Sicurezza alimentare: normative e prospettive per un settore strategico, ma non adeguatamente presidiato

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La percezione 
Basta entrare in una qualsiasi panetteria di un qualsiasi paesino di montagna, oggi, per accorgersi di come sia cambiata la percezione del cittadino/consumatore rispetto al problema della sicurezza alimentare (“cosa cerca il cittadino” o forse “cosa vuole sentirsi dire”), e di come si siano “affilate” le strategie del cittadino/venditore di fronte ad un settore vitale come quello alimentare. 
In questo esercizio non si usa olio di palma”, infatti, rappresenta, con qualche eccezione e, a volte, qualche svarione ortografico, la scritta oggi più presente in questi esercizi commerciali per “venire incontro” ad una richiesta (veicolata in qualche modo anche dalla “TV”) sempre più pressante del mercato. 
Una dicitura che simboleggia l’ultima frontiera al confine fra una divertita (e a volte divertente) comunicazione fai-da-te e il dare (più che altro: dire) una soluzione, o almeno una risposta, alla domanda di sicurezza alimentare, che invece rappresenta una delle sfide più importanti che la politica dovrebbe affrontare. 
In un mondo in cui: 
  • il numero di abitanti, il consumo di suolo, l’inquinamento e gli sprechi alimentari crescono a ritmi vertiginosi, e 
  • la legislazione stenta a tenere il passo dell’economia e della globalizzazione, e a cercare di indirizzarle, 
la classe politica, infatti, dovrebbe essere in prima fila, e indicare una strada, una visione, più che suggerire strategie spicciole, anche e soprattutto in questo complesso settore (la sicurezza alimentare ha infatti profonde interconnessioni con altri settori di primaria importanza: dalla salute umana al benessere animale; dalle regole formali sull’etichettatura a quelle sostanziali sulla sostenibilità; dalla cultura – non solo alimentare – all’inquinamento; dalla qualità dei prodotti; …..). 
E invece l’(inadeguatezza) immobilismo del legislatore ha fatto sì che, ad oggi, il confine fra ciò che è (o che dovrebbe essere) la sicurezza alimentare e la disinformazione, il gossip culinario, lo hearsay (non importa da quale fonte), i “fatti alternativi” e la psicosi virale da social network è labile, e va a finire che l’argomento cibo (qualcosa di diverso dalla sicurezza alimentare…) viene trattato con séguito soltanto dal punto di vista ludico in uno degli immancabili programmi di cucina, con buona pace dei pochi programmi (“Indovina chi viene a cena”) che stanno cercando di sensibilizzare la stessa (potenziale) platea sull’importanza delle regole. 
Di quelle che ci sono ma soprattutto di quelle che dovrebbero esserci.
Perché la domanda è: in quella “terra di nessuno” che sembra essere diventato oggi il diritto (non solo alimentare), cosa succede? 
Qual è il punto della situazione in materia di sicurezza alimentare
Il legislatore riesce a garantire sicurezza e rapidità di risposte, congrue alle promesse che non lesina?
Prima di addentrarci in un’analisi – sia pure parziale, per ragioni di spazio – dello status quo della normativa alimentare, al fine di esporre (e cercare di capire) come siamo messi, occorre però fare un sia pur breve riassunto delle “puntate precedenti” che ho dedicato al tema, al fine di mettere in evidenza il minimo comun denominatore fra le tematiche alimentari settoriali: l’inveterata tendenza a non portare a compimento nulla e la smaniosa inclinazione alla programmazione fine a se stessa (perché si limita a rinviare, senza soluzione di continuità, ad altre programmazioni). 
Riassunto delle “puntate” precedenti [...]
Il punto della situazione: la propaganda ministeriale 
Sul sito del ministero della Salute esiste un’apposita sezione dedicata alla sicurezza alimentare, nella quale oggi – oltre ad uno scarno (rispetto all’importanza del tema) drappello di news – sono in evidenza due relazioni (v. infra): 
1) la prima riguarda il controllo ufficiale alimenti e bevande (dati del 2015); 
2) la seconda concerne, invece, il Piano nazionale di controllo ufficiale delle micotossine negli alimenti (2016-2018). 
Segue una lunghissima serie di links ai più disparati “sottotemi” – cui si è fatto cenno in premessa – della sicurezza alimentare, che si è voluto riassumere nel cloud seguente. 

Le principali disposizioni della disciplina speciale: a) la normativa generale sugli alimenti [...]
b) le autorizzazioni sanitarie, le competenze e i controlli [...]
c) il commercio dei prodotti alimentari [...]
d) il consumatore e il diritto all’informazione [...]

Gli altri rivoli della materia e le recenti relazioni del ministero [...]
“E il”: il limbo, l’intuizione, la percezione e la realtà 
[…] In un interessante contributo di qualche anno fa, l’autore cercava di fornire una chiave di lettura della strategia comunitaria in materia di sicurezza alimentare, partendo dalla definizione del concetto di “qualità”, alla luce della “sicurezza alimentare”. 
Dopo alcune interessanti considerazioni generali, l’autore poneva l’accento sul fatto che la sicurezza alimentare è “l’espressione più evidente di quello standard elevato di protezione della salute che gli artt. 95 e 152 del Trattato CE impongono, e che in larga misura essa rappresenta una «presa di consapevolezza» del Legislatore europeo dell’importanza e dei contenuti del diritto al consumo […].
Di tale strategia fa tuttavia parte anche un secondo aspetto di carattere più strettamente «commerciale» legato al recupero di un certo rapporto «fiduciario» fra produttore e consumatore nelle produzioni agroalimentari, basato in larga misura sulla percezione degli aspetti qualitativi dei prodotti, che può aiutare a comprendere meglio le finalità e la natura delle diverse attività comunitarie connesse alla «sicurezza alimentare»”. La distinzione degli aspetti di «prevenzione» legati alla salute umana dagli elementi «commerciali» di promozione della qualità – prosegue l’autore – “poggia su di una ambiguità di fondo legata alla concezione stessa di quest’ultima […] “Il mercato oggi richiede innanzitutto sicurezza, come risulta evidente da tutte le indagini sui consumi svolte ultimamente. Si tratta tuttavia di una forma di sicurezza più ampia di quel semplice pre-requisito comune a tutti i prodotti che vengono commercializzati, poiché investe una serie di fattori ulteriori quali la conoscibilità delle origini dell’alimento e dei suoi processi produttivi, un certo legame con la tradizione, l’esclusione dell’impiego di organismi e sostanze ritenute «sospette» anche se ancora scientificamente non dichiarate «nocive», una corretta informazione sui contenuti nutrizionali del prodotto, sulla eventuale presenza di «allergeni» […] In sostanza possiamo affermare che la «sicurezza degli alimenti» si è oggi arricchita di connotazioni ulteriori che non afferiscono immediatamente alla «idoneità al consumo» del prodotto, ma che invadono la sfera delle caratteristiche più strettamente «qualitative» fondamentali nel dialogo produttore-consumatore. D’altra parte è la stessa Commissione a non far mistero nel Libro Bianco del 2000 sulla sua intenzione di «recuperare il rapporto fiduciario produttore-consumatore» proprio attraverso gli «strumenti» della sicurezza alimentare. È chiaro che la «sicurezza» degli alimenti un tempo esclusivamente elemento della c.d. «qualità nutrizionale» è oggi parte integrante nella sua accezione contenuta nel Libro Bianco anche del «sistema qualità» (certificazione) e della «qualità commerciale» (ossia caratteristica del prodotto in esso incorporata percepibile dal consumatore come valore aggiunto attraverso i suoi elementi più evidenti. Si pensi ad esempio alla tracciabilità)”.
Da allora sono passati quasi tre lustri, ma le ambiguità permangono, così come permane una generalizzata sfiducia dei cittadini-consumatori, soprattutto nei confronti della politica, alla quale non si chiede soltanto di intuire, di programmare o di inventarsi nuove strategie, ma soprattutto di diventare credibile, e di mettere in pratica quello che promette. 
Migliorandolo. 
Diversamente – continuando a mancare la fiducia nel (e un rapporto fiduciario con il) legislatore – il rischio (molto) forte è quello che lo stesso cittadino finisca: 
  • con l’aver fiducia nel “primo [venditore] che passa” (sia esso il piccolo panettiere di montagna o la grande multinazionale, con il suo codazzo di influencers e di comunicatori), in grado di sfruttare, anche nel settore della sicurezza alimentare, la sua credulità/debolezza (rectius: il suo bisogno di credere in qualcosa), e 
  • con l’accontentarsi di banalità, comunicate però “con simpatia ”, con buona pace della “sicurezza alimentare”, annessi e connessi, nelle sue diverse sfaccettature. 
Senza neanche immaginare – anche se non sarebbe difficile immaginarselo – che, in assenza di regole e controlli, “so bboni tutti, a mettece ‘na scritta”.