione al campionato di serie A, a partire dalla stagione sportiva 2013/14, l’adozione di un Modello organizzativo ex D.lgs. 231/2001 da parte delle società sportive militanti in tale categoria.
Proprio un mese prima dello scoppio dello scandalo scommesse, il modello 231 è approdato dunque nel mondo del calcio, per l'implicita esigenza di riacquistare la fiducia e la stima del pubblico e dei sostenitori.
Come chiarito dal Presidente Beretta, occorrerà che tutte le società iscritte al campionato siano dotate di un Modello volto sia alla prevenzione dei reati di cui all’elenco contenuto nel D.lgs. 231/2001, che possono dar luogo alla responsabilità amministrativa della società in caso di illecito penale commesso da soggetto ad essa legato, sia alla prevenzione della commissione degli illeciti sportivi che, a norma del Codice di Giustizia Sportiva, possono dar luogo alla responsabilità oggettiva della società sportiva per il fatto del proprio tesserato o di altro soggetto ad essa collegato.
Lo scopo del provvedimento della Lega è quello di far sì che le società militanti nella massima serie, i loro tesserati e tutti gli altri soggetti ad esse collegati operino secondo un sistema di protocolli e procedure volto a minimizzare il rischio di illeciti, in modo tale da garantire il rispetto della legalità e della correttezza sia in ambito sportivo in generale che nello svolgimento del campionato in particolare.
Negli stessi giorni, la Cassazione ha sospeso la condanna di A. S. Roma per doping amministrativo accogliendo il ricorso della As Roma contro la sanzione di 60mila euro inflitta alla società per illeciti contabili relativi alla gestione del vivaio. Il reato di falso in bilancio connesso a presunte plusvalenze gonfiate aveva determinato anche la sanzione per responsabilità amministrativa a carico del club (in base alla disciplina del decreto legislativo 231 del 2001). I fatti risalgono alla prima metà degli anni Duemila e l'indagine aveva preso le mosse da una denuncia dell'ex presidente del Bologna Giuseppe Gazzoni Frascara secondo il quale alcuni club di serie A sarebbero ricorsi a trucchi di bilancio per aggiustare la propria situazione economica. Fu lo stesso Gazzoni Frascara a coniare il termine 'doping amministrativo'. Adesso, la Corte d'Appello della capitale, che aveva confermato la sanzione, dovrà rivedere la vicenda. In particolare, la quinta sezione penale ha disposto un nuovo esame della vicenda davanti alla Corte d'Appello di Roma, sospendendo in questo modo la sanzione di 60 mila euro inflitta in appello alla societá. «Nel ricorso - ha spiegato l'avvocato della Roma Calcio Bruno Assumma - ho sostenuto che nelle motivazioni di primo e secondo grado c'era un difetto di motivazione a proposito dell'interesse vantaggio della Roma. Una tesi che è stata accolta».
Ci si chiede se non sia utile estendere il D.Lgs 231/2001 ai partiti politici. L'occasione per questo dibattito è data dall'ennesimo scandalo legato alla non trasparente gestione dei rimborsi elettorali. Fra quelli che credono che, dopotutto, i Partiti Politici sono uno strumento imperfetto (come spesso lo sono le cose umane), in grado di garantire la pluralità delle idee, unico antidoto al Totalitarismo, ci si domanda se sia giusto pretendere che essi, conservando il finanziamento pubblico, siano tenuti a responsabilizzarsi, e a imparare a gestire correttamente i soldi pubblici di cui sono beneficiari, al pari di qualunque altra impresa privata, associazione o ente pubblico. In quest’ottica, potrebbe essere utile considerare l’ipotesi di estendere la responsabilità penale degli Enti, sancita dal d.lgs 231/2001, alle organizzazioni politiche.
Il Decreto Legislativo 231/2001 stabilisce che le aziende e le associazioni (anche prive di personalità giuridica) rispondano per i reati compiuti dai loro rappresentanti e dipendenti nel loro interesse, subendo sanzioni pecuniarie e, nei casi più gravi, anche la sospensione della propria attività. Per non essere ritenute responsabili, ed essere sanzionate, aziende e associazioni devono dotarsi di modelli organizzativi e di controllo per la prevenzione dei reati, e dimostrare che chi ha commesso il reato ha volutamente raggirato il modello, agendo in contrasto con le procedure di legalità e la cultura dell’Ente.
Partiti Politici ed Enti Pubblici non economici sono stati esclusi dal campo di applicazione del d.lgs 231/2001 in quanto enti di rilievo costituzionale. Una scelta, a prima vista, certamente sensata: non si può dare a un Tribunale la possibilità di sospendere l’attività di un Partito o di un Ente Pubblico. Purtroppo, l’esclusione degli Enti di rilievo costituzionale dal d.lgs 231/2001 non ha consentito la diffusione, negli Enti Pubblici e nei Partiti Politici, dei modelli organizzativi e di controllo e dei sistemi di prevenzione dei reati, che invece si sono diffusi nelle imprese private.
Attualmente, la Camera sta valutando un disegno di legge anticorruzione, che estenderebbe agli Enti Pubblici l’obbligo di dotarsi di Piani di Prevenzione dei reati, sul modello di quelli previsti proprio dal decreto legislativo 231/2001. Allo stesso modo, si potrebbe pensare di estendere il d.lgs 231/2001 anche alle organizzazioni politiche, magari prevedendo che i Partiti rispondano dei reati commessi dai loro esponenti e iscritti, a meno che non si dotino di modelli organizzativi e di controllo finalizzati a prevenire le attività illecite. Questa estensione di responsabilità potrebbe legarsi ad una riforma del sistema dei i rimborsi elettorali, per esempio prevedendo la sospensione dei finanziamenti pubblici, nel caso in cui siano compiuti reati nell’interesse di un Partito. In tutti i casi, l’estensione del d.lgs 231/2001 alle organizzazioni politiche non potrà mai prevedere la possibilità di sanzioni interdittive, perché al di fuori dei casi già consentiti dalla legge nessuno può imporre ad un Partito Politico di sospendere la propria attività.
Antonello Montante, vicepresidente di Confindustria ai tempi di Marcegaglia ed oggi Delegato Confindustria per la legalità, il 28 gennaio scorso dalle pagine dell’Unità ha lanciato la proposta di individuare una white-list di aziende virtuose (che sperimentano e applicano modelli aziendali improntati a solidi principi etici), alle quali riservare una corsia preferenziale per l’accesso al credito e ai finanziamenti pubblici, una specie di rating di legalità con risvolti decisivi sull'accesso al credito.
In effetti, la crisi economica impedisce oggi a molte imprese medio - piccole di fare gli investimenti necessari per dotarsi di un sistema completo di gestione del rischio di reato così come delineato dal decreto 231.
La legalità insomma è un onere che, al momento, molti fanno fatica a certificare, oltretutto perché non paga, nel senso che le aziende dotate di Mog non hanno al momento alcun tipo di benefit, come nell'accesso al credito. Ma non tutte le aziende sono in crisi: è ormai assodato che le mafie riciclano i proventi delle loro attività illecite in varie attività economiche che, anche in tempo di crisi, non sono in crisi, grazie al grande apporto di capitali “sporchi”, che vi vengono immessi, per essere “ripuliti”.
Si tratta di una situazione un po’ paradossale: una situazione in cui la legalità non paga e in cui sembrerebbe che, invece, che l’illegalità sia una risorsa. Paradossalmente, per le aziende che vengono a patti con le mafie le sanzioni del d.lgs. 231/2001 rappresentano un “rischio d’impresa” che, magari,può essere gestito dotandosi di un Modello 231.
Col risultato che, in tempo di crisi, la legge sembra premiare i disonesti …
Dulcis in fundo, gli Accordi di Basilea, pensati per dare affidabilità e stabilità al sistema bancario, hanno un notevole effetto collaterale poiché rendono più difficile l’accesso al credito da parte delle imprese. Prima di concedere un prestito, le banche devono valutare il rischio di credito del debitore, vale a dire la capacità dell’impresa, che chiede un prestito, di ripagare il proprio debito in futuro. Se l’azienda ha un rating elevato (la famosa AAA) il finanziamento costa meno. Se il rating è basso il finanziamento costa di più. Le classi di rating vanno da AAA a D, passando per una serie di classi intermedie.
Il rating di una azienda si abbassa notevolmente nel caso in cui essa risulti essere “sensibile ad avverse condizioni economiche o a congiunture economiche sfavorevoli”. E così, sempre più aziende vedono abbassarsi il proprio rating e devono pagare interessi sempre più alti per ottenere dei prestiti dalle banche,oppure si vedono negato del tutto il prestito. Ecco perché il rating di legalità può rivelarsi decisivo per cambiare in meglio questo scenario desolante.