Il riTARdo e le sTAR-TAP

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“Una strategia senza tattiche è il cammino più lento verso la vittoria. Le tattiche senza una strategia sono il prima della sconfitta”, diceva Sūnzǐ, stratega cinese del V° secolo a.c.
La seconda parte dell’affermazione ricorda tanto l’attuale situazione politica e giudiziaria nel nostro Paese, nel quale si vaneggia tanto di Startup, di investimenti, di grandi opere, di futuro, e poi di tutto questo vociare non rimane che una frase e qualche gesto.
E tutto ritorna come prima.
Naturalmente è sempre colpa di qualcun altro, e le opere, anche quando sono solo annunciate, devono essere fatte da un’altra parte.
Forse, ma anche no.
Come il TAP (Trans Adriatic Pipeline), definitivamente approvato dal Consiglio di Stato (sentenza n. 1392/2017) ma poi immediatamente sospeso dal TAR del Lazio (decreto 1753/2017), affinché vengano precisate (ancora!) le misure di mitigazione dell’impatto ambientale.
Immediate le urla di giubilo dei NO TAP, che rivendicano (chi anche con scopi politici) la paternità della vittoria, e che promettono battaglia anche a metà aprile, quando ci sarà la “decisione” collegiale.
Sullo sfondo,
  • una politica “che solo fa carriera”, priva di idee, di visione, di coraggio, di slancio; 
  • l’atavica idiosincrasia nostrana per tutto ciò che non garba al particulare
  • una magistratura onnipresente che più che dirimere controversie sembra favorire ulteriormente l’ancestrale attitudine italica a litigare e a dividersi su tutto; 
  • la consapevolezza che basta “ricorrere alla giustizia” per far impantanare tutto (e tutti). 
Non si sa se alla fine si arriverà ad una decisione condivisa, anche se ho i miei dubbi: è più facile che qualche buontempone si inventi una "nuova APP", la sTAR-TAP in grado di farci seguire (ma da tifosi, e non da cittadini), questa vicenda, che più passa il tempo e più sembra trasformarsi nell’ennesima, triste, telenovela di un Paese incapace di decidersi e di decidere. 
Nel mentre passerà inesorabilmente altro tempo, si rafforzerà l’idea di un Paese immobile, e non si faranno più neanche proclami, ma ci limiteremo a TARtagliare parole a vanvera, naturalmente lamentandoci che qui da noi nessuno viene più ad investire. 
Ma state tranquilli, perché in compenso continueremo a sfornare vincitori. 
Di che cosa, non si sa, ma vincitori. 
Perché qui in Italia “hanno tutti ragione”, anche se nessuno si è ancora accorto si sta facendo TARdi.


Bonifica e compravendita di siti potenzialmente contaminati: cosa fare? A chi rivolgersi?

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Oggi vi parlerò di come - anche grazie alla visibilità che questo blog mi ha portato - una società controllata da un colosso della chimica mi ha contattato per una consulenza giuridica in seguito alla lettura, da parte dell'A.D., di un mio articolo dal titolo Strumenti di compravendita per siti (potenzialmente) contaminati (pubblicato sul sito ecoera.it). Nell'articolo affrontavo il delicatissimo tema relativo alla compravendita di terreni potenzialmente contaminati rispondendo, nel modo più semplice e preciso possibile, alle domande che si pone qualsiasi persona si trovi a dover affrontare una questione del genere:

Quali gli aspetti di questa problematica?
Come affrontare le trattative?
Quali aspetti prendere in considerazione?
Come tutelarsi al meglio di fronte alle richieste (spesso e volentieri alle pretese) della controparte?
Quali clausole inserire in un ipotetico preliminare?
Quali indagini svolgere?
A chi, e come, spetta l'eventuale bonifica?

Quando il cliente, qualche giorno dopo, è venuto da me a studio ha appunto espresso tutti i suoi dubbi e mi ha tempestato di domande: domande tutte legittime, che ho ascoltato con grande attenzione.
Successivamente, ho letto una bozza di contratto - redatta dall'avvocato della controparte - che il mio cliente, secondo il diktat della controparte stessa, avrebbe dovuto firmare, pena la vanificazione del “lavoro” fino ad allora svolto, e la perdita dell’affare.
L’affare consisteva nella vendita di un terreno che, secondo il potenziale acquirente, era sicuramente contaminato, “evidenza” che avrebbe comportato….Sì, potete immaginarlo, no, non alla bonifica (se del caso), ma molto più prosaicamente ad uno sconto sul prezzo di vendita. Il documento conteneva peraltro tutta una serie di clausole capestro per il mio cliente….e – incredibile a dirsi! – clausole discutibili anche per la stessa società che le aveva ideate. Il documento era in realtà un’accozzaglia di copia-incolla presi da diversi contratti standard.

Tuttavia, nel caso della compravendita di un sito potenzialmente inquinato, tutte le questioni ambientali devono essere affrontate in modo completamente diverso: non vi è nulla di standard, ma il contratto va ideato in base alle peculiarità del caso: ecco perché esiste il consulente giuridico ambientale, il professionista a cui è necessario rivolgersi in questi casi.
Non è stato facile spiegare al mio cliente – durante diversi sopralluoghi e numerose riunioni – la reale situazione, far capire i pericoli insiti dietro la condotta di controparte, imbastire una strategia di gestione del rischio ambientale, indicare una strada da seguire che, al contempo, tutelasse gli interessi del mio cliente, invogliasse la controparte ad accettare le nostre proposte, volte oltre che a far concludere l'affare, alla tutela dell’ambiente, per il tramite del rispetto della legge.

Nel giro di tre mesi sono riuscito a mettere d’accordo le parti a condizioni favorevoli per tutti (per l'Ambiente,  il mio cliente e la controparte). Quello che qui mi preme sottolineare è che, in questa come in altre situazioni – di cui parleremo prossimamente – è importante non agire precipitosamente e, al tempo stesso, è fondamentale non arrivare tardi.

La gestione del rischio ha, essenzialmente, bisogno di questo giusto mix: o meglio, di un giusto mix, che dipende – e con questo si chiude il cerchio – dal contesto, dall’analisi di quelle situazioni che fanno la differenza, e che il consulente ha il dovere di verificare sul campo. Questo discorso vale per tutti: anche le grandi aziende multinazionali – a maggior ragione – devono stare bene attente e capire l’importanza di gestire il rischio che ogni cambiamento può portare. Il mio cliente l’ha capito.


Il TIP TAP e la tarantella

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Al di là dell’“analisi logica” che si potrebbe fare della sentenza del Consiglio di Stato sul TAP (il gasdotto Trans Adriatic Pipeline), che ha dato il via libera alla realizzazione dell’opera, e dei mea culpa che gli appellanti dovrebbero fare, con riferimento alle modalità con cui le loro ragioni sono state fatte valere (questioni che il Consiglio di Stato ha avuto buon gioco a liquidare con un “sono intempestive e violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione”), vale la pena soffermarsi su quanto i giudici di Palazzo Spada hanno dichiarato a più riprese.
La valutazione di impatto ambientale (la VIA), secondo il Consiglio di Stato, non è un mero atto (tecnico) di gestione e/o di amministrazione, ma un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo, sia pure con particolare riferimento al corretto uso del territorio, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico — sociale) e privati”.
Ebbene, dopo aver detto per inciso che questa sua affermazione “ingenera perplessità nel richiamo alla funzione di indirizzo politico-amministrativa”, il Consiglio di Stato ha tuttavia perseverato, affermando candidamente che “il giudizio di compatibilità ambientale, pur reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione pienamente esposti al sindacato del giudice, è attraversato da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell'apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all'interesse dell'esecuzione dell'opera”.
Apprezzamento, badate bene, che “è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, e risulti perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all'Amministrazione”.
Come a dire: basta che l’Amministrazione non faccia errori madornali, e il gioco è fatto. E il giudice non può che fare il “Pilato” della situazione, decidendo di non decidere. E con questo, però, dare IL via….
Probabilmente, se nella stanza dei bottoni ci fosse stato qualcun altro, forse i “profili particolarmente intesi di discrezionalità” avrebbero virato da un’altra parte.
Ed è proprio questo continuo balletto a non andare bene, specie quando si va a ballare il (tip)-TAP nella patria della tarantella…
Fuor di metafora: decidere sulla base di scelte politiche, senza una visione, e non essere in grado di leggere il testo nel contesto, addivenendo a soluzioni praticabili, non fa che allontanarci dal “bene comune” (nel senso etimologico, e non politico, del temine), quello che tiene, deve tener conto di tutti gli interessi in gioco. E guardare al futuro.
Avanti di questo passo una sintesi, e dunque una soluzione, non verrà mai trovata, e il legislatore tarantolato (quello che continua a produrre infinite normative, uguali e contraddittorie nello stesso tempo) potrà proseguire a dichiarare la propria buona fede e a proclamare cambiamenti, ma continuerà a produrre uno dei pochi made in Italy che ci rimangono: un frenetico immobilismo.



La rincorsa

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Donald Trump ne ha fatta un’altra delle sue: con lo scopo di "mettere fine alla guerra al carbone", ha firmato il decreto che manda in soffitta una delle principali norme ambientali dell’era Obama, il Clean Air Act.
Lo slogan utilizzato (“Minatori di nuovo al lavoro”) ha indubbiamente il suo “fascino”, fra il popolo che si è sentito, non senza alcune ragioni, tradito dal così detto “establishment”, reo ai suoi occhi di non aver posto fine alla crisi, ma anzi di averla acuita.
Al di là dell’apparenza, e anche volendo soprassedere sui discorsi – che pure andrebbero affrontati – sugli interessi delle grandi corporation, ciò che colpisce di più è la gioia rabbiosa con la quale il popolo (addomesticato a sua insaputa, anche se è convinto del contrario)  accoglie questa decisione, pensando "finalmente qualcuno che sta dalla parte del popolo, che ci ridà il lavoro e la dignità che ci hanno tolto".
Anche se resta da capire chi sia l'artefice di questo imbroglio...
Contrapporre il diritto al lavoro e l’ambiente (e la salute), continua ad essere uno degli errori di prospettiva più eclatanti (se fatto in buona fede), e uno degli inganni più maligni (se invece perpetrato in male fede).
E credere ciecamente che tornare indietro sia la soluzione per andare avanti e sconfiggere la crisi non è neanche più utopia: è semplice disperazione rassegnata.
Riproporre il carbone significa tornare indietro soltanto per tirare avanti, ed è una morte un po’ peggiore.
La morale è sempre quella: con atti destrutturanti e “contro natura” come questo la crisi non sarà certo sconfitta, e sarà sempre il più debole (“carne da cannone”) a rimetterci, specie se gli si vuole pure togliere la tutela sanitaria, come lo stesso Trump ha cercato di fare, per ora, e per fortuna, senza successo. Bocciato “dai suoi”, ma forse solo per motivi più politici che etici.
Certo, far passare il messaggio contrario (occorre trovare una sintesi fra interessi “divergenti”, attraverso l’innovazione e con lo sguardo proiettato al futuro, e non ad un passato benevolo solo agli occhi miopi dei rabbiosi impauriti) non è un lavoro facile né breve, ma è imprescindibile, e compito del Politico dovrebbe proprio essere quello di trovare una sintesi fra posizioni inconciliabili solo in apparenza.
Con coraggio, e senza le incertezze e le ambiguità che hanno contraddistinto l’establishment (qualunque cosa questo termine significhi, o indichi).
E una cosa è chiara: non bisogna mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa.