L’informazione ambientale veicolo trasparente di sviluppo

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Se posso permettermi, alle “otto T del tempo che viene, otto chiavi per aprire le porte del futuro” proposte da Beppe Severgnini nel suo “Italiani di domani” (talento, tenacia, tempismo, tolleranza, totem, tenerezza, terra, testa), associate ad altrettanti moniti (rispettivamente: siate brutali, pazienti, pronti, elastici, leali, morbidi, aperti, ottimisti), ne aggiungerei una: Trasparenza, siate precisi. 
Già, perché ci può essere precisione solo con la trasparenza, e affinché il nostro Paese possa emergere dalla stagnazione socio-economica-culturale (e il legislatore anche da quella giuridico-normativa) che da anni tarpa le ali al nostro Bel Paese, ci vuole quel mix di informazione, comunicazione, partecipazione, merito, precisione riassumibili, appunto, con il termine trasparenza (anche amministrativa).

“Divulgare i dati della pubblica amministrazione è innanzitutto un atto di civiltà, perché è un valido strumento di controllo del potere da parte dei cittadini”, si legge in un recente articolo volto ad analizzare “Quanto è trasparente la pubblica amministrazione del nostro Paese” (P. BERNOCCO, su La Stampa del 31 gennaio 2013): nel campo ambientale, la giurisprudenza si è anche di recente espressa in merito, affermando che “l’accesso all’informazione ambientale può essere esercitato da chiunque, senza la necessità di dimostrare uno specifico interesse”, anche se “tuttavia, la richiesta non solo non deve essere formulata in termini eccessivamente generici, ma deve essere specificamente individuata con riferimento alle matrici ambientali ovvero ai fattori o alle misure di cui all’art. 2 del D.Lgs n. 195/05” (TAR di Roma, sentenza n. 9884/12). In sostanza: 
  • il diritto all’informazione ambientale, che costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, non può essere esercitato a fini genericamente ispettivi, e non dà luogo ad una pretesa meramente strumentale alla difesa in giudizio, essendo piuttosto finalizzato al conseguimento di un autonomo bene della vita qual è quello alla conoscenza dell’attività amministrativa per consentire alla pubblica amministrazione di adottare un giusto provvedimento che postula la completa conoscenza di tutti gli interessi in gioco, anche quelli privati, onde limitare quanto più possibile i sacrifici loro imposti; 
  • il diritto di accesso non può essere utilizzato come strumento per un mero generico e generalizzato controllo esplorativo sull’azione amministrativa per verificare la possibilità di eventuali, future lesive di interessi privati, né può essere configurato come un particolare tipo di azione popolare. 
In questo scenario si innesta la recente approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, dello schema di D.Lgs di attuazione dell’art. 1, comma 35, della L. n. 190/12, che ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte della PP.AA., “mediante la modifica o l’integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità”, nel rispetto di una serie di principi ivi specificatamente elencati. 

I punti principali del provvedimento riguardano, in generale: 
  1. l’istituzione dell’obbligo di pubblicità per una serie di “situazioni” (patrimoniali dei politici), atti (dei procedimenti di approvazione dei piani regolatori e delle varianti urbanistiche) e dati (in materia sanitaria); 
  2. la definizione del principio generale di trasparenza (“accessibilità totale delle informazioni che riguardano l’organizzazione e l’attività delle PA, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”); 
  3. la pubblicazione dei dati e delle informazioni sui siti istituzionali, snodo centrale per consentire un’effettiva conoscenza dell’azione delle PA e per sollecitare e agevolare la partecipazione dei cittadini; 
  4. l’accessibilità totale alle informazioni, come avviene negli Stati Uniti, dove il FOIA (“Freedom of Information Act”) garantisce l’accessibilità di chiunque lo richieda a qualsiasi documento o dato in possesso delle PA, salvo i casi in cui la legge lo esclude espressamente; 
  5. il rispetto della privacy; 
  6. la qualità delle informazioni diffuse dalla PA e la durata dell’obbligo di pubblicazione (i siti istituzionali devono creare un’apposita sezione “amministrazione trasparente”, nella quale inserire tutto quello che stabilisce il provvedimento); 
  7. la disciplina del Piano triennale per la trasparenza e l’integrità, che deve indicare le modalità di attuazione degli obblighi di trasparenza e gli obiettivi collegati con il piano della performance.
Entrando più nel dettaglio, gli artt. 37-42 hanno previsto obblighi di pubblicazione in settori speciali […]
Per leggere l’articolo completo, devi collegarti al sito del “Il quotidiano IPSOA, Professionalità quotidiana”, con il quale collaboro da due anni nella redazione di articoli scientifici e di cronaca ambientale.

Quello che, in definitiva, mi preme sottolineare in questa sede è che se è vero che il diritto di accesso non può essere utilizzato come strumento per un mero generico e generalizzato controllo esplorativo sull’azione amministrativa “per verificare la possibilità di eventuali, future lesive di interessi privati, né può essere configurato come un particolare tipo di azione popolare”, è altrettanto vero che la PA deve consentire ai cittadini di essere consapevolmente informati, oltre che su atti e dati relativi indirettamente l’ambiente (pianificazione urbanistica, paesaggio, gestione del territorio), anche su quelli che vedono direttamente coinvolti aspetti ambientali. 
Con trasparenza: perché attraverso una partecipazione, frutto anche di una comunicazione informata, condivisa, precisa e trasparente, si può inter alia evitare che, oltre alle lungaggini burocratiche (colpa di PP.AA. sonnacchiose e restie a comunicare il proprio operato) proliferino opposizioni a qualsiasi tipo di iniziativa che comporti impatti ambientali più o meno rilevanti (colpa di cittadini disinformati o malinformati) che, al netto di pregiudizi che purtroppo ancora oggi spesso ammantano sedicenti azioni ambientaliste, hanno fino ad oggi trovato facile humus nell’opacità che ha regolato il settore ambientale.