La storia che vede protagonista la società consortile alla quale è affidata la gestione di un impianto biologico di depurazione nel quale sono convogliati, attraverso un unico collettore tutti i reflui, civili ed industriali, provenienti dai comuni e dagli insediamenti industriali produttivi insediati , potete approfondirla scaricando gratuitamente dal sito di Natura Giuridica, previa semplice registrazione, la sentenza n. 1266/10 del Consiglio di Giustizia amministrativa per la regione Sicilia.
Ciò che, in questa sede, merita mettere in evidenza sono le conclusioni del Giudice amministrativo siciliano.
L’attività di fognatura e di depurazione delle acque, nonché quelle attività di bonifica, di messa in sicurezza dei siti inquinati e di emunzione delle acque di falda – sottolinea con forza il CGA siciliano – devono essere qualificate come “servizio pubblico”
Per identificare giuridicamente un servizio pubblico, infatti, non è indispensabile – a livello soggettivo – la natura pubblica del gestore, mentre è necessaria la vigenza di una norma legislativa che, alternativamente, ne preveda l’obbligatoria istituzione e la relativa disciplina, oppure che ne rimetta l’istituzione e l’organizzazione all’amministrazione.
Oltre alla natura pubblica delle regole che presiedono allo svolgimento delle attività di servizio pubblico, e alla doverosità del loro svolgimento, è ancora necessario, nella prospettiva di una definizione oggettiva della nozione, che le suddette attività presentino un carattere economico e produttivo (e solo eventualmente costituiscano anche esercizio di funzioni amministrative) e che le utilità da esse derivanti siano dirette a vantaggio di una collettività, più o meno ampia, di utenti (in caso di servizi divisibili) o comunque di terzi beneficiari (in caso di servizi indivisibili).
Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto che tali coordinate qualificatorie ben si attagliassero al caso delle attività di bonifica e di messa in sicurezza dei siti inquinati – obbligatorie ex lege al ricorrere di determinati presupposti di fatto – che sono disciplinate da fonti di rango primario, e sono svolte anche a favore di una collettività indeterminata di beneficiari – gli abitanti di una zona inquinata, oltre a mirare al perseguimento di un interesse pubblico e, infine, consistere in attività produttive e di rilievo economico.
La circostanza che per tali attività non sia prevista l’erogazione di un corrispettivo da parte dei beneficiari, conclude il Collegio, non inficia i riferiti connotati dell’attività quale attività di servizio pubblico e ciò perché, in via generale, la previsione di un corrispettivo - così come di un profitto del gestore del servizio - non è essenziale sul piano della qualificazione giuridica delle attività di servizio pubblico.
Inoltre, dal punto di vista strettamente economico, l’utilità dei soggetti tenuti alla messa in sicurezza e alla bonifica di siti inquinati è all’evidenza rappresentata dal vantaggio che costoro hanno conseguito precedentemente attraverso la socializzazione dei costi relativi a oneri del processo produttivo che sarebbero dovuti rimanere a carico delle stesse imprese inquinatrici: attraverso le procedure di bonifica e messa in sicurezza tali costi vengono nuovamente internalizzati, peraltro in misura inferiore al vantaggio ottenuto dalle imprese obbligate, non essendo integralmente risarciti i danni, individuali e collettivi, alla salute medio tempore verificatisi).
Per una prima nota critica a questa impostazione, vedi il contributo schematico pubblicato sul sito di Giuristi Ambientali
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