Un piano cave provinciale, adottato in assenza della valutazione di impatto strategica, alla stregua di quanto previsto dalla direttiva 42/01/CE, è legittimo?
Quali sono i limiti della pianificazione provinciale in materia di cave?
Questi sono i quesiti ai quali ha dovuto dare una risposta il TAR di Brescia (sentenza n. 893/09, scaricabile sul sito di Natura Giridica previa semplice registrazione), che al primo interrogativo ha dato risposta negativa, sottolineando che è infondato il motivo di ricorso fondato sulla asserita necessità di sottoporre il piano cave a VAS (valutazione d’impatto strategica), in forza della direttiva comunitaria 42/01/CE, ritenuta autoesecutiva.
La costante giurisprudenza precedente, infatti, ha affermato che la direttiva 42/01/CE, per quanto riguarda la generalità degli atti di pianificazione territoriale (come il piano cave provinciale), non è immediatamente applicabile all’interno degli Stati membri.
In tal senso, depongono:
In tal senso, depongono:
• innanzitutto l’art. 3 della direttiva stessa, che demanda al singolo Stato membro di apprezzare se i piani e programmi relativi a un dato settore possano o non possano avere effetto significativo sull’ambiente;
• quindi, gli artt. 4 e 13, che richiedono in modo espresso che gli Stati, per conformarsi alla direttiva, emanino norme proprie, e quindi adottino atti di recepimento.
Per quanto concerne i rapporti fra competenze reginali e provinciali?
Per quanto concerne i rapporti fra competenze reginali e provinciali?
La legge Lombardia 14/98 disciplina il piano delle cave come piano “provinciale”, e alla provincia ha demandato la sua formazione: quindi, non è possibile interpretare la legge nel senso che la stessa accentra la formazione del piano al livello regionale. Questo tipo di interpretazione, fra l’altro, contrasterebbe con il principio costituzionale di sussidiarietà verticale, in base al quale occorre allocare, anche in via interpretativa, le competenze presso gli enti locali di livello il più possibile vicino al cittadino.
Meno interferenze, meno ingerenze da parte dei livelli di governo superiori, più semplificazione.
Al piano cave della provincia è possibile apportare in “in modo puro e semplice” solo modifiche di dettaglio, oppure quelle imposte dall’adeguamento ad obblighi normativi.
In tutti gli altri casi, il carattere provinciale del piano non può essere stravolto: di conseguenza, le modifiche vanno apportate al disegno generale della proposta adottata, e su di esse devono pronunciarsi non solo i Comuni, ma anche tutti gli organi tecnici deputati ad esprimere il loro parere sul piano in parola.
Tra l’altro, questi sono adempimenti che hanno un preciso valore sostanziale, e non meramente formale.
La pianificazione di un territorio, infatti, comporta delle modifiche strutturali allo stesso, specie quando si tratta di pianificarne l’uso estrattivo, che di per sé è suscettibile, se non correttamente governato, di produrre guasti anche notevoli all’ambiente.
In sostanza, occorre pianificare l’uso del territorio considerandolo come un tutto unitario: per questo motivo, ogni piano cave prende le mosse dalla determinazione di un fabbisogno complessivo di materiali.
Di conseguenza, è impossibile, in via generale, alterare una proposta di piano redatta secondo certi criteri aggiungendo puramente e semplicemente nuovi ambiti, dei quali non si sia calcolata l’incidenza non solo sulla località interessata, ma anche sull’assetto complessivo del sistema.
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Foto: "Cava di bauxite" originally uploaded by marcello.passeri