Ruolo e responsabilità del consulente ambientale

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In campo ambientale, uno (dei tanti) problemi più dibattuti – anche in seguito all’introduzione dei reati ambientali all’interno del DLGS n. 231/01 – è sicuramente quello concernente le responsabilità: la difficoltosa applicazione spazio-temporale del principio “chi inquina paga”, infatti, ha costretto in particolare la giurisprudenza ad adottare “soluzioni” alle lacune (o imprecisioni) legislative, che tuttavia non sono sempre state coerenti fra di loro. 
Per un verso, si evolve e modernizza il concetto di responsabilità per reato ambientale, oggi attribuibile anche alle persone giuridiche e, per l'altro, cresce la rilevanza di una figura come quella del "consulente ambientale" all'interno delle società, per gestire, appunto, questa nuova "tipologia di responsabilità. 

Emblematico, a tale riguardo, è il caso del proprietario non colpevole dell’inquinamento (destinatario dei provvedimenti delle autorità semplicemente sulla base del criterio dominicale) e di tutti quei soggetti che, di volta in volta, sono stati chiamati a rispondere per colpe altrui (la giurisprudenza, a mero titolo esemplificativo, si è occupata della posizione del curatore fallimentare; del locatore; dei comproprietari: per una disamina accurata si rimanda agli articoli di questo blog sotto la categoria Bonifiche-Responsabilità).
Alle difficoltà legislative ed interpretative si affianca il cambio di paradigma che sta vivendo il diritto penale, che si caratterizza per il “ripensamento dei modelli di riferimento e da una progressiva presa di distanze dal diritto penale classico modellato sul reato commissivo doloso di evento” (PERINI), e per la sua modernizzazione, frutto della progressiva estensione di campo dei c.d. “reati artificiali”.

Si tratta, in estrema sintesi, di un nuovo “diritto penale del rischio” (a fondamento probabilistico e imperniato sulla violazione del dovere) che ha immediate ripercussioni in relazione all’elemento soggettivo e alla tipologia di responsabilità: sotto quest’ultimo aspetto, in particolare, “la burocratizzazione e la frammentazione del potere decisionale all’interno degli enti giuridici rendono sempre più recessivo il modello di imputazione personale focalizzato sulla persona fisica per privilegiare la responsabilizzazione della persona giuridica. In una prospettiva di accentuata tecnocraticizzazione dell’ente, l’abbandono del principio societas delinquere non potest appare sempre più irrinunciabile, tanto più che il progressivo avvicinamento tra diritto penale e diritto penale amministrativo rende sempre meno dogmaticamente traumatico un tale passo” (PERINI).
D’altro canto, con sempre maggior frequenza l’accertamento di responsabilità penali è significativamente condizionato (e, a volte, determinato in via esclusiva), dalle valutazioni su aspetti tecnici delle vicende, proprio con riferimento al cit. “diritto penale del rischio”, espressivo delle incertezze e della complessità tecnologica della società contemporanea, cui sopra si è fatto cenno. In questo complesso (rectius: complicato) quadro generale, il consulente tecnico-giuridico ambientale assume un ruolo centrale – specie nel caso degli illeciti colposi – affiancando sia l’accusa, sia la difesa nella valutazione tecnica e, soprattutto, nella ricerca corretta e completa degli elementi storici sui quali le stesse valutazioni dovranno trovare rispondenza fattuale, diventando “il protagonista della dialettica di formazione della prova” (PARODI). 
In relazione a questa fase “ex post”, la Cassazione ha precisato che “la nozione di accertamento riguarda non la constatazione o la raccolta di dati materiali pertinenti al reato e alla sua prova, che si esauriscono nei semplici rilievi, ma il loro studio e la relativa elaborazione critica, necessariamente soggettivi e per lo più su base tecnico-scientifica; la distinzione trova testuale conferma normativa in ripetute disposizioni del codice vigente, che menzionano separatamente i termini rilievi e accertamenti” (Cassazione, n. 301/90): la distinzione fra accertamento e rilievo viene così a costituire la linea di demarcazione fra l’attività in senso stretto del consulente e tutta una serie di attività dirette soltanto a cristallizzare e raccogliere elementi in fatto, senza alcuna forma di rielaborazione critica delle medesime.

Quanto alle responsabilità del consulente, in estrema sintesi occorre rilevare che quello dell’accusa è un pubblico ufficiale, e pertanto è soggetto al regime penalistico dei reati propri del pubblico ufficiale, mentre quello della difesa – libero di accettare, o meno, l’incarico – è soggetto al regime di responsabilità contrattuale.

Ma più che della fase ex post, ciò che in questa fase storica merita sottolineare, è il ruolo del consulente nella fase “ex ante”: quella, cioè, che vede il consulente ambientale impegnato nel ruolo altrettanto (se non più) importante di “addetto alla prevenzione” (tecnico-economica-giuridica), attraverso il suo fondamentale apporto in materia di scelte tecnologiche dell’impresa, di valutazioni economiche e strategiche delle aziende e – volendo allargare il campo alla consulenza tecnico-giuridica, oggi più che mai indispensabile – di prevenzione della commissione di reati.

In seguito all’entrata in vigore del DLGS n. 121/11, che ha introdotto i reati ambientali all’interno della disciplina sulla responsabilità delle persone giuridiche, e del conseguente intensificarsi dei doveri gravanti sui soggetti economici (che, come si è più volte sottolineato, sono alquanto complicati), infatti, gli imprenditori “devono” fare ricorso a soggetti iper-specializzati, in grado di affiancarli nell’assolvimento dei nuovi compiti loro imposti: se, infatti, l’adozione di un MOG non è obbligatoria (anche se vivamente consigliabile), la nomina di un consulente tecnico (nella sua accezione più ampia, ivi compresa quella del tecnico-giuridico) sembra essere imprescindibile per l’impresa.

Il giurista ambientale si colloca in questa fase ex ante, ed è uno di questi professionisti di cui (anche) le imprese non potranno fare a meno.