La politica ambientale nel paese del Gattopardo (2)

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Nel post del 12 marzo 2008 ho cominciato a porre le basi per intraprendere un “viaggio” attraverso le politiche ambientali adottate nel nostro paese, delineando i tratti salienti della nozione di sviluppo sostenibile: concetto che, al di là dei proclami generali, finora non sembra aver avuto ripercussioni pratiche rilevanti…

Il Piano Nazionale per lo sviluppo sostenibile, adottato dal CIPE nel 1993 in attuazione dell’Agenda XXI, evidenziava, nelle sue premesse, che “perseguire lo sviluppo sostenibile significa ricercare un miglioramento della qualità della vita pur rimanendo nei limiti della ricettività ambientale.
Sviluppo sostenibile non vuol dire bloccare la crescita economica, anche perché persino in alcune aree del nostro Paese, l'ambiente stesso è vittima della povertà e della spirale di degrado da essa provocata.
Un Piano di azione per lo sviluppo sostenibile non deve solo promuovere la conservazione delle risorse, ma anche sollecitare attività produttive compatibili con gli usi futuri: ne deriva che l'applicazione del concetto di sviluppo sostenibile è, da un lato dinamica, ovvero legata alle conoscenze e all'effettivo stato dell'ambiente e degli ecosistemi; da un altro, consiglia un approccio cautelativo riguardo alle situazioni e alle azioni che possono compromettere gli equilibri ambientali, attivando un processo continuo di correzione degli errori ...".

Sono numerosi i precetti che si possono ricavare da queste premesse, sui quali si può informare il modello di sviluppo a principi di sostenibilità, tutt’altro discorso vale, invece, per le possibili “sfumature” della nozione di sviluppo sostenibile, o per le modalità attraverso le quali cui i concetti ad essa sottesi possono tradursi in piani, strategie d'intervento e…fatti concreti.

Sfumature che derivano dal gran numero di declaratorie, o di specificazioni del concetto che si possono evincere dalla lettura dei documenti che affrontano il tema: per rimanere al livello europeo, è stata sottolineata (A. Muratori, Sviluppo Sostenibile: tra il dire e il fare, sulla rivista Ambiente, n. 10/96, già citato nel precedente post) la scarsa chiarezza delle “idee”: “i principi di globalizzazione e di competitività delle economie sottesi dai parametri di Maastricht sembrano infatti presentare ontologici elementi di contraddittorietà, se non proprio di antiteticità, con quel concetto di sostenibilità, attorno al quale la stessa Comunità europea ha tuttavia costruito il proprio "Programma politico e di azione a favore dell'ambiente e di uno sviluppo sostenibile", che identifica nell'industria manifatturiera, nel settore energetico, nell'agricoltura, nel turismo e nei trasporti, le aree chiave destinatarie degli interventi comunitari volti al ri-ordinamento del modello di sviluppo”.

In Italia, oltre all’abituale ritardo nel dotarsi degli "strumentari" in grado di integrare le politiche ambientali con le regole di mercato, (spesso…) scontiamo i disastrosi effetti dell’approccio secondo il quale le grandi concessionarie di opere pubbliche hanno affrontato il tema della compatibilità ambientale dei propri progetti, “affidata a ponderosi studi effettuati in chiave giustificatoria di una soluzione preconfezionata”, in assenza (o quasi) di una seria comparazione fra le possibili alternative, tale da “consentire una trasparente scelta dell'opzione a minore impatto”.

Sono passati più di dieci anni da quando sono stati scritte queste considerazioni ma, stando alle riflessioni effettuate sul P.I.L. (e sul perverso modello di sviluppo imperante ad esso sotteso), questa sera, nella puntata di Report (alla quale dedicherò numerosi post, nei prossimi giorni, vista l’estrema importanza degli argomenti affrontati), non sembra che siano stati fatti grandi passi in avanti.
Anzi…