Autorizzazione paesistica in sanatoria

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Sanatoria paesistica postuma: quando è vietata e quando è “auspicabile”

Supponiamo di avere un’azienda agricola familiare, situata in un’area sottoposta a vincolo paesistico-ambientale e assoggettata a vincolo idrogeologico.

Se, volendo incrementare le potenzialità ricettive della struttura, dobbiamo modificare, in parte, il territorio circostante – un bosco, in questo caso – e richiediamo un’autorizzazione paesistica per la trasformazione del bosco e la realizzazione di nuovi chalet ma, incapaci di aspettare le lungaggini burocratiche, decidiamo di realizzare i nuovi manufatti prima del rilascio dell’autorizzazione: cosa succede?

Cosa capita se la forestale se ne accorge?

Penso che stiate immaginando bene: la forestale “fa rapporto” e di qui si arriva all’ordinanza di demolizione.
Ci sono dei rimedi: o meglio, è possibile una sanatoria postuma?
E quali sono – se ci sono – i confini con la normativa sul danno all’ambiente?

Tralascio in questa sede alcune delle massime della sentenza del TAR di Brescia n. 2139 del 2010, che ha analizzato un caso del tipo di quello ipotizzato in premessa, per arrivare al dunque.
Cioè alla regola valevole nel caso concreto, sulla base delle circostanze di fatto che potete approfondire leggendo la sentenza che potete scaricare gratuitamente sul sito di Natura Giuridica, dopo una semplice registrazione.

In generale, l’autorizzazione paesistica deve precedere l’edificazione: non è possibile, quindi, il rilascio successivo alla realizzazione, anche parziale, dei lavori.
Ci sono dei casi in cui, invece, la sanatoria è ammissibile, ma solo quando si tratta di alcune tipologie secondarie di lavori (opere che non abbiano creato o incrementato superfici utili o volumi, o interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, tanto per fare solo un esempio) e richiede l’accertamento della compatibilità paesistica con il pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.

Non era questo il caso oggetto della controversia al vaglio del Giudice amministrativo lombardo.

In ogni caso, occorre stabilire fino a che punto la remissione in pristino per mancata autorizzazione preventiva sia una sanzione inevitabile: in realtà, se si interpreta l’attuale normativa in modo coerente con il principio di proporzionalità, si può ritenere che il divieto di sanatoria sia diretto a impedire all’amministrazione di trasformare ordinariamente, attraverso il giudizio di compatibilità paesistica, il danno ambientale in un equivalente monetario. 

Possibilità, in qualche circostanza, e considerati i tempi, quasi allettante….

Il fatto compiuto, sottolinea il giudice, in sostanza, viene quindi sanzionato con la remissione in pristino in quanto potrebbe indurre l’amministrazione ad accettare un prezzo in cambio di una lesione al vincolo paesistico.

Se non sussiste alcun danno ambientale, o addirittura sia possibile ottenere un guadagno ambientale con l’assunzione da parte del trasgressore di specifiche obbligazioni nell’interesse del vincolo paesistico, non vi sono ragioni per escludere un’autorizzazione paesistica rilasciata in via successiva.

La soluzione opposta sarebbe irragionevolmente gravosa per il privato e inutile (o controproducente) per l’interesse pubblico.

Mi sembra ragionevole.

Voi cosa ne pensate?

***

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