L’efficienza formale che provoca soltanto inefficienza sostanziale

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Da anni si parla di efficienza energetica e di risparmio energetico, ma nella società moderna del consumo come “unico” “parametro” per monitorare il benessere dei cittadini questi due strumenti/valore sono sempre stati guardati con sospetto, fino ad arrivare a sottovalutarli. 

Più per contrarietà che per adesione convinta ad un nuovo modello di sviluppo, con il tempo il risparmio e l’efficienza hanno cominciato a riempire le agende dei vari parlamenti, in particolare di quello europeo, che di recente ha emanato una nuova direttiva al riguardo. 
Ma nonostante rivestano un ruolo di particolare importanza, il risparmio energetico e gli interventi di efficienza energetica non hanno ancora una struttura solida e delle regole stabilite e condivise, in grado di valutare se le azioni intraprese possano realmente definirsi efficienti e risparmiose. 

È questo il quadro che emerge dalla lettura del secondo rapporto annuale sull’efficienza energetica, pubblicato dall’ENEA, e dal coevo “Cost-effetiveness of cohesion policy investments in energy efficiency”, edito ad opera della European Court of Auditor, la Corte dei Conti europea. 

Il testo completo dell’articolo è consultabile sul sito del “Il quotidiano IPSOA – Professionalità quotidiana”  In questa sede vorrei evidenziare che, in generale, dall’analisi dei 24 progetti presi in considerazione è emerso che in nessuno c’è stata una valutazione del fabbisogno energetico, né tanto meno del potenziale di risparmio dell’energia in relazione agli investimenti: in sostanza, ha sottolineato il referente del rapporto per la Court of Auditors, 
“gli Stati membri hanno utilizzato questi soldi per ristrutturare edifici pubblici mentre l’efficienza energetica era, al massimo, una preoccupazione secondaria”, 
anche a causa dell’assenza di specifiche richieste in tal senso da parte della Commissione, all’atto della valutazione dei programmi operativi. 

Il report si conclude con l’elenco di alcune raccomandazioni alla Commissione, che spaziano dalla corretta e preventiva valutazione dei reali fabbisogni energetici all’utilizzo di indicatori di performance comparabili, dall’uso di criteri trasparenti per la selezione dei progetti all’analisi del periodo necessario per il payback sulla base del periodo di ammortamento abituale per gli investimenti in efficienza energetica. 

Raccomandazioni ovvie soltanto ex post, evidentemente: “ma del senno di poi si può sempre ridere e anche di quello di prima, perché non serve” (I. Svevo,”La coscienza di Zeno”). 

Ecco, il principale obiettivo culturale-comportamentale, sia per i cittadini che per le istituzioni che devono guidare i primi, consiste nel cercare di evitare di ridere del “senno di prima”, e imparare dagli errori fatti in passato, anche e soprattutto da quelli causati dalla mancanza di zelo. 
La frettolosità di certe scelte effettuate nel passato – spesso soltanto sull’onda emotiva della novità da implementare, non importa come – non solo non è servita per (cominciare a) risolvere alcune problematiche energetiche, ma si è risolta in uno spreco di risorse pubbliche che, se spese in modo oculato, avrebbero già potuto portarci in un “altrove” più sostenibile, nei fatti e in prospettiva. 

Lo scoglio principale da superare, in ultima analisi, è quello culturale: i fondi, anche in periodi di crisi come quello che da troppi mesi stiamo attraversando, ci sono, ma occorre sapersi dare degli obiettivi ragionevoli, in relazione non solo ai costi da sostenere, ma anche del reale bisogno di determinati interventi, dell’arco temporale necessario per poter dire che la spesa effettuata è stata efficiente. I fondi vanno spesi, ma spesi bene, affinché l’efficienza la smetta di essere sbandierata come vessillo di una realtà che non potrà essere raggiunta, per l’inefficienza delle energie (non) profuse per raggiungerla.