La riforma della Costituzione, il referendum costituzionale e l'ambiente

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Cosa votare al Referendum costituzionale di quest'autunno?
La riforma della Costituzione approvata pochi mesi fa, vi convince o no?
Ma soprattutto: avete letto il testo che criticate e/o, al contrario, ritenete valido?
Vi è venuto qualche dubbio?
Il vostro sì, o il vostro no, sono frutto di una scelta consapevole o soltanto di una visione (para)ideologica?

Sul blog di NG voglio riportare qualche stralcio di un articolo che sta per essere pubblicato sulla rivista "Ambiente & Svilupppo", edita da IPSOA: nell'articolo viene analizzata la riforma costituzionale, in riferimento al tema al quale è dedicato questo blog: l'ambiente

Natura Giuridica vi anticipa qualche stralcio perchè ritiene doveroso arrivare più consapevoli al referendum costituzionale di quest'autunno (in rosso i titoli dei paragrafi)

Un Paese di costituzionalisti 

Fra qualche settimana finalmente si saprà chi “avrà vinto” nella contesa sulla riforma costituzionale, se i supporters del “sì” o quelli del “no”, neanche si trattasse di una partita di calcio, e di un certo malsano tifo che, ahimè, spesso ne è parte integrante.
Ma purtroppo è così che ci viene, di fatto, presentata.
L’impressione che ne si ha è che – a prescindere dal vincitore – si continuerà comunque a parlarne, a dibattere dei perché e dei percome dei risultati, di cosa ha twittato il Governo e di cosa ha annunciato ai microfoni l’opposizione e via discorrendo, perdendo un’altra occasione per capire cosa, al di là del contingente risultato politico, si dovrebbe fare per imbastire un progetto di un’Italia – più che di una Costituzione – nuova, cominciando a porre fine al “modello pervasivo di semplificazione emergenziale” (espressione coniata da C. Galletti) che da decenni affligge l’Italia.
E che con la vittoria dei sì – ma anche dei no, sia pure per diverse vie, e con diverse sfumature – potrebbe addirittura consolidarsi.

Perché in un Paese di “poeti, di artisti, di eroi, di santi, …”, di recente ci siamo scoperti anche tutti costituzionalisti, con asserite verità da sbandierare, riforme da proporre (o barattare), anche blandendo l’uditorio con comunicati spot, efficaci quanto pericolosi, senza (perdere tempo a) porsi alcuna domanda sulle conseguenze di certe velleitarie azioni, o al contrario del perpetrarsi di quell’incessante immobilismo che, ahinoi, non senza ragioni, gli incauti riformisti di oggi additano come la causa del mali dell’Italia di oggi (e di ieri).
La realtà, molto più prosaica, è che i mali dell’Italia di oggi – se vogliamo riassumerli giornalisticamente in questo modo – sono il frutto di questo mix pericoloso di pressappochismo politico – che bada al presente più che al lungo periodo, dissipando energie nella ricerca di una semplificazione che, finora, si è rivelata come il suo esatto contrario, quando non una chimera – e di un uso distorto delle parole, che al posto di spiegare vengono utilizzate come veicolo di mere (e contingenti) propagande ideologiche.
Prendiamo l’ambiente, ad esempio, che è stato in parte qua oggetto della “riforma delle riforme”, e cerchiamo di analizzare quali potrebbero essere le conseguenze dell’eventuale vittoria del sì.

L’ambiente nel pensiero costituzionale: un necessario ma rapido excursus [...]

Il riparto di competenze in materia ambientale prima e dopo la riforma a confronto
[...]

Prima di passare all’analisi dell’art. 117, occorre sia pur rapidamente fare un cenno alle modifiche contenute nella riforma costitiuzionale concernenti:
  • le funzioni amministrative (art. 118), in relazione alle quali – oltre alla soppressione del riferimento alle Province, definitivamente abolite dopo il riordino avvenuto con la legge Delrio – si è voluto specificare che “le funzioni amministrative sono esercitate in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori”, e che la legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni in specifiche materie e di intesa e coordinamento “in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici”;
  • l’autonomia finanziaria (art. 119), per la quale – oltre alla citata soppressione del riferimento alle province e ad una riformulazione linguistica del primo comma – la “riforma Boschi” precisa che le risorse derivanti da tutte le fonti elencate nello stesso articolo “assicurano” (prima consentivano) “il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni”, e che “con legge dello Stato sono definiti indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell’esercizio delle medesime funzioni”;
  • il potere di sostituirsi, da parte del Governo, agli organi delle Regioni (art. 120).
Nella tabella 2 vengono messi a confronto il previgente testo dell’art. 117 della Costituzione e quello che sarà sottoposto al referendum costituzionale di quest’autunno [...]

Le ragioni del “sì”, e quelle del “no” [...]

Le ragioni di chi vorrebbe un progetto di un’Italia che guardi con occhi (e parole) nuovi 

Non “basta un sì”, come ci vorrebbero far credere i supporters della riforma, e non basta limitarsi a dire no, come nella sostanza fanno molti (fra i politicanti) di coloro che, per le ragioni più disparate, aderiscono al #iovotono.
Così come non basta votare sì per essere (oltre a dichiararsi) moderni e riformisti, o votare “no” per credere di continuare a vivere in un Paese incantato dove questa Carta costituzionale debba rimanere a priori inviolabile.
Occorrerebbe quantomeno informarsi sul contenuto della riforma della costituzione, nel suo complesso ma anche, e soprattutto, nelle sue singole parti: già, perché se della riforma “nel suo complesso” bene o male si parla, sia pure in termini molto generici, e al netto dei pregiudizi (o idee politiche) di chi, di volta in volta, ci spiega cosa succederà, non si è mai affrontato seriamente il singolo tema.
Come è successo per l’ambiente, rimasto indietro nella “gerarchia”, forse anche perché percepito ancora una volta come meno…urgente.
Eppure in questo settore i risvolti insiti in questa riforma, che si pone in scia con una certa deriva decisionistica, non sono di poco conto.
Perché se è vero che anche per quanto riguarda l’ambiente la continua mediazione e la continua rivendicazione di competenze, ma anche il suo contrario – il classico rimpallo di competenze (tipico di queste latitudini: “non è di mia competenza”) – hanno indubbiamente creato un ostacolo alla crescita (innanzitutto culturale) del nostro Paese, è altrettanto vero che un decisionismo altrettanto fine a se stesso rischia nella migliore delle ipotesi di non risolvere nulla.
Non è questa la sede più opportuna per discettare sul modus operandi del legislatore nelle sue diverse estrinsecazioni (normative, politiche e diacroniche), ma non si può non notare che – al di là di qualsiasi distinguo ci si voglia prendere la briga di fare – il nostro “modello di crescita” è quello cui si è fatto cenno all’inizio di questo contributo: un “modello pervasivo di semplificazione emergenziale”, nel quale senza soluzione di continuità i legislatori che si sono susseguiti nel tempo hanno collegato il progresso (e la ripresa economica) a progetti di “Grandi Opere”, che naturalmente hanno anche Grandi Impatti sull’ambiente.
Grandi Impatti che, in quanto tali, se non devono soggiacere al ricatto del primo comitato di condominio nato ad hoc per impedire una qualsivoglia opera, non devono neanche, al contrario, essere il frutto di un atto di fede nell’intrinseca bontà di accelerazioni decisioniste, fatte in nome di una non meglio specificata asserita strategicità dell’opera presa di volta in volta in considerazione, in barba alla leale collaborazione (oltre che dell’adeguata ponderazione, condivisione e visione comune).
Un modello che, per fare soltanto un esempio, ha trovato una delle sue ultime massime manifestazioni nello #SbloccaItalia, di cui questa riforma costituisce in qualche modo “lo strumento operativo privilegiato”.
Uno strumento che non solo amplia la competenza esclusiva dello Stato, ricomprendendovi anche materie prima oggetto di competenza concorrente; non solo elimina il comma 4, in base al quale comunque spettava alle Regioni “la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”, ma addirittura lascia la porta aperta per dilatare ulteriormente il ruolo dello Stato, laddove prevede la “clausola (che si potrebbe definire) ad libitum”, in base alla quale “su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
Non sembra, infatti, che anche grazie alle riforme connesse a quella costituzionale (ci si riferisce, in particolare, alla legge elettorale, e alle maggioranze in grado di produrre), la proposta del Governo di intervenire laddove teoricamente non gli dovrebbe competere, possa cadere nel vuoto, se, come e quando dovesse decidere (ad libitum, appunto) di esercitare questa facoltà.
Se è pur vero che la riforma del 2001, a detta degli odierni riformisti, non chiarendo sufficientemente il riparto di competenze aveva avuto come effetto collaterale l’aumento del contenzioso, è pur sempre altrettanto chiaro non solo che i criteri di ripartizione non sono, non possono essere, mai così netti, ma anche che gran parte della responsabilità è da attribuire al nomoteta, che con la scusa dell’emergenza ha legiferato in modo decontestualizzato, senza uno straccio di visione per il futuro e con norme il cui contenuto, inevitabilmente contraddittorio, è spesso anche giuridicamente … caotico? Incomprensibile? Diversamente interpretabile e/o attribuibile? Necessariamente conflittuale?
In ogni caso, che dire delle “disposizioni generali e comuni”, cui si fa riferimento nella riforma, qua e là, nel testo dell’articolo 117, a proposito della tutela della salute, delle politiche sociali e per la sicurezza alimentare, dell’istruzione e formazione professionale, delle attività culturali e sul turismo, del governo del territorio?
Non sono forse espressioni volutamente ambigue che nel riservare ulteriori margini di esclusività statale prestano comunque il fianco ad altre tipologie di contenzioso?
E chi deciderà “dove finiscono le «disposizioni generali e comuni del governo del territorio» e iniziano le disposizioni specifiche, rispetto ad esempio ai rapporti fra attività economiche e tutela del territorio e del paesaggio”?
Allora non è lo strumento, ma chi lo deve utilizzare. Sia esso Stato o Regione.
È una questione di (reciproca e) leale collaborazione, concetto che nonostante rimanga all’interno dell’articolo 120 della Costituzione, con la riforma viene sostituito nei fatti con il “ci penso io” da parte dello Stato: una semplificazione minimalista che relega la riforma, nei fatti, nel calderone delle riforme da riformare, perché (ancora una volta) di facciata e non di sostanza, e comunque passibili di essere dichiarate incostituzionali, come è avvenuto (neanche a farlo apposta) qualche mese fa proprio con lo #SbloccaItalia, che è stato dichiarato incostituzionale in parte qua, ovvero proprio in relazione al più ampio mancato coinvolgimento delle Regioni interessate.
È una questione culturale: perché neanche la migliore delle riforme immaginabili può garantire che non ci siano sprechi (di denaro, di tempo e di vite umane), corruzione, criminalità organizzata, disastri ambientali e sanitari annunciati, …. non solo nelle Grandi Opere, ma anche in quelle che riguardano, dovrebbero riguardare, la vita quotidiana di milioni di persone.
Basti pensare alla recente tragedia ferroviaria accaduta in Puglia…
L’inamovibile paravento costituito dal continuo dibattito su riforme annunciate nasconde il vero problema di fondo (e fa la fortuna di chi da questa situazione può trarre vantaggio): che forse si potrebbero cambiare la cose con quello che abbiamo, se solo le parole (comprese quelle contenute nella Costituzione) fossero utilizzate non in funzione di un risultato politico (che non ci interessa) ma di un obiettivo condiviso, frutto di una pianificazione strutturata effettuata all’interno di una visione.
E con una concertazione che non sia impostata sulla classica contrapposizione di (asserite) diverse esigenze (ideologie), ma su una progressione di competenze e non su recinti (para)ideologici, sulla conoscenza e non sulle conoscenze, sull’uso finalmente corretto e meditato delle parole, in grado di spiegare cosa sta succedendo, e soprattutto cosa potrebbe succedere.
Perché “non si possono dare spiegazioni affrettate e superficiali, bisogna pensarci bene, ci va il tempo che ci va”: e soprattutto non possiamo aspettare che queste spiegazioni ci vengano offerte ex post sempre e solo dalla Corte Costituzionale, che nella cit. sentenza
“ha predisposto una graduazione giurisprudenziale degli strumenti di partecipazione regionale, al fine di dare compiuto svolgimento al principio di «leale collaborazione» tra enti territoriali”, confermando la precedente giurisprudenza ed evidenziando “come, in relazione all’oggetto della decisione e all’organo di raccordo azionato (o da azionare), siano «fisiologiche» talune differenziazioni concernenti l’intensità del coordinamento; e come, ad ogni modo, la concertazione appaia necessaria affinché possa considerarsi rispettato il canone della lealtà in fase di cooperazione tra lo Stato e gli altri enti territoriali”.
Perché – nonostante ci venga presentata nei termini cui si è fatto cenno in premessa – per tornare al punto di partenza e chiudere il cerchio argomentativo, non siamo allo stadio, ma nell’arena della vita di tutti i giorni, e non conta chi ha vinto o ha perso, se a rimetterci è la qualità della nostra vita.


Import/export di rifiuti da e per l'Italia: domiciliazione per le società estere

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L’art. 194 del D.Lgs. n. 152/2006, il c.d. “Testo Unico Ambientale” (“Spedizioni transfrontaliere”) stabilisce che, fatte salve le norme che disciplinano il trasporto internazionale di merci, le imprese che effettuano il trasporto transfrontaliero di rifiuti nel territorio italiano devono essere iscritte all'Albo nazionale gestori ambientali. 

Con la circolare n. 146 del 25 gennaio 2011 (“Sede secondaria imprese estere che effettuano trasporti transfrontalieri”) il Comitato nazionale ha fornito una risposta alle tante richieste di chiarimento in ordine alla necessità, per le imprese estere che si iscrivono all’Albo, di istituire una sede secondaria in Italia con rappresentanza stabile nel termine di centoventi giorni dalla data di presentazione della domanda d’iscrizione. 

Al riguardo il Comitato nazionale ha precisato che il requisito in questione può ritenersi soddisfatto, considerato il disposto dell’articolo 10, comma 2, lettera b), del D.M. 406/98, anche dall’impresa che disponga di un domicilio in Italia
In sostanza, l’ANGA ha reso equivalente all'apertura di una sede secondaria la c.d. domiciliazione, ossia il fatto di eleggere a proprio domicilio in Italia un luogo di proprietà di terzi, con la possibilità di inviare e ricevere la corrispondenza da e per tale luogo. 

Questo vuol dire che l'impresa non deve necessariamente aprire una sede secondaria, con tutte le spese di locazione e gestione che una sede secondaria comporta, ma può limitarsi ad eleggere un domiciliatario, presso il quale ricevere tutta la corrispondenza, e gestire tutte le pratiche relative al trasporto rifiuti in Italia. 

Con il DM n. 120/2014 (“Regolamento per la definizione delle attribuzioni e delle modalità di organizzazione dell'Albo nazionale dei gestori ambientali, dei requisiti tecnici e finanziari delle imprese e dei responsabili tecnici, dei termini e delle modalità di iscrizione e dei relativi diritti annuali”) è stato previsto, inoltre, che le imprese e gli enti che intendono effettuare esclusivamente attività di trasporto transfrontaliero di rifiuti su strada devono corredare la domanda d'iscrizione con una serie di documenti, fra i quali la dichiarazione di elezione di domicilio in Italia. 

Con la nuova deliberazione del 13 luglio 2014, n. 3, infine, il Comitato ha in parte stabilito i criteri, i requisiti e le modalità per l’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali nella categoria 6 (imprese che effettuano il solo esercizio dei trasporti transfrontalieri di rifiuti). 
La nuova disciplina prevede, fra le altre cose, che le imprese che intendono iscriversi all'Albo nella categoria 6 devono presentare domanda, esclusivamente con modalità telematica, alla Sezione regionale o provinciale territorialmente competente, nel caso che dispongano di sede secondaria o eleggano domicilio in Italia, oppure, nel caso eleggano domicilio mediante indirizzo di Posta elettronica certificata (Pec) ad una Sezione regionale o provinciale a scelta dell'interessato. 

La nuova disciplina entrerà in vigore il 15 ottobre 2016.

Update: the new rules will come into force the May 15th, 2017 (Circular no. 148 of February 2nd, 2017 contains transitional provisions on inclusion in the category 6 of ANGA's register)

L'impresa di servizi e consulenza ambientale Natura Giuridica fornisce alle società estere che trasportano rifiuti in Italia (import/export di rifiuti in/dall'Italia): 
  • l'assistenza completa per l’iscrizione all’Albo in questa categoria; 
  • la domiciliazione; 
  • la comunicazione di tutte le novità normative relative al trasporto transfrontaliero di rifiuti 
al fine di consentire all'impresa estera di essere in regola con la normativa italiana (con la tranquillità di non incorrere nelle sanzioni per trasporto illecito di rifiuti previste nel D.Lgs n. 152/2006) e contenendo al massimo i costi. 
Il servizio è rivolto sia alle singole imprese che alle associazioni estere che intendono proporre ai propri associati tale servizio, ma non hanno al loro interno personale specializzato a svolgere tale tipologia di attività [e alle quali manca comunque il contatto e la padronanza della lingua].
Infatti, è notevolmente più economico stabilire un canone periodico per la domiciliazione e la gestione della corrispondenza, rispetto all'apertura di una vera e propria sede legale secondaria! 
Ma non è finita: in considerazione della complessità della normativa ambientale italiana, e del fatto che la stessa viene modificata sovente, l’impresa “Natura Giuridica” offre servizi di consulenza ambientale globale e personalizzata, volta ad offrire al cliente tutto il supporto giuridico, burocratico, amministrativo e logistico di cui ha bisogno. 

Per richiedere questi servizi è sufficiente contattare Andrea Quaranta, titolare di Natura Giuridica e richiedere un preventivo. 
Non lasciare che la tua attività di trasporto transfrontaliero di rifiuti sia affidata al caso: contattaci e ti seguiremo e ti affiancheremo passo dopo passo nel tuo business.


Diario di un consulente ambientale itinerante

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Il Blog di Natura Giuridica da più di otto anni (dopo quasi altrettanti di “gestazione mentale”) è un blog di formazione ed informazione ambientale.

E il fatto che la seconda parola contenga la prima, e che non indichi solo l’informazione in quanto tale, ma dia l’idea di un processo formativo, di un “qualcosa” che si muove, che cresce, in…formazione, appunto, la dice lunga sullo spirito con il quale ho deciso di intraprendere questo fortunato percorso. 

Dal 2002 sono un consulente ambientale; certo il 2002 è stato l’anno in cui ho cominciato, e non avevo – non potevo avere! – l’esperienza che ho oggi. 

Di acqua sotto i ponti, come si dice, da allora ne è passata molta – anche se mi sembra ieri – e l’esperienza si è stratificata a ritmi quasi vertiginosi. 
Non poteva essere diversamente, considerata l’importanza strategica che settore ambientale ha finito per assumere nella nostra società. 

Il blog – e il sito, più istituzionale, se vogliamo – è nato nel momento in cui ho maturato la decisione di andarmene da Roma, dove ho mosso i primi passi, per fare il “salto nel vuoto”: lasciare un posto di lavoro relativamente sicuro e decidere di cominciare il mio percorso in solitaria, nelle terre in cui sono nato. 

Attenzione, però: sono tornato nel mio bel Piemonte (sono di Cuneo) e, dopo una sistemazione provvisoria in un perduto borgo ai confini con la Francia, mi sono spostato in un’altra valle, in un paesino che ricorda meno Asterix e Obelix, ma pur sempre un paesino di provincia, nel fondo di una valle fra le meno conosciute del cuneese (dagli italiani: dovreste vedere quanti stranieri ci sono non solo d’estate), la val Maira.
Sono tornato, dicevo, nel mio bel Piemonte, ma non ho voluto limitarmi a lavorare qui; ho semplicemente preferito stabilire in questo ameno luogo – Dronero, si chiama il posto dove con mia moglie, altra “diversamente montanara” come me (è abruzzese, e non dico altro…), abbiamo deciso di insediarci – il mio studio. E di mettere su famiglia…. 

Certo internet mi aiuta, sia nella ricerca di clienti che nella loro gestione: tanti li conosco solo per mail, con tanti parlo anche al telefono, e tanti altri vengono dalla più disparate parti di Italia nel mio studio per chiedermi consulenza e supporto nelle loro decisioni. 

Ma di fondo viaggio parecchio, perché ci sono molte attività di consulenza ambientale che richiedono necessariamente la presenza sul posto, un contatto, una chiacchierata a quattro occhi, l’instaurarsi di un dialogo con tutti i soggetti coinvolti, pubblici o privati che siano. Sono diventato (in formazione) – come mi potrei definire?! – un consulente ambientale itinerante

E così, anche grazie al web, oltre alla clientela local, posso guardare ad un mercato global, nazionale ed internazionale. 
Nelle pagine di questo blog, in questa rubrica – “Diario di un consulente itinerante” – vi racconterò alcune delle vicende professionali più strane, formative, illuminanti, assurde, significative, "più" ……………… che mi siano capitate.

Anche e soprattutto per farvi capire in cosa consiste il mio mestiere (consulente ambientale, Environmental risk maneger), e soprattutto qual è il grande valore aggiunto che può dare alla vostra impresa (ma discorso analogo vale per le amministrazioni) una consulenza ambientale professionale. Valore aggiunto In termini di denaro e di tempo. 
Come è successo per il nome della mia impresa, “Natura Giuridica”, il diario sulle “peripezie" di un consulente ambientale itinerante è nato da un’idea – o un’intuizione? – di mia moglie, che nonostante le sue origini abruzzesi (mi perdonino i miei amici di “sotto Tronto”, ma lo stereotipo dell’abruzzese di oggi è quello che Maurizio Crozza mirabilmente sintetizza nel personaggio dell’onorevole Razzi..), e malgrado due bambini, si occupa di comunicazione. 

Nei prossimi post comincerà questa nuova avventura: adesso vi saluto, sto per arrivare dal prossimo cliente.


La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte?

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Sul n. 4/2016 della rivista "Ambiente & Sluppo" (IPSOA), è stato pubblicato un articolo che analizza la nuova transazione ambientale, così come modificata dall'ex collegato ambientale alla legge di stabilità del 2014.
Sul sito di Natura Giuridica si riporta uno stralcio dell'articolo, senza le numerose note di approfondimento, con particolare risalto alle conclusioni.
Per un approfondimento del contenuto della bozza di DPCM, si rimanda all'intero articolo, "La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte?"

La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte?
di Andrea Quaranta e Valoentina Cavanna

L’Agenda verde del Governo
A distanza di due anni dagli sfarzosi annunci con i quali il Governo comunicava di aver approvato “quella che può essere definita «l’Agenda Verde» del governo”, durante i quali si sono susseguiti (e soprapposti) interminabili dibattiti, frettolose correzioni, aggiunte, espunzioni, rinvii, nuovi annunci, restyling (e approfondimenti?), finalmente alla fine del 2015 è stato pubblicato in G.U. l’ex collegato ambientale alla legge di stabilità 2014, divenuto medio tempore “disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali”.
Con il presente contributo intendiamo analizzare, in particolare, le novità introdotte dal legislatore in merito alla “determinazione delle misure per il risarcimento del danno ambientale e il ripristino dei siti di interesse nazionale”, di cui al nuovo articolo 306-bis del Testo Unico Ambientale (il Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006), al fine di valutare in quale misura le novità introdotte dal legislatore in materia di “transazione ambientale” possano eff
ettivamente servire ad accelerare i procedimenti de quibus, a garantire la certezza del diritto in relazione al diffuso contenzioso in materia di danno ambientale con riferimento ai Siti di Interesse Nazionale (“SIN”) e a tutelare più efficacemente l’ambiente. Oppure no.

La galassia degli strumenti transattivi
Prima di addentrarci nei meandri dell’ultima riforma, occorre fare un sia pur sintetico riassunto dell’evoluzione della normativa concernente lo strumento latu sensu della transazione ambientale, che non rappresenta una novità assoluta nel panorama normativo italiano e nella relativa prassi applicativa.
Verso la fine degli anni ’90, infatti, il legislatore ha cominciato a legiferare su specifici procedimenti, oggetto anche in passato di una prassi volta ad accelerare i procedimenti di bonifica e a diminuire gli adempimenti istruttori in capo all’amministrazione, in relazione all’accertamento della responsabilità: con la legge n. 239 del 16 luglio 1998 il legislatore ha adottato il modulo convenzionale per la definizione, in via stragiudiziale, con atti transattivi, della vicenda concernente l'esplosione e l'affondamento della motocisterna Haven, dettando una disciplina specifica delle modalità con le quali la transazione si sarebbe dovuta svolgere.
Due anni più tardi, con la finanziaria per il 2001, il legislatore ha previsto (art. 114, comma 7) una clausola di non punibilità – non solo per “chiunque abbia adottato o adotti le procedure” previste dall’allora vigente “decreto Ronchi” e dal DM 471/99, ma anche per chi “abbia stipulato o stipuli accordi di programma previsti nell'ambito delle medesime normative” – per “i reati direttamente connessi all'inquinamento del sito posti in essere anteriormente alla data di entrata in vigore [del “decreto Ronchi”] che siano accertati a seguito dell'attività svolta, su notifica dell'interessato […] qualora la realizzazione e il completamento degli interventi ambientali si realizzino in conformità alle predette procedure o ai predetti accordi di programma ed alla normativa vigente in materia”. Il programma nazionale di bonifica di cui al DM 468/2001 ha stabilito, pochi mesi più tardi, i criteri per l’erogazione dei finanziamenti ivi previsti, che “sono regolamentati mediante il ricorso agli Accordi di programma da sottoscrivere tra lo Stato, le regioni, gli enti locali territorialmente competenti”.
[…]

La “transazione globale” e la nuova transazione ambientale a confronto
Le due discipline differiscono per una serie di aspetti, sintetizzati di seguito nel seguente punto elenco e schematizzati nel successivo diagramma di flusso:
1) iniziativa: […]
2) contenuto: nella transazione definita “globale” dal D.L. n. 208/2008 lo schema di contratto ha ad oggetto la spettanza e la quantificazione degli oneri di bonifica, degli oneri di ripristino, del danno ambientale e di altri eventuali danni di Stato/enti pubblici territoriali. Il contenuto della nuova transazione è parzialmente difforme, attesa l’impossibilità (almeno a priori) di un ristoro meramente economico del danno ambientale. Innanzitutto, l’art. 306-bis stabilisce la necessità di tenere conto del quadro comune di cui all’Allegato 3 della Parte Sesta del TUA. La proposta individua gli interventi di riparazione primaria, complementare e compensativa; qualora sia formulata per la riparazione compensativa, tiene conto del tempo necessario per conseguire l’obiettivo della riparazione primaria o della riparazione primaria e complementare. […]
3) conseguenze in caso di inadempimento: […]
4) conseguenze della stipula della transazione: […]

La (perenne) transizione ambientale
Se ci si limitasse ad un’analisi sincopata “da TG” – spesso poco più che un insieme di slogan pro o contro – invece che ad un’attenta lettura del dato normativo, scevra da pregiudizi ideologici, la transazione ambientale (quella “globale” e a maggior ragione quella novellata, si suppone in meglio) potrebbe essere considerata – a torto – come la soluzione in grado di risolvere problemi (e le problematiche) ambientali da troppo tempo irrisolti, o al contrario come il “male assoluto”, in grado di vanificare anni di lotte (?) ambientaliste, e in quanto tale da osteggiare a prescindere.
La realtà – molto più prosaica – è che siamo, continuiamo ad essere, in una fase di transizione (ambientale, in questo caso), che visti i presupposti sembra destinata a durare ancora per molto.
Non sono bastate riforme, codificazioni, integrazioni, decretazioni d’urgenza: ogni riforma viene emanata o sulla base dell’emergenza (come avvenuto per la “transazione globale”), o a valle di lunghe “cavalcate normative”, fatte di veti incrociati, attese, riesami, raffazzonamenti “attorno contenuti purchessia, magari pescando a piene mani da appunti, segnalazioni, mezze idee e annotazioni, stratificatisi come fondi di magazzino nei cassetti delle scrivanie dei […] funzionari […] presso i vari ministeri coinvolti” (come avvenuto per l’ex collegato alla legge di stabilità per il 2014 e, di conseguenza, per la transazione novellata).
La transizione da uno schema transattivo all’altro costituisce un’ennesima riprova di questo infausto modus operandi: molti i dubbi sollevati dalla transazione globale, molti gli interrogativi ai quali la nuova riforma non ha dato una risposta.
Certo, in questo passaggio non sembrano mancare – oltre alle buone intenzioni, ampiamente comunicate – anche elementi in qualche modo positivi (anche se…), ma sono molto più numerosi gli elementi critici – gli interrogativi lasciati irrisolti – che rischiano di minare dall’interno il paradigma.
Il primo riguarda l’equilibrio fra interessi economici ed ambientali, che l’accordo transattivo dovrebbe comporre. Fermo restando che tali accordi possono costituire, almeno teoricamente, un prezioso strumento a favore delle imprese, volto a definire la propria posizione in relazione a tutti gli aspetti ambientali e ad evitare un contenzioso giudiziario, dalla durata e dagli esiti incerti, ma anche una deroga ai procedimenti ordinari – altrimenti non avrebbero ragion d’essere – occorre chiedersi se un loro eventuale utilizzo sistematico, sicuramente utile ai fini della riduzione dei costi ambientali, non possa essere, nel medio-lungo periodo, controproducente per il bene-ambiente, che è un bene pubblico ed estraneo agli interessi economici.
Qual è il limite alla negoziabilità, fra le parti, dei livelli di accettabilità che dovranno essere rispettati nel caso in cui debba essere adottato un piano di monitoraggio e controllo, qualora all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente?
Più in generale, qual è il limite alla discrezionalità della P.A. nella verifica dei requisiti (formali o sostanziali?) elencati nel comma 2?
La seconda categoria di criticità riguarda l’interesse, da parte dei soggetti privati, alla stipula di tali accordi, da un lato, e più in generale la coerenza del sistema ideato dal legislatore.
Fermo restando che, in linea generale transare dovrebbe in ogni caso essere in una qualche misura conveniente, non fosse che per venire incontro ad esigenze di celerità e di certezza, non si può non notare che nel passaggio dalla transazione globale a quella novellata sono stati soppressi tre commi (5, 5-bis e 7), forse nell’ottica di superare alcuni aspetti critici della precedente disciplina (che avevano fatto storcere il naso ai più intransigenti ambientalisti), la cui mancanza ora rischia, almeno sulla carta, di spostare l’equilibrio (instabile) dalla parte del ministero che, sempre sulla carta, può permettersi di (far vedere di) fare la voce grossa (di fronte ai microfoni del “TG”), salvo poi comportarsi pragmaticamente nelle opportune sedi…
L’abolizione del comma 5 della “transazione globale” – quello secondo il quale la stipula del contratto di transazione comportava l’abbandono del contenzioso pendente e precludeva ogni ulteriore azione per rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino ed ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale – rischia (almeno sulla carta), di rendere meno appetibile la nuova transazione (non globale) e, di conseguenza, sembra essere inconciliabile con l’obiettivo perseguito dal legislatore.
Che dire, poi, della soppressione del comma 5-bis, in base al quale la stipula del contratto comportava anche la facoltà di utilizzo dei terreni in conformità con la loro destinazione urbanistica, e nel rispetto dei criteri ivi stabiliti?
Qual è la ratio di questo “fermi tutti”, non mitigato dalla previsione di un termine non perentorio?
Ma soprattutto, qual è il significato della soppressione del comma 7, relativo all’utilizzo “dei soli proventi di spettanza dello Stato, derivanti dalle transazioni”? Dove affluiranno, una volta abolito il riferimento “al fondo di cui all’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33”?
Un ulteriore interrogativo – cui neanche la riforma è riuscita a dare una risposta – riguarda il parere dell’Avvocatura di Stato, che tiene conto anche dei presumibili tempi processuali e dei prevedibili esiti del giudizio pendente o da instaurare: al di là della obiettiva difficoltà di siffatta previsione, perché non prevedere il parere obbligatorio del Consiglio di Stato?
Cosa potrebbe succedere, poi, nel caso in cui la proposta transattiva venga formulata da uno solo dei soggetti obbligati con riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri? Dal momento che l’art. 1304, comma 1, del Codice Civile dispone che la transazione non produce effetto nei confronti dei condebitori che non dichiarano di volerne profittare, quali sono le conseguenze nel caso in cui una delle imprese stipuli una transazione sull’intero e le altre imprese, invece, decidano di proseguire in un eventuale contenzioso con il MATTM?
Qualcuno potrebbe obiettare che la novella apportata dall’ex collegato ambientale apra una (nuova!) fase transitoria, e che soltanto il tempo ci consentirà di comprenderne l’effettiva portata e di scoprire se gli interrogativi posti in questa sede siano destituiti di fondamento, o meno.
È vero.
Ma questa sarebbe, in ogni caso, una giustificazione che non fa venire meno la reale necessità di dare un nuovo corso alle cose, in modo strutturale e strutturato, coordinato e di prospettiva, che consenta nel contempo di tutelare l’ambiente e la salute umana, nonché l’iniziativa economica privata, attraverso una chiara definizione della “posta in gioco” e delle “carte” da poter “giocare”.


La consulenza ambientale smart di Natura Giuridica, per un moderno, efficiente ed efficace management ambientale

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L’ambiente è un settore strategico e di potenziale business per tutte le imprese.

Tuttavia, il diritto ambientale, che dovrebbe facilitare l’operatività delle imprese in questo settore, è in costante evoluzione.

Le numerose modifiche che continuano a succedersi nel corso degli anni, unite alle difficoltà interpretative/applicative e a quelle legate alla scarsa considerazione da parte della P.A. delle esigenze di certezza operativa, celerità e semplificazione indispensabili per gli operatori del settore, hanno dato vita ad un sistema difficile da gestire, macchinoso, burocratico e, in ultima analisi, molto costoso per le imprese.

Queste ultime, infatti, si trovano spesso in difficoltà a seguire tutte le modifiche normative, a contestualizzarle, a comprenderle, perfino a rispettarle, per non parlare delle problematiche connesse alla difficile gestione degli iter burocratici con le PP.AA.

I costi per le imprese

Perdite di tempo e denaro, legati alla non corretta/ottimale gestione delle problematiche ambientali, rischi di non-compliance e profili di responsabilità civile, amministrativa e penale sono, dunque, all’ordine del giorno, e costituiscono un grave problema per le risorse interne e il management dell’impresa.




Rispettare la normativa ambientale, e gestire con minore rischio le dinamiche e le problematiche operative ambientali, tuttavia, può essere meno faticoso, più accurato ed economicamente vantaggioso, se inquadrate in un dinamico ed efficiente servizio di consulenza integrata.

Il management ambientale

Natura Giuridica è un’impresa che opera nel settore della consulenza ambientale strategica, ponendosi a fianco delle imprese nella delicata gestione del rischio ambientale, attraverso:
  • una continua attività di compliance normativa;
  • il regolare supporto nei contatti con le Pubbliche Amministrazioni;
  • il monitoraggio costante di tutta la produzione normativa di settore, anche di quella attuativa di dettaglio;
  • la minimizzazione dei danni causati da una precedente e non adeguata gestione delle problematiche ambientali;
  • il suggerimento di strategie operative, volte ad ottimizzare i tempi e i costi di gestione e utili a limitare al massimo le problematiche ambientali e consentire, di conseguenza, di liberare risorse per investimenti produttivi;
  • la creazione di nuove fonti di business per l’azienda.



Nella brochure vengono delineati più nel dettaglio i servizi offerti da Natura Giuridica alle imprese (è disponibile anche la versione in inglese)

La consulenza smart

Sulla base dell’esperienza maturata dal 2002 dal titolare di Natura Giuridica, Dott. Andrea Quaranta, Environmental risk and crisis manager, giurista e consulente ambientale d’impresa, formatore e facilitatore in campo ambientale, Natura Giuridica ha:
  • catalogato le principali esigenze operative che le imprese si trovano a dover affrontare in campo ambientale, e
  • ideato una snella ed efficace modalità di collaborazione con le imprese, in modo da consentire loro di avvalersi in forma realmente semplificata del supporto specialistico di un professionista del settore ambientale a costi contenuti.


Gli obiettivi della consulenza smart

Lo scopo è quello di:
  • affiancare le risorse interne, che spesso non hanno il tempo necessario per approfondire accuratamente tutte le tematiche ambientali, e di conseguenza, di gestirle in modo efficace e tempestivo (tutoring);
  • aiutare il management ad implementare nuove strategie operative e nuove vie per il business e lo sviluppo economicamente ed ambientalmente sostenibile dell’azienda (semplificazione dei processi aziendali).


Tale strumento è costituito da una convenzione annuale, meglio delineata nel paragrafo che segue, ideata appositamente per permettere all’impresa di:
  • essere costantemente informata ed aggiornata su tutte le novità normative nei diversi settori che costituiscono il diritto ambientale e su tutte le implicazioni pratico-operative che le stesse comportano; 
  • conoscere gli orientamenti interpretativi della normativa ambientale, e applicare di conseguenza le migliori strategie e scelte operative, sulla base di una personalizzazione funzionale alla specificità dell’azienda, alla sua struttura e agli obiettivi perseguiti; 
  • gestire in modo più rapido ed efficace le pratiche amministrative ambientali, grazie ad un costante contatto con le amministrazioni competenti; 
  • limitare le problematiche ambientali, ed in ogni caso gestire tempestivamente le situazioni di emergenza che dovessero comunque verificarsi;
  • essere competitiva a costi ragionevoli, esternalizzando il servizio di gestione delle problematiche ambientali e consentendo, al contempo, alle risorse interne di poter essere seguite da un tutor specializzato nel nevralgico settore ambientale. In questo modo, i responsabili del settore ambiente possono lavorare con piena consapevolezza degli strumenti e padronanza degli stessi, e il management è in grado di effettuare scelte strategiche adeguate.

In definitiva, si tratta di uno strumento conoscitivo-operativo, personalizzabile sulla base delle specifiche esigenze dell’impresa, in grado di consentire alla stessa di gestire nel migliore dei modi il rischio ambientale d’impresa, e di porre le basi per creare business ambientalmente ed economicamente sostenibile.

Compilate il questo modulo, specificando quali sono le criticità ambientali della vostra azienda, e inviatelo a andrea.quaranta@naturagiuridica.com.
Otterrete un preventivo gratuito e personalizzato per una consulenza ambientale in convenzione, articolata nei termini che seguono, ideata sulla base dell’esperienza professionale maturata nel settore dal Dott. Andrea Quaranta, titolare di Natura Giuridica, in relazione alle problematiche ambientali, e alla relativa necessità di consulenza giuridico-amministrativa ambientale non solo delle PMI, ma anche delle imprese di maggiori dimensioni.

La convenzione può anche prevedere diversi pacchetti di ore di consulenza (scritta e/o orale, a seconda delle indicazioni di volta in volta date dal Committente), in funzione delle esigenze della singolaimpresa.
Oggetto della convenzione, a titolo puramente indicativo, è quello di seguito elencato.

1-      Materie oggetto della convenzione.
a)   Scarichi;
b)   Emissioni in atmosfera;
c)    Rifiuti/RAEE;
d)   IPPC;
e)   Autorizzazione Unica Ambientale;
f)    Bonifiche;
g)   Responsabilità d’impresa;
h)   Efficienza energetica;
i)     ...quelle ulteriori eventualmente indicate dall’impresa.
2-      Costante aggiornamento normativo.
3-  Costante aggiornamento giurisprudenziale (con l’indicazione dei risvolti pratico-operativi che le pronunce del giudice penale ed amministrativo possono avere nei settori presi in considerazione)
4-      Specifiche ricerche normative e giurisprudenziali.
5-      Quesiti di carattere generale e specifico
6-      Telefonate/riunioni tramite Skype
7-      Riunioni presso la sede della società
8-      Finanziamenti
9-      Pratiche amministrative/autorizzatorie
10-   Qualsiasi altra consulenza volta a soddisfare le esigenze del cliente, con lo scopo ultimo di ottimizzare tempo e denaro.

Il taglio della consulenza, nelle sue diverse articolazioni, sopra elencate, sarà operativo, e avrà lo scopo di permettere alla dirigenza di effettuare scelte strategiche ambientalmente ed economicamente sostenibili.

Lo scopo è quello di consentire all’impresa di poter essere costantemente aggiornata sulle materie oggetto della presente proposta di convenzione; ai responsabili del settore ambiente di poter lavorare con piena consapevolezza degli strumenti e padronanza degli stessi; alla direzione dell’impresa di effettuare scelte strategiche adeguate e interfacciarsi nel migliore dei modi possibili con la P.A.

Cosa aspettate, allora!
Contattate Natura Giuridica e chiedete la vostra consulenza ambientale smart: una consulenza personalizzata in convenzione che vi permetterrà di risparmiare tempo e denaro, dormendo sonni più tranquilli.
 




Autorizzazione integrata ambientale: approvata la nuova modulistica

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A marzo 2016, con decreto, il Ministero dell’Ambiente ha approvato la nuova modulistica per la presentazione dell'Autorizzazione integrata ambientale di competenza statale, necessaria per le aziende che devono uniformarsi ai principi di prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento; in particolare, vengono aggiornati i moduli della domanda con specifico riferimento al riesame dell’istanza. 

Alla domanda dovranno essere allegate le schede tecniche che raccolgono in modo sintetico tutte le informazioni necessarie alla presentazione dell’autorizzazione: caratteristiche e descrizione dell’installazione, consumi di materie prime e di acqua, produzione e consumo di energia, informazioni relative al monitoraggio dell’esercizio dell’installazione. 

Il decreto 15 marzo 2016 del Ministero dell’Ambiente definisce il formato della modulistica da compilare per la presentazione della domanda di Autorizzazione integrata ambientale (AIA) di competenza statale, con specifico riferimento alla presentazione delle informazioni necessarie al fine del riesame.

Gli allegati del decreto stabiliscono, in particolare, il formato previsto per:
  1. la domanda (all. 1);
  2. le informazioni generali (all. 2);
  3. i dati e le, notizie sull'installazione attuale (all. 3);
  4. i dati e le notizie sull'installazione da autorizzare (all. 4);
  5. l’applicazione delle Bat e gli effetti ambientali (all. 5);
  6. l’attuazione delle prescrizioni e Pmc (all. 6).
Il ruolo della modulistica, come strumento necessario per avviare una fase di approfondimento istruttorio, non esclude, ma favorisce il confronto fra gestore ed autorità competente ma favorisce il confronto fra Gestore ed Autorità competente, al fine della ricerca delle possibili soluzioni; l’impostazione data dal ministero intende lasciare al gestore l’opportunità di indicare i dati maggiormente rappresentativi della propria installazione e le informazioni più utili e pertinenti, “ricorrendo spesso al rimando a relazioni tecniche per quelle materia che si ritiene difficile poter inquadrare in un percorso predefinito”.


Sul sito di IPSOA è stato pubblicato un approfondimento; questi gli argomenti trattati:
  1. la domanda di AIA 
  2. i dati e le notiie sull'installazione da autorizzare (Scheda C) 
  3. l'applicazione delle BAT e gli effetti ambientali della proposta impiantistica (scheda D) 
  4. l'attuazione delle prescrizioni AIA e il piano di monitoraggio e controllo (Scheda E) 









Bozza di DPCM sulla capacità nazionale di incenerimento: le risposte (sbagliate) a…quali domande?

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Sul n. 3/2016 della rivista "Ambiente & Sviluppo" (IPSOA), è stato pubblicato un articolo ,"Bozza di DPCM sulla capacità nazionale di incenerimento: le risposte (sbagliate) a…quali domande?", che analizza l'ultima bozza di DPCM con il quale sono stati quantificati sia la capacità attuale e potenziale degli impianti di incenerimento in esercizio, sia il fabbisogno residuo, individuando nelle macro-aree geografiche i nuovi impianti di trattamento termico da realizzare.

Poco più di un anno fa è stato pubblicato, sulle pagine di questa rivista, un articolo sul pubblicizzato nuovo incenerimento dei rifiuti dal sapore – per così dire – enigmistico: l’articolo, infatti, invitava il (più che) paziente lettore a soffermarsi sulle differenze apportate in materia dal decreto legge #SbloccaItalia, prima, e a stretto giro dalla sua legge di conversione, e a domandarsi quale fosse il senso di quel “fare e rifare, che è tutto un lavorare”, secondo l’icastica, lapidaria ed efficace sintesi proverbial-dialettale, ivi citata.
Perché il punto, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo di questo articolo, è – continua ad essere – proprio questo: per dare delle risposte efficaci, occorre sapersi fare le giuste domande. Non limitarsi ad ingegnosi make-up linguistico-normativi buoni solo per comunicare il risultato di un laborioso (quanto inutile) lavoro di una “riforma”, da vendere ai cittadini-consumatori, molto più numerosi non solo degli addetti ai lavori (nelle cui fila militano anche gli assolutori – del lavoro del Governo di turno – a priori), ma soprattutto di chi prova a far emergere il proprio motivato dissenso non (solo) tanto alla scelta in quanto tale, quanto alla sua realizzazione contestualizzata.
E invece, sulla scia di quel metodo di lavoro tanto caro ai nostri ambidestri legislatori, (e con il consueto ritardo), ci ritroviamo, oggi, a ri-discutere non solo di questa opinabile scelta di metodo, ma anche del suo “merito” (la bozza in progress non appare esente da critiche) e, più in generale, della coerenza di chi continua a spacciarla per…
A spacciarla, confondendo i suoi alibi e le ragioni di chi (anche in questo caso sono in tanti) vorrebbe un sistema integrato e moderno di gestione dei rifiuti reale, e non annunciabile.

Le prime "risposte" a non si sa quali domande di sostenibilità

La bozza di decreto, finalmente analizzabile a luglio dello scorso anno, contiene fin dalle premesse i richiamati elementi di incoerenza politica: magari a sua insaputa, ma sta di fatto che il legislatore ha utilizzato anche in questo caso, quella “tecnica” che consiste (anche) nel far di volta in volta riferimento o a comodi elementi esterni alla volontà politica di chi “è costretto ad agire” (va di moda, ad esempio, trincerarsi dietro al “ce lo chiede l’Europa!”), o a quegli stessi elementi esogeni, ma per sostenere, al contrario, posizioni politico-elettorali di segno opposto (ad esempio: “l’Europa non può dettarci le regole!”).
In un momento storico in cui quotidianamente echeggiano gli strali anti ingerenze europee, il nostro legislatore giustifica questa scelta anche con la necessità di attuare il “progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale”, di “tenere conto della pianificazione regionale” e di “superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione” comunitarie.
Sulla base:
  • di queste di per sé inoppugnabili premesse (ma fin qui siamo alle parole);
  • degli altrettanto indiscutibili principî di gerarchia nella gestione dei rifiuti (in relazione ai quali, tuttavia, il legislatore ha scelto – non si capisce se a sua insaputa o se per noncuranza – di muoversi su un terreno minato), e
  • del continuo richiamo a diverse tipologie di un non meglio specificato “fabbisogno” di trattamento e di incenerimento (per l’interpretazione del quale occorre, a questo punto, affidarsi a qualche aruspice),
la prima bozza di decreto si struttura come segue [...]

L'articolo prosegue con un capitolo intitolato "Le risposte rivedute e corrette e l'utilizzo del Photoshop giuridico", e un altro che analizza le risposte date dalle regioni al maquillage al quale era stato medio tempore sottoposto il DPCM.

L'ultimo capitolo è intitolato un po' ironicamente, un po' provocatoriamente "42 è la risposta!Ma a quale domanda?"....

"[...]
Nella“Guida galattica per autostoppisti” – serie di romanzi di fantascienza umoristica – un supercomputer, realizzato per cercare la risposta alla “domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”, dopo sette milioni e mezzo di anni fornisce la risposta: “42”.

«“Quarantadue!” urlò Loonquawl. “Questo è tutto ciò che sai dire dopo un lavoro di sette milioni e mezzo di anni?”
“Ho controllato molto approfonditamente” disse il computer, “e questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda”»

Fatti gli opportuni distinguo, e con il Massimo rispetto per il ruolo, anche la politica 2.0, nonostante le premesse, sembra seguire – nei fatti, e per utilizzare un vocabolario comunicativo, e in quanto tale approssimativo, ma in ogni caso efficace –  lo stesso schema da “prima Repubblica”, infarcito di asserzioni aprioristiche, di espressioni normative sfarzose, di enunciazioni di principî solenni, di una comunicazione raffinata quanto vacua, di risposte generiche e contraddittorie a domande spesso sbagliate e in ogni caso non circostanziate né contestualizzate, quelle rare volte che il politico nelle vesti di legislatore (e non di comunicatore) ipotizza di risolvere i problemi partendo dall’analisi delle necessità, e quindi dalle domande.
Come si accennava in premessa, e probabilmente come conseguenza dell’assertività governativa e della relativa assenza di dubbi sul metodo e sul merito anche di questa scelta, le domande – che avrebbero dovuto, che dovrebbero indirizzare il legislatore – sono le grandi assenti anche di questa ennesima riforma ambientale.
Ed il legislatore fornisce, non può che fornire, risposte prive di significato, di soluzioni, di efficacia: si potrebbe quasi dire, a valle della lettura di questi testi, se la situazione non fosse così grave, che il legislatore sia portato più per la fantascienza umoristica che per governare le sorti di un Paese.

Volendo sintetizzare le criticità che, a parere di chi scrive, emergono dalla lettura dell’articolato normativo, si possono enucleare almeno tre categorie.
La prima, difficilmente riassumibile con un unico aggettivo, ha a che fare con l’innato carattere del nostro legislatore, poco incline a farsi domande, più propenso invece a far vedere di fare (soprattutto a dire) qualcosa e a manipolare le parole.
Tali criticità si manifestano:
  • a volte in modo palese, ad esempio laddove il legislatore continua a volersi riferire al fatto che tali impianti di “termovalorizzazione” “costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, e realizzano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantendo la sicurezza nazionale nell'autosufficienza del ciclo di gestione integrato dei rifiuti”: parole (parole parole) dotate evidentemente di poteri taumaturgici (per il legislatore), ma soprattutto autoassolutorie e funzionali alla comunicazione tautologica e martellante che domina la scena politica degli ultimi anni;
  • a volte in modo più sfumato, e quindi potenzialmente ancora più pericoloso, sotto forma di altri ipse dixit distorsivi del senso delle parole e/o della comunicazione e/o di quella che dovrebbe essere la ratio della normativa ambientale, più in generale.
Ne costituiscono un esempio il disinvolto richiamo a diktat esogeni, per giustificare qualsiasi decisione, specie se impopolare; l’utilizzo approssimativo di una terminologia non sempre coerente, sia che si tratti di “terminologia di dettaglio”, sia che si tratti di definizioni anche all’apparenza più cogenti, sia che si tratti, infine, di espressioni dirimenti per capire il contesto operativo; il pedante richiamo ad una gerarchia di gestione dei rifiuti diversa da quella reale, e modellata sulla base degli obiettivi (ehm: interessi) che si intendono raggiungere; la possibilità concessa di revisionare periodicamente le previsioni del decreto, salvo farlo soltanto “in presenza di variazioni documentate” (in sostanza: solo a consuntivo, e non in base alle previsioni delle programmazioni regionali per il futuro…); la nuova formulazione delle disposizioni finali (comma 6), laddove il legislatore stabilisce che per le modifiche del decreto, si debba tener conto anche delle politiche in atto relative alla dismissione di impianti o alla riduzione di capacità di incenerimento per le sole regioni caratterizzate da una sovraccapacità di trattamento rispetto al relativo fabbisogno di incenerimento.
L’intenzione, in questo caso, sembra essere quella di “depotenziare il conflitto istituzionale con la Lombardia, ove il caso della sovraccapacità è clamoroso”, salvo farlo “senza alcuna coerenza con la previsione fondamentale della bozza che, individuando solo l’incenerimento come destinazione ultima del rifiuto residuo, cancella le previsioni, incluse nella precedente bozza, dei 3 nuovi inceneritori per il Nord”.

Quest’ultimo passaggio ci permette di passare al secondo filone di criticità: quello delle incongruenze/contraddizioni.
La più evidente – ma non per chi ha ipotizzato queste risposte – è quella che non riesce a rispondere alla seguente domanda, per il semplice fatto di non essersela posta: perché puntare sull’incenerimento dei rifiuti, con questa presunta fretta “non operativa” (ma senz’altro con frettolosità), in un momento in cui la produzione di rifiuti è in netto calo?
E/ma soprattutto, perché puntare in questo modo così “cautelativo” sugli inceneritori che, per definizione, hanno una continua necessità di ricevere rifiuti, e per stessa ammissione del legislatore in passato sono stati sovradimensionati?
Non si tratta, con tutta evidenza, delle domande che chi legifera dovrebbe porsi prima di intraprendere un percorso normativo, quanto piuttosto di interrogativi ex post che sorgono dalla lettura di queste risposte…
Viene da chiedersi, inoltre, ad esempio:
-      perché, stando così le cose, il legislatore afferma, in premessa, che “l’individuazione di un fabbisogno basato su percentuali di raccolta differenziata minori rispetto al 65 per cento e senza tener conto degli obiettivi di ulteriore riduzione di rifiuti urbani e assimilati, determinerebbe una capacità impiantistica sovradimensionata rispetto alle esigenze nazionali”?
Senza contare il fatto che “gli impianti di trattamento preliminare hanno una capacità spesso superiore rispetto al fabbisogno di trattamento calcolato su una quantità di rifiuti residui derivanti da una raccolta differenziata a norma di legge”.
-      perché non si coordina la sedicente “strategia dell’incenerimento” (o incenerimento delle strategie?)  con quanto di recente approvato con la legge sulla green economy, la quale prevede una serie di interventi che vanno in assoluta controtendenza rispetto a questa bozza di decreto?
L’ultima, ma non meno importante, contraddizione, è quella che riguarda l’assenza di qualsiasi connessione con gli scenari delineati nel “Pacchetto sull’economia circolare”, adottato dalla Commissione europea il 2 dicembre 2015 per promuovere la transizione dell'Europa verso un'economia circolare che aumenterà la competitività globale, sosterrà la crescita economica e genererà nuova occupazione.
Il pacchetto – che contiene alcune proposte legislative riviste sui rifiuti nonché un piano d'azione globale, sulla base di una visione chiara e ambiziosa di lungo termine per aumentare il riciclaggio e ridurre il collocamento in discarica – parla anche di incenerimento, ma in termini (non mistificatori) più realistici, anche se utilizza il termine termovalorizzazione in modo giuridicamente border line…
Alla precisa domanda (“Nell'ambito di queste proposte è ancora permesso l'incenerimento dei rifiuti?”) la Commissione, infatti, risponde affermando che “se non è possibile evitare di produrre rifiuti né è possibile riciclarli, recuperarne il contenuto energetico è di norma preferibile al collocamento in discarica, sia sotto il profilo ambientale che economico. Vi è quindi spazio per la termovalorizzazione, che contribuisce a creare sinergie con le politiche unionali in materia di energia e clima, ma sempre seguendo i principi della gerarchia dei rifiuti stabilita dall'UE. La Commissione esaminerà come ottimizzare questa pratica, senza compromettere il potenziale di realizzazione di tassi di riutilizzo e di riciclaggio più elevati e come sfruttare al meglio tale potenziale energetico. A tal fine la Commissione adotterà un'iniziativa sulla termovalorizzazione nell'ambito dell'Unione dell'energia”.

Si tratta, in sostanza, di una questione di numeri, che rappresentano la terza e – almeno alla fine di questa prima lettura – ultima criticità di questa bozza.
Come s’è visto, i conti non tornano già solo se si considera il trend decrescente della produzione di rifiuti; a ciò si deve aggiungere che non vi è nessuna revisione dei calcoli per le Regioni con nuove programmazioni in corso di preparazione e che anche la terminologia utilizzata – non ulteriormente specificata – lascia ampi margini di movimento, sia in relazione ai presupposti localizzativi, sia con riguardo alla vera e propria realizzazione “di un sistema moderno ed integrato di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati”.

La normativa, specie quella ambientale, non ha bisogno di continui ritocchi di facciata, ma di essere presa sul serio e di dare risposte precise domande strategiche.
Ma chi di dovere queste domande se le deve porre consapevolmente prima, e non dopo che un altro danno si è verificato.
In quel caso, infatti, si tratta al massimo domande retoriche, quando non semplici constatazioni interrogative di quello che è accaduto, e che si sarebbe potuto evitare, ma buone in ogni caso per giustificare altre scelte emergenziali.
E le risposte non sono quelle programmatorie e strategiche di cui abbiamo bisogno (e che ci aspetteremmo), ma semplici risposte (para-umoristiche) che – come diceva quel(l)o – il legislatore ha dentro di sé.
E che, però, sono sbagliate.