Nel precedente post sull’argomento, Fotovoltaico sui terreni di prima classe agricola:si può fare? (1) ci siamo lasciati con un interrogativo: posto che anche il settore del fotovoltaico, per quanto interessante dal punto di vista ambientale, ha qualche limite (relativo al "peso" degli incentivi, e all'assenza di una politica industriale adeguata) , quale morale si può trarre dall’attuale sistema normativo italiano in materia di agevolazioni/sovvenzioni al fotovoltaico (conto energia), e dall’attuale politica industriale in questo settore?
Ora che, a partire dal nuovo Conto Energia, nel 2011, gli incentivi al fotovoltaico si abbasseranno, fino a scomparire gradatamente, senza un apparato industriale italiano (la famosa "italianità" che molti sbandierano ai quattro venti), cosa ci rimarrà, di concreto?
Come al solito, importeremo tecnologia e pannelli fotovoltaici dall’estero (e quella poca che riusciamo a produrre, la esportiamo perchè nessuno sa cosa farsene, da noi...avete visto "Presa Diretta" di domenica 7 marzo 2010, "soleventoalberi"?) non avremo costruito nulla (in particolare, mancherà una filiera italiana del fotovoltaico), ma solo finanziato (in modo eccessivo, al di fuori di una politica integrata), quelli che hanno agito per primi.
Agito per primi, beninteso, soprattutto per possibilità economiche: il fatto che, in Italia, la Lombardia abbia il primato di MW di fotovoltaico installato (soprattutto piccolo fotovoltaico, quello installato sulle abitazioni private, per intenderci), la dice lunga sull’andamento del fotovoltaico nel paese del sole.
Da noi mancano i grandi impianti fotovoltaici: ma del resto, non possiamo superare questo handicap “fotovoltaicando” tutti i terreni agricoli, a prescindere da altre connesse e correlate considerazioni economiche, ambientale, agroalimentari….
Se “fotovoltaichiamo” tutti i terreni agricoli, in ipotesi, solo perché valgono di più (e valgono di più proprio grazie agli incentivi statali), cosa rimarrà delle altre attività agricole, oggi considerate meno “cool”, ma indispensabili per il nostro sostentamento?
Le domande, al riguardo – e a prescindere da ogni considerazione normativa e da ogni interpretazione possibile a livello giurisprudenziale, che voglio tralasciare in questo post, più di riflessione, e di considerazioni pratiche – si potrebbero sprecare, ma la sostanza non cambierebbe: perché, infatti,
- continuiamo a barricarci dietro presunte, o pretestuose, faziosità di bandiera,
- senza neanche lontanamente considerare che ad ogni azione (economica, finanziaria, speculativa, se queste sono le uniche “molle” che spingono il fotovoltaico) corrisponde necessariamente un’azione (una reazione..) uguale e contraria (insostenibilità ambientale, su tutte), e
- che per questo occorre ponderare bene le scelte, e calarle nel contesto socio-territoriale in cui vanno ad agire?
Perché non proviamo a sostituire alle nostre considerazioni e valutazioni egoistiche una visione ecoista delle nostre azioni?
Lo sottolineavo nelle mie conclusioni, al convegno organizzato dall’IPLA e da quattro comuni dell’alta langa (Cortemilia, Levice, Bergolo e Torre Bormida. I primi tre sono Borghi autentici d’Italia), parlando di un’altra fonte di energia rinnovabile (la biomassa), e delle potenzialità di sfruttamento delle biomasse come fonte di energia rinnovabile.
Occorre capire, e capirsi, quando si parla: in generale, nei rapporti sociali, e in particolare, quando l’oggetto del discorso (meglio ancora sarebbe: del dialogo) riguarda un interesse collettivo, l’ambiente e le sue utilizzazioni.
Sfruttare le biomasse, sottolineavo nella mia relazione, può essere vantaggioso, e ambientalmente (oltre che energeticamente, socialmente) sostenibile, ma può anche non esserlo.
È vantaggioso e sostenibile se lo sfruttamento delle biomasse si inserisce in un contesto territoriale adeguato (ampia disponibilità di biomassa nel territorio; dimensioni della centrale a biomassa funzionali alle esigenze che si intendono soddisfare, tanto per citarne solo due, quelle di più immediata percezione, nell’ottica del raggiungimento dell’autosufficienza energetica, propugnata a vari livelli di governo).
Non è vantaggioso se lo sfruttamento delle biomasse risponde solo ad esigenze di tipo economico: l’esempio più lampante è quello della centrale a biomasse di Crotone, una cattedrale nel deserto, costretta ad importare tonnellate su tonnellate di biomasse dall’estero, per continuare a produrre energia.
Con costi ambientali insostenibili, dovuti, in primis, al trasporto di queste ingenti quantità di biomasse estere, con il connesso inquinamento ambientale.
Nonostante qualcuno ci guadagni.
Anche per questo motivo occorre mettere un freno alla faziosità ideologica che ci impedisce di guardare con serenità, e quindi anche con spirito costruttivo, alle tante problematiche ambientali, che aspettano da troppo tempo una risposta efficace, coerente, integrata, coordinata.
Perché non esiste un’unica risposta alle molteplici problematiche ambientali, ma solo una serie integrata di azioni, ognuna in grado, con il proprio apporto, di dare una risposta soddisfacente al problema ambientale.
E perché, in ogni caso, non esiste solo la politica ambientale.
Le odierne sfide ambientali, infatti, impongono di guardare oltre l’approccio strettamente normativo, e di assumere una strategia su più fronti: una strategia capace di indurre i necessari cambiamenti dei nostri modelli di produzione e di consumo.
In sostanza, non è sufficiente “delegare” il problema ambiente alla classe politica (che, comunque, non sempre è in grado di sfornare normative coerenti, coordinate, e giuste…) per pensare di poterlo risolvere: occorre responsabilizzarsi, fare qualcosa di concreto, di sostenibile, di lungimirante.
Occorre prendere coscienza e consapevolezza delle possibilità e del potere dei piccoli gesti quotidiani (anche le rinunce fanno parte di questi gesti, a volte), cominciare a informarci, comunicare, dialogare e collaborare veramente, come capita in altri paesi più civili del nostro, per la costruzione di un bene comune, l’ambiente.
Fondamentale, in questa prospettiva, è il ruolo della governance, ovvero di un nuovo modo di governare, basato su un approccio condiviso ed allargato, alternativo al tradizionale intervento politico dall’alto: nell’attuazione delle politiche ambientali diventano così prioritari i comportamenti degli attori pubblici e privati, di interessi economici e di singoli cittadini, quotidianamente chiamati, con le loro azioni, a mettere in pratica le molteplici sostenibilità: ambientali (tutela della natura), energetiche (autosufficienza ed efficienza dell’approvvigionamento energetico), economiche (risparmi ma anche investimenti a lungo termine), sociali (creazione di nuovi posti di lavoro all’interno di una filiera sostenibile).
Dopo aver parlato della sostenibilità del fotovoltaico in zona agricola dal punto di vista in senso lato ambientale, nei prossimi post tornerò a parlare nel dettaglio del fotovoltaico in zona agricola dal punto di vista della sostenibilità dal punto di vista giuridico-amministrativo.
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Natura Giuridica di Andrea Quaranta: Studio di Consulenza legale Ambientale.
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