Il TAR di Roma respinge i ricorsi contro il DM 5 maggio 2011 all’insegna della “comunicazione istituzionale”

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Con una serie di sentenze “fotocopia” il TAR di Roma ha respinto i ricorsi promossi da alcune società del settore fotovoltaico per l’annullamento del c.d. “quarto conto energia”, dei provvedimenti attuativi e degli esiti del procedimento di iscrizione nel registro dei grandi impianti fotovoltaici, come risultanti dagli elenchi pubblicati nel sito del GSE. 

Una decisione ineccepibile e, per certi versi, all’insegna della “comunicazione istituzionale”, perché spiega – in modo semplice e (quasi) didattico – ciò che allora avrebbe dovuto illustrare il legislatore nel “presentare” anche quell’atto normativo, emanato a valle di una politica programmatica che, invece, mancava del tutto. 
Oggi come allora, infatti, il nostro legislatore è alle prese con un “metodo” normativo che, prescindendo quasi sempre dall’analisi del merito e dalla contestualizzazione delle azioni che intende intraprendere, da un lato, e da un’adeguata comunicazione, dall’altro, continua a produrre norme che, a prescindere dalle intenzioni, lasciano strascichi negativi e soprattutto, non contribuiscono a far crescere il nostro Paese, specie in un settore, come quello della green economy, che potrebbe costituire il volano del rilancio (non solo) o della nostra economia. 

L’impugnazione concerneva essenzialmente l’anticipata cessazione del regime di sostegno al fotovoltaico delineato dal c.d. Terzo conto energia (DM 6 agosto 2010), rimasto in vigore per i soli primi cinque mesi del 2011 (invece che per i 36 originariamente previsti: id est fino a fine 2013) dopo che il decreto Romani, promulgato nel marzo dello stesso anno, con il precipuo obiettivo:
  • di definire, in attuazione della direttiva 2009/28/CE, “gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi” del pacchetto 20-20-20, e 
  • di individuare i nuovi meccanismi di incentivazione per tutte le FER,
aveva stabilito che le disposizioni di cui al cit. “terzo conto energia” si sarebbero applicate alla produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici che fossero entrati in esercizio entro il 31 maggio 2011 (art. 25, comma 9), rimandando l’individuazione dei nuovi incentivi a quello che successivamente sarebbe diventato il “quarto conto energia” (DM 5 maggio 2011), oggetto dell’impugnazione perché contenente una serie di “atti recanti una restrizione dell’esistente regime di sostegno sotto i profili del contingentamento della potenza incentivabile, del divieto di installazione di impianti in aree agricole e della sensibile riduzione dei livelli tariffari”, ritenute illegittime dalle ricorrenti.

 Cos’ha stabilito il TAR? 
Potete leggere l’intero commento alle sentenze del TAR di Roma collegandovi al sito della casa editrice IPSOA e seguire passo dopo passo l’iter logico seguito dal giudice amministrativo capitolino. 

Si tratta, in ogni caso, di una decisione ineccepibile e, per certi versi, all’insegna della “comunicazione”, perché spiega – in modo semplice e (quasi) didattico – ciò che allora avrebbe dovuto illustrare il legislatore, a valle di una politica programmatica che, invece, mancava del tutto. 
Se, infatti, si considerano le peculiarità delle misure volte alla promozione, per finalità di carattere generale, di uno specifico settore economico attraverso la destinazione di risorse pubbliche, si deve riconoscere – è il ragionamento “politico” sotteso a quello giuridico, effettuato dal TAR – che ci deve essere un momento a partire dal quale 
“l’aspettativa del privato a fruire degli auspicati benefici economici si consolida e acquisisce consistenza giuridica. Tale momento non può che essere individuato sulla base di elementi dotati di apprezzabile certezza, pena l’indeterminatezza delle situazioni e la perpetrazione di possibili discriminazioni. In questa prospettiva, sembra che l’individuazione di un discrimine ancorato alla data di entrata in esercizio dell’impianto trovi adeguata giustificazione nelle caratteristiche del sistema incentivante in esame, fondato sulla distinzione tra la fase di predisposizione dell’intervento impiantistico e quella (decisamente complessa) della sua messa in opera. Ed è a questo secondo momento (l’entrata in esercizio, appunto) che occorre rivolgere l’attenzione ai fini dell’individuazione del fatto costitutivo del diritto alla percezione dei benefici, ciò che si spiega alla luce della generale finalità del regime di sostegno (produzione di energia da fonte rinnovabile) e dell’esigenza, a tale scopo strumentale, che le iniziative imprenditoriali si traducano in azioni concrete ed effettive”. 
In sostanza, il TAR di Roma ha voluto riportare la controversia entro i confini che le sono propri, 
“venendo in esame la posizione di soggetti che con l’iniziativa giudiziaria in esame intendono tutelare, più che l’interesse alla conservazione di un assetto che ha prodotto effetti giuridicamente rilevanti (in conseguenza dell’entrata in esercizio del proprio impianto), scelte imprenditoriali effettuate in un momento nel quale le stesse, a loro giudizio, si presentavano come in grado di generare flussi reddituali positivi”. 
In ultima analisi, e al netto degli obiettivi di politica energetica, è necessario 
“evitare che l’attrazione di investimenti privati trasmodi per un verso in inopinata accelerazione della crescita del settore e, per altro, in facile occasione di guadagno, col risultato di tradire l’originaria ispirazione del regolatore, favorendo la creazione di vere e proprie bolle speculative, e al contempo di ingenerare il rischio di un’alterazione non prevista né voluta del c.d. mix energetico”,
senza precludere il perseguimento dello scopo finale della politica europea di sviluppo delle fonti rinnovabili (la penetrazione stabile e duratura delle stesse nel mercato). 

Ma per farlo occorre che il legislatore riconosca i propri atavici ripiegamenti, e cominci: 
  • a programmare seriamente, ed in modo autorevole, la sua politica (anche) energetica, 
  • a condividere realmente le scelte strategiche di lungo periodo e 
  • a comunicare, a monte della loro adozione, i motivi posti alla base di scelte riformiste ma non repentine, 
per porre fine al “sistema” adottato finora.
Un sistema fondato su un “domino di emergenze” in cui ogni tessera (atto normativo) è constestualmente un effetto e una causa: un effetto di scelte emergenziali fatte nel passato, e una causa delle scelte (emergenziali anch’esse) che si dovranno fare in futuro per contrastare – rimandandone continuamente la risoluzione – gli “effetti collaterali” di cui sono portatrici sane. 
Perché la mancanza di programmazione genera, inevitabilmente, incertezza normativa, politica, economica, ambientale, energetica, giuridica, sociale, che qualcuno – di solito un giudice, ma anche un’istituzione sovranazionale – prima o poi (ma in ogni caso ex post) ci mostrerà, per spiegarci i mali generati da modifiche repentine dei sistemi normativi, che spesso “sono state poco trasparenti, sono avvenute improvvisamente e, in alcuni casi, sono state imposte addirittura retroattivamente o hanno introdotto una moratoria”. 

A dirlo è la Commissione Europea (“Energie rinnovabili: un ruolo di primo piano nel mercato energetico europeo”), che ha altresì affermato che “questo tipo di pratiche, per tutte le nuove tecnologie e gli investimenti che ancora dipendono dai sostegni, compromette la fiducia degli investitori nel settore”, concludendo che occorre “evitare di esporre il mercato unico a un simile rischio” e contestualmente “continuare ad agire per garantire coerenza tra gli approcci adottati nei diversi Stati membri, per eliminare le distorsioni e valorizzare le risorse energetiche rinnovabili in modo economicamente vantaggioso”.