La biomasse combustibili fra gestione rifiuti e diritto dell’energia
Che si tratti di rifiuto o di un sottoprodotto non rileva ai fini dell’applicabilità alle biomasse della normativa sulle fonti di energia rinnovabili, di cui al D.Lgs. n. 387/03.
Questa è, in sostanza, la "morale" della sent enza del TAR Torino n. 1563/09 del 5 giugno 2009, in cui il giudice piemontese ha analizzato il caso di una società che aveva chiesto l’annullamento – previa sospensione dell'efficacia – di una determinazione dirigenziale della Provincia di Asti con cui l'Amministrazione chiedeva, dopo un lungo valzer autorizzativo-interpretativo, di archiviare l'istanza di autorizzazione presentata tempo addietro per la costruzione e l'esercizio di un impianto di energia elettrica alimentato a cippato di legno (potenza termica nominale al focolare di 48,5 MWt e una potenza elettrica netta di 13,5 MWe).
In considerazione della complessità della vicenda, e delle rilevanti implicazioni pratiche, il TAR di Torino (sentenza n. 1563/09) ha deciso di “partire da lontano”, effettuando una lunga ricognizione del di ritto comunitario in materia di energia e di gestione dei rifiuti.
Semplice il motivo: garantire la primazia del diritto comunitario, il suo effetto utile.
E così, dopo un excursus sugli obiettivi della politica comunitaria in materia di energia (la Direttiva 2001/77/CE si preoccupa di incentivare la produzione energetica da biomasse in modo da non vanificare l’altrettanto fondamentale politica comunitaria di “gestione” dei rifiuti) e sulla definizione di biomassa, il TAR Torino si è soffermato su due dati “fisiologici” che il contesto normativo evidenzia:
1. da un lato, il fatto che la problematica sui rifiuti e quella sulle biomasse si intersecano (nella definizione di “biomassa” dettata dalla direttiva 77/2001 entra tout court la parte biodegradabile dei rifiuti);
2. dall’altro, nel sistema coesistono più definizioni di biomassa…
Tali dati forniscono al Collegio lo spunto per delineare il contesto nel quale la definizione di biomassa deve essere ricostruita, e sottolineare che “ciò che in un determinato contesto è soltanto un rifiuto, in un altro possa assumere il valore di fonte rinnovabile di energia”…
Fra fuorvianti richiami contenuti nelle nostre leggi sibilline (oltre che nei decreti applicativi, sparsi qua e là) e “ragioni di confusione normativa” (frutto di incerti passaggi legislativi); dopo un esaustivo richiamo alla copiosa giurisprudenza comunitaria in materia di rifiuti, e al suo coordinamento con la politica energetica comunitaria, il TAR di Torino (sentenza n. 1563/09) stabilisce che in tema di procedura autorizzatoria per l’installazione di una centrale elettrica a biomasse (art. 12 del d.lgs. 387/2003), l’unica definizione di “biomassa” presente nella legislazione italiana - rilevante al fine di stabilire cosa possa intendersi per biomassa nel contesto di disciplina afferente le fonti rinnovabili di energia - è quella dettata dall’art. 2 della dir. 77/2001/CE, di cui il D.Lgs n. 387/03 costituisce attuazione.
Fra fuorvianti richiami contenuti nelle nostre leggi sibilline (oltre che nei decreti applicativi, sparsi qua e là) e “ragioni di confusione normativa” (frutto di incerti passaggi legislativi); dopo un esaustivo richiamo alla copiosa giurisprudenza comunitaria in materia di rifiuti, e al suo coordinamento con la politica energetica comunitaria, il TAR di Torino (sentenza n. 1563/09) stabilisce che in tema di procedura autorizzatoria per l’installazione di una centrale elettrica a biomasse (art. 12 del d.lgs. 387/2003), l’unica definizione di “biomassa” presente nella legislazione italiana - rilevante al fine di stabilire cosa possa intendersi per biomassa nel contesto di disciplina afferente le fonti rinnovabili di energia - è quella dettata dall’art. 2 della dir. 77/2001/CE, di cui il D.Lgs n. 387/03 costituisce attuazione.
La sua configurabilità come “rifiuto” non esclude, in una fase successiva, l’applicabilità della normativa afferente le fonti di energia rinnovabili, per quella parte di “rifiuti biodegradabili” che sono infatti espressamente contemplati dalla direttiva 77/2001 e quindi dal d.lgs. 387/2003.
Nel caso di specie, il Collegio ha, quindi, ritenuto non del tutto pertinente è l’“eventualmente diversa” definizione ricavabile dal Testo Unico Ambientale, non dettata in attuazione specifica della direttiva in materia di fonti rinnovabili di energia.
Infine, alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria, il Collegio ha messo in evidenza che il concetto di sottoprodotto presuppone un riutilizzo certo, a prescindere dal fatto che tale riutilizzo avvenga nel medesimo o in un diverso ciclo produttivo.
Di conseguenza, risulta in parte superfluo valutare se il cippato di legno detannizzato – oggetto del contendere – possa o meno rientrare nel concetto di sottoprodotto, e con ciò sfuggire comunque all’inquadramento quale rifiuto: secondo la direttiva 77/2001/CE, e quindi il d.lgs. 387/2003, infatti, anche veri e propri “rifiuti”, purchè biodegradabili, sono certamente suscettibili di utilizzazione quali biomasse in centrali di produzione di energia.