Albo Nazionale Gestori Ambientali: il nuovo ruolo del responsabile tecnico

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Sul n. 12/2014 della rivista "Ambiente & Sviluppo", edita da IPSOA, è stato pubblicato un articolo che approfondisce il nuovo regolamento ANGA (Albo Nazionale Gestori Ambientali), di cui al DM n. 120/2014.

Natura Giuridica offre ai suoi lettori un estratto, che approfondisce il ruolo che dovrà avere il nuovo responsabile tecnico

Introduzione

Il 7 settembre 2014 è entrato in vigore il regolamento che ha definito le attribuzioni e le modalità di organizzazione dell’ANGA, l’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, i requisiti tecnici e finanziari delle imprese e dei responsabili tecnici, i termini e le modalità di iscrizione e i relativi diritti annuali. La nuova disciplina ha il duplice obiettivo di:
  • semplificare la “gestione amministrativa” dell’albo, attraverso la previsione di procedure più snelle per le iscrizioni, le variazioni e i rinnovi delle iscrizioni;
  • prevedere requisiti più stringenti per le imprese che decidono di iscriversi all’albo e, dunque, una maggiore qualificazione delle imprese e delle figure professionali come il responsabile tecnico (RT).

Il funzionamento dell’ANGA

La struttura e le attribuzioni dell’ANGA rimangono sostanzialmente invariate. Tuttavia, il nuovo regolamento:
  • specifica la composizione del Comitato Nazionale (il cui numero sale da 15 a 19 membri)
  • prevede esplicitamente la nomina di un supplente per ogni componente effettivo;
  • rinvia ad un futuro decreto del MATTM l’istituzione di sezioni speciali del Comitato Nazionale, per ogni singola attività soggetta ad iscrizione all’albo, e la relativa fissazione di composizione e competenze;
  • precisa che le funzioni di segreteria delle sezioni regionali e provinciali saranno esercitate da un dipendente camerale;
  • integra le attribuzioni del Comitato nazionale e delle sezioni regionali e provinciali.
[...]

Attività di gestione dei rifiuti per le quali è richiesta l’iscrizione all’Albo
[...]

Responsabile tecnico! Chi era costui?”

La figura del responsabile tecnico è stata, nella prassi, finora troppo sottovalutata e, di fatto, sovente utilizzata come semplice strumento per potersi iscrivere all’Albo.

La figura del “Responsabile Tecnico” compare per la prima volta nel DM n. 324/91, che si limitava a richiedere, fra la documentazione da allegare alla domanda di scrizione all’albo, la dichiarazione di accettazione dell’incarico, con firma autenticata, da parte del responsabile tecnico (che obbligatoriamente doveva essere nominato dalle imprese che intendevano iscriversi all’albo), senza tuttavia alcun chiarimento sulle funzioni e sulle responsabilità che la nuova figura doveva svolgere.

Il successivo DM n. 406/98, nel ribadire i concetti espressi dal precedente decreto, ha aggiunto soltanto i requisiti di idoneità tecnica che il responsabile tecnico doveva possedere, ma la prima, sia pur timida e generica, specificazione reale dei compiti è stata effettuata soltanto nell’aprile del 1999 allorquando, nel fornire alcuni “chiarimenti operativi richiesti dalle sezioni regionali a seguito dell’entrata in vigore del D.M. n. 406/1998”, il Comitato Nazionale, nell’affermare che “la documentazione relativa ai requisiti del responsabile tecnico dovrà essere integrata secondo le disposizioni di cui alla Deliberazione del Comitato nazionale prot. n.003/CN/ALBO del 17 dicembre 1998”, ha precisato di aver individuato “le seguenti funzioni e responsabilità del Responsabile Tecnico: il Responsabile Tecnico è responsabile delle scelte di natura tecnica, progettuale e gestionale che garantiscono il rispetto delle norme di tutela ambientale e sanitaria, con particolare riferimento alla qualità del prodotto e della prestazione realizzata e del mantenimento dell'idoneità dei beni strumentali utilizzati”.

Bisogna aspettare ancora qualche mese, e nel luglio del 1999 il Comitato Nazionale finalmente adotta una deliberazione con la quale detta i criteri e le modalità di svolgimento dei corsi di formazione per responsabili tecnici.
La delibera n. 3/99, infatti, detta i contenuti minimi dei corsi di formazione per aspiranti responsabili tecnici e i requisiti necessari per poter ricoprire tale ruolo per ciascuna categoria e classe nella quale l’impresa intende iscriversi.

Poco più di un anno dopo lo stesso Comitato Nazionale, nel definire i contenuti dell’attestazione dell’idoneità dei mezzi di trasporto di rifiuti, ha specificato che rientrano nelle attribuzioni del responsabile tecnico “il controllo e la verifica della permanenza delle caratteristiche del mezzo di trasporto risultanti dalla perizia nonché il rispetto delle modalità e delle condizioni di trasporto precisate nella perizia medesima in relazione alle diverse tipologie di rifiuti” e la “comunicazione al legale rappresentate dell’impresa e alla sezione regionale dell’albo dell’eventuale inidoneità dei veicoli”.

Nonostante le successive forme di specificazione dei compiti del responsabile tecnico, tuttavia, spesso nella realtà accedeva che, nei casi in cui il legale rappresentante/titolare di un’impresa non avesse posseduto i requisiti per autonominarsi responsabile tecnico, tale carica veniva attribuita soltanto sulla carta ad un soggetto, interno o esterno all’organizzazione aziendale, che veniva bypassato ad iscrizione ottenuta. Con buona pace della corretta gestione del rischio ambientale.

Responsabile tecnico: chi sarà e cosa dovrà fare

L’art. 10, comma 2, lett. h) del nuovo regolamento ANGA stabilisce che fra i requisiti che i soggetti che intendono iscriversi all’albo devono avere rientra quello relativo al possesso dei requisiti di idoneità tecnica, che consistono (art. 11, comma 1):
  • nella disponibilità dell’attrezzatura tecnica necessaria, risultante, in particolare, dai mezzi d’opera, dagli attrezzi, dai materiali di cui l’impresa o l’ente dispone;
  • in un’adeguata dotazione di personale;
  • nell’eventuale esecuzione di opere o nello svolgimento di servizi nel settore per il quale è richiesta l’iscrizione o in ambiti affini;
  • nella qualificazione professionale dei responsabili tecnici.
A questi ultimi, a differenza di quanto avvenuto finora, il nuovo DM dedica addirittura due articoli.
Il primo (art. 12) specifica i compiti, le responsabilità e i requisiti del responsabile tecnico, che dovrà:
  • porre in essere azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti da parte dell’impresa nel rispetto della normativa vigente;
  • vigilare sulla corretta applicazione della stessa;
  • svolgere la sua attività in maniera effettiva e continuativa.
Il Comitato nazionale potrà anche “disciplinare più nel dettaglio” tali compiti e responsabilità del responsabile tecnico, che in ogni caso dovrà avere idonei titoli di studio, aver maturato esperienza in settori di attività per i quali è richiesta l’iscrizione e ottenere l’idoneità, di cui al successivo articolo.
Il secondo (art. 13) riguarda, appunto, la formazione del responsabile tecnico, e prevede la modifica del percorso necessario per poter diventare responsabile tecnico: i corsi di formazione sono stati sostituiti dall’esame di idoneità che, nel caso in cui il Responsabile Tecnico non sia anche legale rappresentante dell’impresa, è soggetto a verifiche periodiche (almeno quinquennali) per garantire il necessario aggiornamento e, di conseguenza, il mantenimento dell’idoneità.
Il livello di preparazione e di conoscenza del Responsabile Tecnico va di pari passo con le modifiche normative, e le Sezioni regionali sono chiamate a verificarlo secondo le disposizioni che saranno deliberate dal Comitato Nazionale, il quale dovrà anche emanare le disposizioni per la gestione del transitorietà in attesa del passaggio dalle vecchie alle nuove procedure.

Le procedure semplificate e le “correzioni” [...]


Sintomi di possibile miglioramento

A differenza di quanto accaduto con altre sbrigative riforme, il nuovo regolamento sembra (essere in grado di) promettere qualche risultato positivo.
Ma oltre alle maggiori possibilità di ricorrere alle procedure semplificate, alla possibilità per le imprese di trasmettere online le istanze di iscrizione e modifica attraverso l’utilizzo del portale telematico, alle specificazioni concernenti le attribuzioni e il funzionamento degli organi dell’albo e al favor con il quale viene gestita la sospensione dell’efficacia dell’iscrizione all’albo, la novità di maggior rilievo, e potenzialmente in grado di consentire una svolta sostenibile, è quella che riguarda la nuova figura del responsabile tecnico.
Il Dm n. 120/14, infatti, sembra riuscire nell’impresa – sostanzialmente fallita con i precedenti tentativi – di far diventare (per il futuro) il responsabile tecnico una della figure più rilevanti, se non la figura centrale dell’impresa che si occupa di gestire i rifiuti.
Ne costituisce un esempio il fatto che da ora gli verranno affidati compiti e funzioni in precedenza in capo ad altri soggetti, che gli viene richiesta una conoscenza approfondita di tutte le norme collegate alla gestione dei rifiuti, che – salvo il caso in cui tale figura coincida con il legale rappresentante – dovrà periodicamente dimostrare la propria competenza e il proprio aggiornamento, tecnico e normativo.

In sostanza, il responsabile tecnico dovrà contribuire, attraverso la propria attività “effettiva e continuativa”, ad aiutare le imprese che si occupano della gestione dei rifiuti ad effettuare un corretto ed efficace waste management, diventando un elemento di qualificazione delle imprese.
Certo, come (quasi) sempre accade alle nostre latitudini, si tratta di una riforma che contiene “margini di incertezza operativa”, legati al fatto che alcuni principî e moniti contenuti nel DM n. 120/14 dovranno essere tradotti in fatti e criteri da futuri decreti ministeriali e/o deliberazioni da parte del Comitato nazionale, e nelle pieghe delle modalità con le quali avverrà – e quando avverrà – questa traduzione operativa si nascondono, si possono nascondere possibili diluizioni di efficacia dei principî contenuti nel nuovo regolamento.
La pregnanza della nuova idoneità, ad esempio, sarà direttamente proporzionale a quanto il Comitato nazionale deciderà di definire a livello di “materie, contenuti, criteri e modalità di svolgimento delle verifiche” iniziale e periodiche della preparazione dei soggetti che aspirano a diventare (e rimanere) responsabili tecnici; così come l’azione del nuovo responsabile tecnico potrà essere più o meno incisiva a seconda che lo stesso Comitato decida di “disciplinare nel dettaglio i compiti e le responsabilità del responsabile tecnico”, ai sensi dell’art. 12, comma 3.

In ogni caso, ad oggi non si conoscono ancora “l’esatta determinazione e il concorso dei requisiti” che deve possedere il responsabile tecnico, che saranno “regolamentati Comitato nazionale, in relazione alle categorie e classi d’iscrizione, secondo criteri atti a garantire elevati livelli di efficienza e tutela ambientale”, né i “criteri e i limiti per l’assunzione degli incarichi” da parte dello stesso responsabile tecnico, che dovranno, anch’essi, essere stabiliti in futuro dal Comitato nazionale, che ai sensi dell’art. 11, comma 4, dovrà stabilire anche “i criteri specifici, le modalità e i termini per la dimostrazione dell’idoneità tecnica e della capacità finanziaria”.

Se a questi aspetti, positivi nelle intenzioni ma ancora in divenire, si aggiunge che sono molte le norme che aspettano di essere “operativizzate”, ci si accorge che, per poter dare un giudizio se non definitivo quantomeno più ponderato su quelli che saranno – ehm, potrebbero essere – i benefici di un regolamento che sembra partire con il piede giusto, occorre aspettare di vedere quale sarà la qualità della traduzione operativa, di cui sopra, e testare, sul campo l’efficacia dell’azione che medio tempore potrebbero decidere di intraprendere concretamente i “vecchi” responsabili tecnici, ai quali l’art. 13, comma 4, del nuovo DM consente, in ogni caso fino ad un periodo massimo di cinque anni, di “svolgere la propria attività in regime transitorio”.
Sperando di non doverlo fare per altri vent’anni.


La normativa ai tempi di twitter: la politica degli annunci

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Le altre riforme 

Il 2014 ha visto la nascita di altre riforme, “di serie b”, verrebbe da dire, non avendo ottenuto il rango di riforme “hashtagbili”, ma altrettanto impattanti, e foriere di numerose critiche, al di là di alcuni aspetti positivi introdotti. 

Oltre a quelle sul “nuovo MUD”, alla riforma dell’Albo Nazionale dei gestori ambientali, alle varie norme ambientali contenute nella “legge europea bis” e a quelle in fieri contenute nel collegato ambientale alla legge di stabilità, il 2014 ha visto l’emanazione di tre decreti legislativi, in attuazione di altrettante direttive comunitarie, recepite “con qualche ritardo” dal nostro Paese. 

Così il “decreto emissioni industriali”, che pur avendo introdotto aspetti indubbiamente positivi (su tutti, l’eliminazione delle disposizioni illogiche che hanno anche portato la prassi a disapplicarle; l’eliminazione dell’art. 20 del D.Lgs n. 133/05 sul danno ambientale, specifico per la disciplina sull’incenerimento dei rifiuti; più in generale lo spirito semplificatorio che sembra permeare il decreto, anche attraverso l’inserimento del riesame con valenza di rinnovo; il riferimento alle BAT; l’inserimento della caratterizzazione del suolo e delle acque sotterranee pre-insediamento), solleva alcune perplessità relative alla presunta novità della “de-materializzazione” delle procedure e al regime temporale.

Così anche il D.Lgs n. 49/2014 sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, che pur avendo introdotto novità apprezzabili (estensione della normativa RAEE ai pannelli fotovoltaici; possibilità di riconsegna in ragione di uno contro zero dei RAEE di piccolissime dimensioni) presenta alcuni elementi critici, relativi all’eccessiva burocratizzazione degli scadenziari riferiti agli obiettivi di raccolta e di recupero, ai criteri di individuazione delle categorie di RAEE sui quali costruire le prescritte rendicontazioni, all’elusione del nodo della non chiara identificazione del momento in cui un’apparecchiatura elettrica o elettronica, magari ancora funzionante, oggetto di riconsegna nel punto vendita, diventa un RAEE, cioè un rifiuto. 

Qualche miglioramento si è intravisto anche nel D.Lgs n. 102/2014, che ha recepito la direttiva sull’efficienza energetica (eliminazione della disposizione che equiparava l’APE, realizzata conformemente alla metodologia per la determinazione della prestazione energetica degli edifici, alla diagnosi energetica nel settore civile; introduzione di una cabina di regia che dovrà assicurare anche il coordinamento delle politiche e degli interventi attivati attraverso il Fondo nazionale per l’efficienza energetica, i cui decreti i attuativi, come s’è visto, non sono ancora stati emanati). 
Ma anche in questo caso sono più numerose le ombre, a partire proprio dalla “cabina di regia”, che rappresenta una modifica più nominale che sostanziale, dal momento che, ai sensi dell’art. 4, comma 4, il suo funzionamento sarà stabilito con un futuro decreto del MATTM, “tenuto conto di quanto previsto ai commi 1 e 2”.
In sostanza, il legislatore delegato introduce, come novità, un (altro) rinvio che, unitamente a tutti quelli che si sono accumulati nel corso degli anni, si innesta in quella politica degli annunci tanto scenografica nella forma quanto evanescente nei fatti, e (ma) soprattutto destrutturata e, a dispetto dei tempi biblici che impiega per essere messa nero su bianco, spesso improvvisata.

La politica degli annunci 

Dalla sintetica narrazione di quanto contenuto nella normativa partorita dal nostro legislatore nel corso del 2014 emerge che le novità annunciate, in fieri e/o rimandate, le conosciamo già, sia per quanto riguarda la forma (ci sono molti, troppi rinvii a norme e decreti attuativi che tardano ad essere emanati), sia nella sostanza (manca una strategia), anche se indubbiamente qualcosa è cambiato a livello comunicativo. 
Adesso è tutto strategico, oltre che twittabile e, per questo motivo, popolare: il legislatore non si limita ad enumerare le abituali semplificazioni, accelerazione (dei tempi), urgenze, straordinaria necessità, eccezionale situazione, pubblica utilità ed urgenza. 
Adesso, appunto, è tutto #strategico – come se questa parola avesse un potere taumaturgico – e online – come se questo da solo fosse garanzia di qualità. 
In realtà continua ad esser tutto frenetico ed emergenziale (vale a dire l’esatto opposto di strategico), e di nuovo c’è, come s’è fatto cenno, lo stile comunicativo. Che però sembra fine a se stesso. 

Per dire: poche settimane fa, il 9 ottobre 2014, il Governo ha lanciato una prima campagna di comunicazione, chiamata #Italiasicura, “che punta al coinvolgimento dei cittadini nella conoscenza del rischio nei territori in cui vivono e un sito dedicato (italiasicura.governo.it) con informazioni su cantieri, opere, iniziative per la difesa dell’ambiente e la riqualificazione delle scuole”, e che punta tutto sul claim “se l’Italia si cura, l’Italia è più sicura”. 
Bello, non c’è che dire: ma se ci si prende la briga di andare a visitare il sito, ci si accorge che la scenografica homepage del sito di #Italiasicura è intrisa di belle parole, di informazioni teoriche di quello che si ha intenzione di fare, ma nono di fatti. Ma soprattutto contiene una corposa galleria di....selfie dai cantieri. 
Quelli sì, come i tweet e gli annunci, sicuri (nel senso di immancabili).

(articolo pubblicato sulla rivista "Ambiente e sicurezza sul lavoro", EPC editore, n. 11/2014)


La normativa ambientale ai tempi di twitter. lo #SbloccaItalia

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Lo #sblocca Italia: le novità che sapevamo già

Lo Sblocca Italia interviene nuovamente a modificare la disciplina sulle terre e rocce da scavo, “introducendo” una disciplina:

  • semplificata del deposito preliminare alla raccolta e della cessazione della qualifica di rifiuto delle terre e rocce da scavo che non soddisfano i requisiti per la qualifica di sottoprodotto;
  • della gestione delle terre e rocce da scavo con presenza di materiali di riporto e delle procedure di bonifica di aree con presenza di materiali di riporto. 
Si tratta di un testo che nei pochi giorni intercorsi dall’approvazione in sede di Consiglio di ministri ha subito rilevanti modifiche.
A distanza di pochi giorni, il testo del decreto pubblicato in gazzetta ufficiale, “ai fini di rendere più agevole la realizzazione degli interventi che comportano la gestione delle terre e rocce da scavo”, si limita a rinviare a fine anno (entro il 12 dicembre) l’adozione di disposizioni di riordino e di semplificazione della materia secondo i seguenti principî e criteri direttivi:
a. coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni vigenti;
b. indicazione esplicita delle norme abrogate;
c. proporzionalità della disciplina all’entità degli interventi da realizzare;
d. divieto di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli minimi previsti dall’ordinamento europeo.

Il DL introduce nuove semplificazioni in materia di bonifica, apportando alcune modifiche al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. In particolare, il decreto legge prevede che:

  • nel caso in cui le stazioni appaltanti si avvalgano della facoltà di limitare il numero di candidati da invitare, le stesse debbano richiedere ai soggetti invitati di presentare apposita documentazione attestante i requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa anche nei casi di bonifica e/o messa in sicurezza di siti contaminati;
  • la norma, in base alla quale il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto, non si applica al requisito dell’iscrizione all’ANGA;
  • nei contratti pubblici relativi a lavori, forniture, servizi, la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara è consentita anche, “nella misura strettamente necessaria, nei casi urgenti di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati”;
  • nelle procedure ristrette, e in quelle negoziate con pubblicazione di un bando di gara, per le stazioni appaltanti, è possibile stabilire termini diversi per la ricezione delle domande di partecipazione anche nei casi di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati;
  • le varianti in corso d’opera possono essere ammesse, sentito il progettista e il direttore dei lavori, anche nei casi di bonifica e/o messa in sicurezza di siti contaminati;
  • non sono considerate varianti gli interventi disposti dal direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio che siano contenuti entro un importo non superiore al 20 per cento per i lavori di bonifica e/o messa in sicurezza di siti contaminati;
  • il contratto d’appalto che prevede l’affidamento sulla base di un progetto preliminare o definitivo può comprendere altre attività in relazione ai lavori concernenti beni mobili e superfici decorate di beni architettonici e scavi archeologici sottoposti alle disposizioni di tutela di beni culturali, nonché nei casi di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati.
Inoltre, lo “sblocca Italia” stabilisce che nei siti inquinati, nei quali sono in corso o non sono ancora avviate attività di messa in sicurezza e di bonifica, possono essere realizzati interventi e opere:

  • richiesti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro;
  • di manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti e infrastrutture;
  • lineari necessarie per l’esercizio di impianti e forniture di servizi;
  • lineari di pubblico interesse. 
Tali opere possono essere realizzate purché ciò avvenga secondo modalità e tecniche che non pregiudicano né interferiscono con il completamento e l’esecuzione della bonifica, né determinano rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell’area. 

In relazione alla bonifica ambientale e alla rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale – finalizzate al risanamento ambientale e alla riconversione delle aree dismesse e dei beni immobili pubblici, al superamento del degrado urbanistico ed edilizio, alla dotazione dei servizi personali e reali e dei servizi a rete, alla garanzia della sicurezza urbana – il Governo è intervenuto a stabilire la competenza dello Stato (al quale sono attribuite le funzioni amministrative, per assicurarne l’esercizio unitario, garantendo comunque la partecipazione degli enti territoriali interessati alle determinazioni in materia di governo del territorio, funzionali al perseguimento degli obiettivi) e quella del consiglio dei ministri, che dovrà individuare le aree de quibus, per ognuna delle quali sarà predisposto un programma di risanamento ambientale e un documento di indirizzo strategico per la rigenerazione urbana. 

All’insegna dell’urgenza anche le misure volte all’individuazione e alla realizzazione di impianti di recupero di energia dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture energetiche di preminente interesse nazionale, che prevedono:
  1. innanzitutto l’annuncio che, entro novanta giorni dall’entrata in vigore del DL, il MATTM dovrà individuare, con proprio decreto, gli impianti di recupero di energia e di smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, esistenti o da realizzare, per attuare un sistema integrato e moderno di gestione di tali rifiuti atto a conseguire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza e superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore; 
  2. che la verifica della sussistenza dei requisiti per la qualifica di impianti di recupero energetico R1 per gli impianti esistenti dovrà avvenire, da parte delle Autorità competenti, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del DL, termine entro il quale, inoltre, le stesse Autorità dovranno revisionare “in tal senso […] quando ne ricorrono le condizioni, le autorizzazioni integrate ambientali”;
  3. l’autorizzazione obbligatoria “a saturazione del carico termico” per tutti gli impianti, esistenti o ancora da realizzare; 
  4. la priorità di trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale e, a saturazione del carico termico, il trattamento dei rifiuti speciali anche pericolosi a solo rischio sanitario, adeguando coerentemente le autorizzazioni integrate ambientali;
  5. il dimezzamento dei termini previsti per l’espletamento delle procedure di espropriazione per pubblica utilità, di VIA e di AIA per tali tipologie di impianti.
E ancora misure urgenti per favorire degli interventi di sviluppo delle regioni per la ricerca di idrocarburi, per l’approvvigionamento e il trasporto del gas naturale, per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali, per la revisione degli incentivi per i veicoli a basse emissioni complessive.

(continua con: "La normativa ai tempi di twitter: la politica degli annunci")

(articolo pubblicato sulla rivista "Ambiente e sicurezza sul lavoro", EPC editore, n. 11/2014)


La normativa ambientale ai tempi di twitter: l’assenza delle istruzioni operative

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In ogni caso, vale la pena sottolineare – in relazione a quanto alla rimodulazione degli incentivi – che fino a pochi giorni fa non erano ancora stati emanati i decreti attuativi che dovevano disciplinare, entro il 1° ottobre 2014, le percentuali di rimodulazione dell’incentivo per gli impianti di potenza nominale > 200 kW: una situazione in base alla quale – evidenziava il presidente di Assorinnovabili – chi, dopo i l 1° ottobre 2014, “ ha un impianto fotovoltaico di potenza superiore a 200 kW in Italia non solo si è visto decurtare l’incentivo retroattivamente, ma si trova pure nella condizione di non poter scegliere la modalità con cui gli sarà ridotta la tariffa, perché la disciplina attuativa di una delle tre opzioni non esiste ancora ”. 

Quello del ritardo nell’emanazione dei decreti attuativi è un fenomeno diffuso: per rimanere nel settore energetico, entro il entro il 17 ottobre 2014 avrebbero dovuto essere emanati i provvedimenti attuativi del Fondo nazionale per l’efficienza energetica, ovvero le istruzioni operative per implementare il Fondo e conseguire gli obiettivi che lo stesso persegue, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, che dovrebbero individuare:

  • le priorità, i criteri, le condizioni e le modalità di funzionamento, di gestione e di intervento del Fondo;
  • le modalità di articolazione per sezioni, di cui una dedicata in modo specifico al sostegno del teleriscaldamento, e le relative prime dotazioni. 
Nel quadro dei progetti e programmi ammissibili all’intervento del Fondo, e tenendo conto del miglior rapporto tra costo e risparmio energetico, dovranno inoltre essere individuati termini e condizioni di maggior favore per interventi che presentino specifica valenza prestazionale e siano volti a:

  1. creare nuova occupazione;
  2. migliorare l’efficienza energetica dell’intero edificio;
  3. promuovere nuovi edifici a energia quasi zero;
  4. introdurre misure di protezione antisismica in aggiunta alla riqualificazione energetica;
  5. realizzare reti per il teleriscaldamento e per il teleraffrescamento in ambito agricolo o comunque connesse alla generazione distribuita a biomassa. 
*°*

Altri decreti attuativi che mancano all’appello (per i quali sono scaduti i termini) Senza data (ma urgenti!): in relazione all’efficienza energetica negli edifici mancano i decreti attuativi che dovranno indicare le nuove metodologie e le nuove modalità di calcolo della prestazione energetica

Entro il:

  • dicembre 2012 (decreto di definizione dei nuovi coefficienti da applicarsi per le accise carburanti per gli impianti cogenerativi);
  • luglio 2013 (nuove linee guida per la preparazione, esecuzione, valutazione dei progetti, e per la definizione dei criteri e modalità per il rilascio dei certificati bianchi);
  • 09.07.2014 (definizione delle modalità operative con cui – dal secondo semestre 2014 – le tariffe incentivanti del Conto energia dovranno essere erogate con rate mensili costanti, in misura pari al 90% della producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell’anno solare di produzione, con successivo conguaglio entro il 30 giugno dell’anno successivo);
  • 18.08.2014 (modalità di esecuzione del programma di interventi di riqualificazione energetica su almeno il 3% della superficie coperta climatizzata degli immobili appartenenti alle PP.AA. centrali – o, in alternativa interventi che comportino annualmente un risparmio equivalente a quello ottenibile con la riqualificazione delle superfici);
  • 15.09.2014 (indicazione della quota minima di biocarburanti da immettere nei trasporti, compresa la sua ripartizione in quote tra diverse tipologie di biocarburanti, per gli anni successivi al 2015);
  • 17.09.2014 (integrazione del contratto tipo per il miglioramento del rendimento energetico dell’edificio con gli elementi minimi indicato dal D.Lgs n. 102/2014);
  • 01.10.2014: a) approvazione del modello unico di Comunicazione al Comune da utilizzare per l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da FER e di microcogenerazione; b) indicazione delle percentuali di riduzione dell’incentivo in Conto energia per chi sceglie di aderire all’opzione rimodulazione a doppio periodo.
(continua)

(articolo pubblicato sulla rivista "Ambiente e sicurezza sul lavoro", EPC editore, n. 11/2014)


La normativa ambientale ai tempi di twitter: lo spalmaincentivi

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Lo scopo dichiarato della normativa prevista per la rimodulazione degli incentivi per il fotovoltaico (#spalmaincentivi), introdotta in un maxiemendamento ad inizio agosto, è quello di “ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi, e favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili”. 

In estrema sintesi, il maxiemendamento ha ri-disciplinato il meccanismo nei seguenti termini: 

  1. dal 1° luglio 2014 il GSE eroga le tariffe incentivanti con rate mensili costanti nella misura del 90% della producibilità media annua stimata di ciascun impianto nell’anno solare di produzione. Il conguaglio è effettuato entro il 30.06 dell’anno successivo;
  2. impianti di potenza nominale > 200 kW: dal 1° gennaio 2015 la tariffa è rimodulata sulla base di una scelta effettuata dall’operatore, fra le tre alternative indicate in tabella;
  3. tariffe omnicomprensive di cui al IV conto energia: le riduzioni si applicano alla sola componente incentivante;
  4. il beneficiario della tariffa incentivante, di cui ai precedenti punti 2 e 3, può accedere a finanziamenti bancari per un importo massimo pari alla differenza fra l’incentivo già spettante al 31.12.2014 e quello rimodulato. I finanziamenti possono beneficiare, cumulativamente o alternativamente, sulla base di apposite convenzioni con il sistema bancario, di provvista dedicata o di garanzia, concessa dalla CDP;
  5. le regioni e gli EE.LL. adeguano, ciascuno per la parte di competenza, e ove necessario, alla durata dell’incentivo rimodulata la validità temporale dei permessi rilasciati per la costruzione e l’esercizio degli impianti;
  6. acquirente selezionato: i beneficiari degli incentivi pluriennali per la produzione di energia elettrica da FER possono cedere una quota degli incentivi (non > all’80%) ad un acquirente selezionato, che subentra nei diritti a percepire gli incentivi rimodulati. In ogni caso, l’AEEG può esercitare annualmente l’opzione di acquisire tali diritti, a fronte della corresponsione di un importo pari alla rata annuale costante, calcolata sulla base di un tasso di interesse determinato. 
In relazione allo #spalmaincentivi sono stati sollevati molti dubbi di costituzionalità, che possono esse sintetizzati come segue:
  1. la seconda opzione, indicata in tabella, non sembra raggiungere l’intento perseguito dal legislatore di creare una situazione di equilibrio fra riduzione, da effettuarsi immediatamente, e maggiorazione, da fare in un secondo momento, dal momento che la prima non è in alcun modo ammortizzata né compensata dalla seconda, anche solo volendo considerare che, nel tempo, gli impianti invecchiano e, dunque, decadono in termini di produttività, ledendo, in questo modo, i diritti quesiti degli operatori. E senza contare che le continue modifiche già avvenute finora su diritti quesiti dagli operatori lasciano ampi spazi di manovra a future, ed ulteriori, modifiche peggiorative: in sostanza, nulla garantisce all’operatore che all’immediata riduzione segua effettivamente la maggiorazione “promessa”;
  2. in relazione ai finanziamenti bancari, la norma è priva di contenuto, dal momento che nel testo, come spesso accade, si fa rinvio ad un futuro decreto del MEF, che dovrebbe prevedere criteri e modalità dell’esposizione della Cassa Depositi e Prestiti, che dovrebbe garantire i prestiti;
  3. anche la “cartolarizzazione” degli incentivi – prevista dalla norma che favorisce la cessione degli incentivi e il recesso degli operatori dai contratti stipulati con il GSE – presenta profili di criticità. Il legislatore sembra volersi costituire, in questo modo, una sorta di “difesa ante litteram” nei confronti di possibili contestazioni da parte degli operatori che dovessero, in futuro, lamentarsi di essere stati lesi, semplicemente affermando di essere stata data loro la possibilità di “disfarsi” di una situazione economica non più in linea con le aspettative originarie. Come se questa scelta potesse, per questo motivo, considerarsi legittima e non lesiva degli interessi, palesemente lesi, degli operatori che, nel recente passato, hanno effettuato scelte economiche sulla base di ben altre indicazioni normative… 
Tant’è che sono previsti numerosi ricorsi da parte di molti operatori del settore, che sottolineano come la Commissione europea abbia:
  • raccomandato in più occasioni che la rimodulazione degli incentivi non deve essere retroattiva e non deve violare gli interessi già consolidati dei produttori;
  • sostenuto che “le misure di intervento pubblico devono rappresentare un impegno stabile, a lungo termine, trasparente, prevedibile e credibile nei confronti degli investitori e dei consumatori”. 
L’azione del Governo, invece, a prescindere dalle dietrologie di chi vede in questa manovra un intervento pro combustibili fossili, intervenendo in modo retroattivo ha sacrificato i legittimi diritti dei produttori che hanno prestato fede agli impegni assunti dallo Stato, facendo affidamento sui principî del legittimo affidamento e della certezza del diritto.

*°*

Le tre alternative
  1. Tariffa erogata per 24 anni dall’entrata in esercizio dell’impianto, con ricalcolo secondo le tabelle di cui all’allegato 
  2. Tariffa erogata sempre in 20 anni, ma rimodulata con la previsione di un primo periodo di fruizione di un incentivo ridotto rispetto a quello attuale, e di un secondo di un incentivo incrementato in egual misura. Le percentuali di rimodulzione sono stabilite con decreto del MiSE 
  3. Tariffa erogata sempre in 20 anni, ma con una riduzione della tariffa di una quota percentuale, per la durata residua del periodo di incentivazione, pari al 6% per impianti da 200 kW a 500 kW, 7% per impianti da 500 kW a 900 kW, 8% per impianti di potenza nominale superiore a 900 kW 
Agli operatori che non comunicheranno la loro scelta, verrà applicata quest’ultima opzione


(continua con: "La normativa ambientale ai tempi di twitter: l’assenza delle istruzioni operative")




(articolo pubblicato sulla rivista "Ambiente e sicurezza sul lavoro", EPC editore, n. 11/2014)


La normativa ambientale ai tempi di twitter: il provvedimento #ambienteprotetto

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A proposito del provvedimento #ambienteprotetto il ministro dell’ambiente ha affermato che 
“con questo pacchetto di misure vogliamo rendere più efficiente l’intero sistema ambientale, su cui è fondamentale investire per il rilancio del Paese. Lo facciamo con norme che servono a fermare gli scempi compiuti sul territorio nazionale alle spalle dei cittadini e con misure immediatamente operative per difendere il nostro ecosistema, risparmiare soldi e velocizzare le procedure senza recedere di un millimetro sulla tutela dell’Ambiente. Bisogna «correre» verso un’Italia più sicura e sostenibile sotto il profilo ambientale: questo decreto fornisce gli strumenti giusti”. 
I più significativi “strumenti giusti”, a valle della legge di conversione del decreto #competitività, sono quelli che concernono la semplificazione per le operazioni di bonifica e di messa in sicurezza e le misure urgenti per semplificare il sistema di tracciabilità dei rifiuti. 

L’art. 13 del decreto #competitività, così come modificato ed integrato dalla legge di conversione, introduce due nuovi articoli al testo unico ambientale, ad integrazione delle procedure operative ed amministrative previste dal codice dell’ambiente per la bonifica dei siti contaminati.

Il primo (242-bis) riguarda la procedura semplificata per le operazioni di bonifica o di messa in sicurezza che, in estrema sintesi, prevede che: 
  1. l’operatore interessato a effettuare, a proprie spese, interventi di bonifica del suolo con riduzione della contaminazione ad un livello uguale o inferiore ai valori di CSC, può presentare all’amministrazione competente uno specifico progetto completo degli interventi programmati sulla base dei dati dello stato di contaminazione del sito, nonché del cronoprogramma di svolgimento dei lavori; 
  2. per il rilascio degli atti di assenso necessari alla realizzazione e all’esercizio degli impianti e attività previsti dal progetto di bonifica, l’interessato presenta gli elaborati tecnici esecutivi di tali impianti e attività alla regione nel cui territorio ricade la maggior parte degli impianti e delle attività; 
  3. quest’ultima, entro i successivi trenta giorni, convoca apposita conferenza di servizi;
  4. entro novanta giorni dalla convocazione, la regione adotta la determinazione conclusiva che sostituisce a tutti di effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato;
  5. non oltre trenta giorni dalla comunicazione dell’atto di assenso, il soggetto interessato comunica all’amministrazione titolare del procedimento (di cui agli articoli 242 o 252 del TUA), la data di avvio dell’esecuzione della bonifica, che si deve concludere nei successivi dodici mesi, salva eventuale proroga non superiore a sei mesi;
  6. decorso tale termine, salvo motivata sospensione, deve essere avviato il procedimento ordinario ai sensi degli articoli 242 o 252 del D.Lgs n. 152/06;
  7. ultimati gli interventi di bonifica, l’interessato presenta il piano di caratterizzazione all’autorità competente per la verifica del conseguimento dei valori di CSC della matrice suolo per la specifica destinazione d’uso;
  8. il piano é approvato nei successivi quarantacinque giorni;
  9. la validazione dei risultati della caratterizzazione da parte dell’ARPA, attestante il conseguimento dei valori di CSC nei suoli, costituisce certificazione dell’avvenuta bonifica del suolo;
  10. i costi della caratterizzazione della validazione sono a carico dell’operatore interessato; 
  11. nel caso in cui i risultati della caratterizzazione dovessero dimostrare che non sono stati conseguiti i valori di CSC nella matrice suolo, l’ARPA notifica le difformità riscontrate all’operatore interessato, il quale deve presentare, entro i successivi quarantacinque giorni, le necessarie integrazioni al progetto di bonifica che é istruito nel rispetto delle procedure ordinarie;
  12. resta fermo l’obbligo di adottare le misure di prevenzione, messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda, se necessarie, secondo le procedure ordinarie (artt. 242 e 252 del TUA);
  13. conseguiti i valori di CSC del suolo, il sito può essere utilizzato in conformità alla destinazione d’uso prevista secondo gli strumenti urbanistici vigenti, salva la valutazione di eventuali rischi sanitari per i fruitori del sito derivanti dai contaminanti volatili presenti nelle acque di falda;
  14. l’articolo 242-bis si applica anche ai procedimenti di cui agli articoli 242 o 252 in corso alla data di entrata in vigore del decreto competitività.
Il secondo concerne le aree militari (art. 241-bis), e prevede che, ai fini dell’individuazione delle misure di prevenzione, messa in sicurezza e bonifica, e dell’istruttoria dei relativi progetti, da realizzare nelle aree del demanio destinate ad uso esclusivo delle forze armate per attività connesse alla difesa nazionale, si applicano le CSC di cui alla Tabella 1, colonna b, dell’allegato 5, alla Parte IV, Titolo V, del TUA (siti ad uso commerciale ed industriale). Gli obiettivi di intervento in tali aree sono determinati mediante applicazione di idonea analisi di rischio sito specifica che deve tenere conto dell’effettivo utilizzo e delle caratteristiche ambientali di dette aree o di porzioni di esse e delle aree limitrofe: lo scopo è quello di prevenire, ridurre o eliminare i rischi per la salute dovuti alla potenziale esposizione a sostanze inquinanti e la diffusione della contaminazione nelle matrici ambientali. Nel caso in cui avvenga la declassificazione del sito da uso militare a destinazione residenziale, dovranno essere applicati i limiti di CSC di cui alla Tabella 1, colonna a), del medesimo allegato, che stabilisce, invece, i valori limite per siti adibiti ad uso verde pubblico, privato e residenziale.

(continua con: "La normativa ambientale ai tempi di twitter: lo spalmaincentivi")

(articolo pubblicato sulla rivista "Ambiente e sicurezza sul lavoro", EPC editore, n. 11/2014)


La normativa ambientale ai tempi di twitter: il piano d’azione #campolibero

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Il piano d’azione #campolibero contiene alcune misure volte a: 
  • favorire i giovani (i mutui a tasso zero; la detrazione al 19% per affitto dei terreni a under 35 e lo sgravio di 1/3 della retribuzione lorda per assunzioni più stabili);
  • semplificare la burocrazia (creazione del registro unico dei controlli; estensione dell’uso della diffida prima delle sanzioni amministrative; dematerializzazione dei registri);
  • contrastare il rischio idrogeologico (i presidenti delle regioni saranno nominati commissari straordinari per attuare le opere di contrasto al rischio idrogeologico previste dagli accordi di programma tra il MATTM e le regioni. Si tratta di misure straordinarie per accelerare le procedure e l’utilizzo delle risorse finalizzate all’esecuzione degli interventi urgenti e prioritari e per mettere in sicurezza il territorio dal rischio idrogeologico. A tale scopo, in particolare, per snellire le procedure, visti, pareri, autorizzazioni, nulla osta e ogni altro provvedimento abilitativo necessario per l’esecuzione dell’intervento sono sostituiti dall’autorizzazione rilasciata dal presidente della regione, la quale comporta dichiarazione di pubblica utilità e costituisce, ove occorra, variante agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale);
  • regolare la gestione dei rifiuti agricoli (art. 14). 
A tale, ultimo, proposito, il testo originario del decreto legge, modificando la disciplina sulla combustione illecita dei rifiuti, aveva introdotto un comma in base al quale:
  • le disposizioni sulla combustione illecita dei rifiuti e quella generale sull’attività di gestione dei rifiuti non autorizzata non deve applicarsi al materiale agricolo e forestale derivante da sfalci, potature o ripuliture in loco nel caso di combustione in loco delle stesse;
  • di tale materiale é consentita la combustione in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro nelle aree, periodi e orari individuati con apposita ordinanza del Sindaco competente per territorio;
  • nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle Regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali é sempre vietata. 
In seguito alle modifiche apportate in sede di conversione il Parlamento ha specificato che:
  • le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali, effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti;
  • i Comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione di tale materiale all’aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10);
  • gli imprenditori agricoli possono sostituire il registro di carico e scarico con la conservazione della scheda SISTRI in formato fotografico digitale inoltrata dal destinatario.
Pochi giorni prima dell’entrata in vigore della legge di conversione, la Corte di Cassazione ha avuto modo di intervenire sul tema, per affermare che, a seguito dell’introduzione del delitto di cui all’art. 256-bis, comma 2, d.lgs. 152/2006, la combustione non autorizzata, quale modalità di smaltimento dei rifiuti dolosamente perseguita all’esito dell’attività di raccolta, trasporto e spedizione, qualifica le corrispondenti condotte previste dagli artt. 256 e 259, d.lgs. 152/2006, facendole assurgere a fattispecie autonoma di reato, ancorché a tali fasi di gestione del rifiuto, prodromiche alla combustione, non segua la combustione stessa. Il residuo illecito amministrativo di cui all’art. 256-bis, comma 6, d.lgs. 152/2006, ha invece ad oggetto i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali di cui all’art. 184, lett. e), non dunque la paglia, gli sfalci, le potature e il materiale agricolo o forestale non pericoloso di cui all’art. 185, comma 1, lett. f). La condotta, però, deve avere ad oggetto rifiuti vegetali abbandonati o depositati in modo incontrollato (tale il senso del richiamo al comma 1°), non anche raccolti e trasportati dallo stesso autore della combustione, poiché, in tal caso, la condotta ricadrebbe nella previsione di cui al comma 2° dello stesso art. 256-bis, d.lgs. cit.; ne consegue che la condotta di autosmaltimento mediante combustione illecita di rifiuti continua ad avere penale rilevanza.

Le altre modalità di tenuta dei registri previsti dal Testo Unico Ambientale per gli imprenditori agricoli
Gli imprenditori agricoli – ovvero quelli che svolgono attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse – produttori iniziali di rifiuti pericolosi adempiono all’obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico con una delle due seguenti modalità:

  1. con la conservazione progressiva per tre anni del formulario di identificazione, relativo al trasporto dei rifiuti, o della copia della scheda del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti;
  2. con la conservazione per tre anni del documento di conferimento di rifiuti pericolosi prodotti da attività agricole, rilasciato dal soggetto che provvede alla raccolta di detti rifiuti nell’ambito del ‘circuito organizzato di raccolta.
(continua con: "La normativa ambientale ai tempi di twitter: il piano d’azione #campolibero")

(articolo pubblicato sulla rivista "Ambiente e sicurezza sul lavoro", EPC editore, n. 11/2014)


La normativa ambientale ai tempi di twitter: il new deal politico

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Nel 2014 il nostro legislatore ha nuovamente emanato molte normative ambientali, tutte urgenti, necessarie e “strategiche”. 
Tuttavia, l’assenza di una strategia di lungo periodo rischia di far fare a queste “nuove” normative, che sicuramente sono comunicate in modo innovativo, la stessa fine di quelle emanate nei più polverosi anni passati, nei quali l’uso dei social networks non dava quell’effimero senso di efficienza dell’azione legislativa: ovvero di renderle sostanzialmente inefficaci nell’affrontare e risolvere le annose problematiche ambientali che attanagliano il nostro Paese. 

Il new deal politico 

Il 2014 sarà sicuramente ricordato negli annali di storia come l’anno in cui è stato “sdoganato” un nuovo tipo di “politica”: fra i tanti aggettivi che potrebbero descriverla, “comunicativa” è quello che forse rende più l’idea, a prescindere dal contenuto sostanziale che quella politica dovrebbe veicolare, e prima ancora possedere.
I tweet hanno ormai soppiantato le analisi giornalistiche e giuridiche, e qualsiasi discorso di merito finisce con l’essere trattato alla stregua di un orpello ingombrante, che appesantisce e ritarda il raggiungimento degli obiettivi. 
Anche i settori del diritto dell’ambiente e dell’energia non si sono sottratti a questo new deal, sulla spinta dell’idea, condivisibilissima, di raggiungere quanto prima obiettivi di sostenibilità (nella sua accezione più ampia). 
Un’idea che, tuttavia, si cerca di realizzare con un metodo invece un po’ meno condivisibile, basato sulla quantità-velocità nel fare (come?) le norme: con l’unico risultato di trasformare la fretta (non c’è tempo da perdere) in frettolosità e frenesia, a discapito proprio di quegli obiettivi, che rimangono proclamati. 
L’analisi – giuridica, in questo caso – di quanto accaduto nel nostro Paese nel 2014 in relazione alle principali novità in materia ambientale dimostra, appunto, che se le idee di sostenibilità, pur ben comunicate, non sono supportate da strategia e tattiche adeguate, finiscono con l’alimentare i soliti tatticismi politici, di ieri e di oggi.... senza che nulla cambi, rispetto al passato. 

Il decreto #competitività: a) introduzione
Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di adottare disposizioni:
  • finalizzate a coordinare il sistema dei controlli e a semplificare i procedimenti amministrativi; 
  • per rilanciare il comparto agricolo, quale parte trainante dell’economia nazionale, e la competitività del medesimo settore, incidendo in particolar modo sullo sviluppo del “made in Italy”, nonché misure per sostenere le imprese agricole condotte dai giovani anche incentivando l’assunzione a tempo indeterminato o, comunque, la stabilizzazione dei giovani in agricoltura;
  • volte a superare alcune criticità ambientali, all’immediata mitigazione del rischio idrogeologico e alla salvaguardia degli ecosistemi, intervenendo con semplificazioni procedurali, promuovendo interventi di incremento dell’efficienza energetica negli usi finali dell’energia nel settore pubblico e razionalizzando le procedure in materia di impatto ambientale;
  • per semplificare i procedimenti per la bonifica e la messa in sicurezza dei siti contaminati e per il sistema di tracciabilità dei rifiuti, per superare eccezionali situazioni di crisi connesse alla gestione dei rifiuti solidi urbani, nonché di adeguare l’ordinamento interno agli obblighi derivanti, in materia ambientale, dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, 
nella G.U. del 24 giugno 2014 il Governo ha pubblicato il “decreto (legge) #competitività”, contenente disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche.
Fra le disposizioni di interesse nel settore ambientale, di particolare rilievo quelle relative al piano d’azione #campolibero, al provvedimento #ambienteprotetto e allo #spalmaincentivi.


(articolo pubblicato sulla rivista "Ambiente e sicurezza sul lavoro", EPC editore, n. 11/2014)


AIA: il ministero ha dettato le modalità per la redazione della relazione di riferimento

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Con il DM n. 272/2014 il Ministero dell’ambiente ha dettato le modalità per la redazione della relazione di riferimento (RdR). 

Il DM 272/14 chiarisce l’obbligo di presentare la relazione di riferimento, detta le tempistiche per la presentazione della relazione di riferimento da parte di installazioni sottoposte ad AIA in sede statale, ed elenca i contenuti minimi della relazione di riferimento, 

I tre allegati approfondiscono: 

1) la procedura per la verifica della sussistenza dell’obbligo di presentazione della relazione di riferimento (identificazione delle sostanze pericolose; quantitativi; valutazione della possibilità di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee nel sito dell’installazione); 

2) i contenuti minimi della relazione di riferimento; 

3) i criteri per l’acquisizione di nuove informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee con riferimento alla presenza di sostanza pericolose pertinenti. 

Si ricorda che la relazione di riferimento è definita dal decreto emissioni industriali come 
“informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, necessarie al fine di effettuare un raffronto in termini quantitativi con lo stato al momento della cessazione definitiva delle attività. Tali informazioni riguardano almeno: l'uso attuale e, se possibile, gli usi passati del sito, nonché, se disponibili, le misurazioni effettuate sul suolo e sulle acque sotterranee che ne illustrino lo stato al momento dell'elaborazione della relazione o, in alternativa, relative a nuove misurazioni effettuate sul suolo e sulle acque sotterranee tenendo conto della possibilità di una contaminazione del suolo e delle acque sotterranee da parte delle sostanze pericolose usate, prodotte o rilasciate dall'installazione interessata. Le informazioni definite in virtù di altra normativa che soddisfano i requisiti di cui alla presente lettera possono essere incluse o allegate alla relazione di riferimento. Nella redazione della relazione di riferimento si terrà conto delle linee guida eventualmente emanate dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2010/75/UE”. 

Nelle prossime settimane il DM n. 272/14 (“decreto recante le modalità per la redazione della relazione di riferimento di cui all’art. 5, comma 1, lettera v-bis del D.Lgs n. 152/06) verrà analizzato nel dettaglio nelle pagine del sito e del blog di Natura Giuridica. 


I primi dubbi interpretativi sul DM n. 272/14

Perché il DM n. 272/2014 riguarda soltanto le tempistiche per la presentazione della relazione di riferimento per le autorizzazioni integrate ambientali (AIA) statali, ma non dice nulla su quelle regionali? 
In relazione a queste ultime, quando occorre presentare la relazione di riferimento? 
In sede di primo rinnovo? 
Quando viene presentata un’istanza di riesame? 
Se, come e quando nel settore vengono emanate delle BAT? 
Assisteremo alla solita marea di norme, circolari interpretative regionali differenziate “ad mentulam canis”? 
Soprattutto, quali saranno i costi per l’ambiente e dell’ambiente per le imprese?


AIA: il decreto emissioni industriali non prevede eccezioni per le autorizzazioni rilasciate durante il regime previgente

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L’inosservanza delle disposizioni contenute nell’AIA: la nuova normativa, di cui al D.Lgs n. 46/2014 (decreto “emissioni industriali” ha depenalizzato il reato, ma non ha previsto alcuna eccezione per le autorizzazioni rilasciate durante il regime previgente. 

La scorsa settimana abbiamo visto che la Cassazione ha affermato che l’inosservanza delle prescrizioni AIA è stata depenalizzata. 
Questa settimana analizziamo, invece, la seconda sentenza recentemente intervenuta sempre in materia di AIA (Cassazione penale, n. 40393/14). 

I fatti

In estrema sintesi, la vicenda riguardava la condanna del responsabile di uno stabilimento che aveva omesso di osservare le prescrizioni stabilite dall'autorizzazione integrata ambientale, così incorrendo nella violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 29, comma quattordicies. 

In particolare: 
  • la ditta aveva ottenuto autorizzazione integrata ambientale (AIA) dalla Regione Lombardia; -
  • successivamente erano state condotte verifiche per accertare l'adeguamento alle prescrizioni, che avevano dato esito non positivo (da un primo controllo era emerso che nel periodo marzo-settembre 2009 non era stato fatto alcun monitoraggio degli scarichi idrici ed i componenti del sistema del controllo dello scarico dell'impianto di depurazione. 
In narrativa si evidenziava che il fatto che nel 2009 fosse stato installato un campionatore automatico era del tutto irrilevante: le prescrizioni dell’AIA, infatti, dovevano essere attuate entro il 30.10.2007, data che segnava il momento di consumazione del reato,
“permanente in quanto, dopo detto termine, il responsabile dello stabilimento non aveva adempiuto alle prescrizioni, persistendo nel comportamento antidoveroso fino al settembre 2009, quando venne rimossa la situazione di antigiuridicità”. 

Argomenti difensivi:
  • inizialmente venne contestato l'addebito di cui al D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 16, comma 2 (“salvo che il fatto costituisca più grave reato, si applica la sola pena dell'ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall'autorità competente), norma abrogata dal D.Lgs. n. 128 del 2010; L'art. 29 quattordicies è stato introdotto in data 29.6.2010, in un tempo successivo a quello del fatto in contestazione: per effetto dell'abrogazione si sarebbe dovuto assolvere l'imputato, perchè il fatto non era più previsto dalla legge come reato; 
  • non è mai stata fatta richiesta della trasmissione dei dati sul monitoraggio degli scarichi, che erano stati regolarmente eseguiti (“il campionatore automatico fu installato nel settembre 2009, laddove in precedenza aveva operato con campionature discontinue, attraverso un campionatore portatile, senza mai registrare i superamento della soglia del 10% delle concentrazioni delle sostanze pericolose, per cui non sarebbe dato comprendere dove sussisteva la violazione”). 
Cos’ha detto la Cassazione 


Il quesito sulla sussistenza o meno di continuità normativa fra il reato: 
- di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 29 quattordicies, comma 2 per cui vi è stata condanna nel caso di specie e quello di cui
- al D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 16, comma 2 
ha trovato adeguata risposta in termini affermativi in un recente arresto di questa Corte di legittimità, che con la sentenza n. 9614/13 ha affermato che 
 “dalla semplice lettura delle due disposizioni è dato cogliere identica formulazione letterale, atteso che entrambe sanzionano «colui che pur essendo in possesso di autorizzazione integrata ambientale non ne osservi le prescrizioni o quelle imposte dall'autorità competente».
E' stato aggiunto che la nuova disciplina non prevede alcuna esclusione dall'ambito della propria applicazione per le autorizzazioni rilasciate nella vigenza della vecchia legge e che la rilevata continuità fra le due fattispecie trova conferma nel dato sistematico, per la sostanziale identità del complesso della nuova regolamentazione dell'autorizzazione integrata ambientale rispetto al previgente testo”. 

Di conseguenza, attesa la continuità normativa tra le due disposizioni: 
  • non ricorre alcun problema in termini di corretta contestazione, avendosi riguardo alla medesima condotta considerata dai due testi in successione e,
  • meno che meno può parlarsi di situazione intertemporale che sarebbe rimasta priva di sanzione. 
In conclusione, la nuova disciplina che sanziona la violazione delle prescrizioni stabilite dall’autorizzazione integrata ambientale (AIA) non prevede alcuna eccezione per le autorizzazioni rilasciate durante il regime previgente; per le violazioni a cavallo tra i due regimi non può comunque ricorrere alcun problema di corretta contestazione, e men che meno può parlarsi di situazione intertemporale che sarebbe rimasta priva di sanzione.

#SbloccaItalia: una (falsa?) partenza per il rilancio dell'Italia (per lo meno dal punto di vista ambientale....)

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Sul numero 11/2014 della rivista "Ambiente & Sviluppo", edita da IPSOA, è stato pubblicato un articolo dal titolo «#SbloccaItalia e “news” ambientali: novità all’insegna di cosa?»



Natura Giuridica offre ai suoi lettori una panoramica del contenuto dell’articolo.

Il trailer di un film già visto

Sembra il trailer di un film già visto, sentito e letto tante volte. Una voce fuori campo che annuncia che “ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per accelerare e semplificare la realizzazione di opere infrastrutturali strategiche, indifferibili e urgenti […] ritenuta altresì la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni in materia ambientale per la mitigazione del rischio idrogeologico, la salvaguardia degli ecosistemi, l’adeguamento delle infrastrutture idriche e il superamento di eccezionali situazioni di crisi connesse alla gestione dei rifiuti, nonché di introdurre misure per garantire l’approvvigionamento energetico e favorire la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali” (e via discorrendo), il Governo ha deciso di porre “definitivamente rimedio” alle (svariate) emergenze di turno, ricorrendo per l’occorrenza alla decretazione d’urgenza per modificare, in questa tornata, anche (rectius: nuovamente) la normativa ambientale e quella energetica.
In questa sede ci occuperemo delle novità, annunciate, in fieri ed operative contenute nel D.L. n. 133/2014, il c.d. “Sblocca Italia”, in materia di terre e rocce da scavo, bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, di energia e di incenerimento di rifiuti, con lo scopo di verificare se qualcosa, nel remake di questo film, è cambiato.

Le modifiche annunciate: la disciplina sulle terre e rocce da scavo

Lo Sblocca Italia interviene nuovamente a modificare la disciplina sulle terre e rocce da scavo: [...]
Il testo del decreto pubblicato in gazzetta ufficiale, “ai fini di rendere più agevole la realizzazione degli interventi che comportano la gestione delle terre e rocce da scavo”, si limita a rinviare a fine anno (entro il 12 dicembre) l’adozione di disposizioni di riordino e di semplificazione della materia secondo i seguenti principî e criteri direttivi:
a. coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni vigenti;
b. indicazione esplicita delle norme abrogate;
c. proporzionalità della disciplina all’entità degli interventi da realizzare;
d. divieto di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli minimi previsti dall’ordinamento europeo.

Le semplificazioni in materia di bonifica e messa in sicurezza

Il DL introduce nuove semplificazioni in materia di bonifica, apportando alcune modifiche al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. In particolare, il Dl prevede che:
  • nel caso in cui le stazioni appaltanti si avvalgano della facoltà di limitare il numero di candidati da invitare, le stesse debbano richiedere ai soggetti invitati di presentare apposita documentazione attestante i requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa anche nei casi di bonifica e/o messa in sicurezza di siti contaminati;
  • la norma, in base alla quale il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto, non si applica al requisito dell’iscrizione all’ANGA; [...]

La rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale

In relazione alla bonifica ambientale e alla rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale – finalizzate al risanamento ambientale e alla riconversione delle aree dismesse e dei beni immobili pubblici, al superamento del degrado urbanistico ed edilizio, alla dotazione dei servizi personali e reali e dei servizi a rete, alla garanzia della sicurezza urbana – il Governo è intervenuto a stabilire:
  • la competenza dello Stato (al quale sono attribuite le funzioni amministrative, per assicurarne l’esercizio unitario, garantendo comunque la partecipazione degli enti territoriali interessati alle determinazioni in materia di governo del territorio, funzionali al perseguimento degli obiettivi) e quella del consiglio dei ministri, che dovrà individuare le aree de quibus, per ognuna delle quali sarà predisposto un programma di risanamento ambientale e un documento di indirizzo strategico per la rigenerazione urbana;
  • la disciplina d’urgenza per le aree comprese nel comprensorio Bagnoli-Coroglio, dichiarate aree di rilevante interesse nazionale.

L’incenerimento dei rifiuti: l’urgenza per giustificare la realizzazione di un sistema integrato e “moderno”

All’insegna dell’urgenza anche le misure volte all’individuazione e alla realizzazione di impianti di recupero di energia dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture energetiche di preminente interesse nazionale, che prevede:
a. innanzitutto l’annuncio che, entro novanta giorni dall’entrata in vigore del DL, il MATTM dovrà individuare, con proprio decreto, gli impianti di recupero di energia e di smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, esistenti o da realizzare per attuare un sistema integrato e moderno di gestione di tali rifiuti atto a conseguire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza e superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore;
b. la verifica della sussistenza dei requisiti per la qualifica di impianti di recupero energetico R1 per gli impianti esistenti dovrà avvenire, da parte delle Autorità competenti, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del DL, termine entro il quale, inoltre, le stesse Autorità dovranno revisionare “in tal senso […] quando ne ricorrono le condizioni, le autorizzazioni integrate ambientali” [...]

Le misure nel settore energetico: l’urgenza per giustificare la “trivellazione selvaggia”?
[...]

Qual è la trama del film?

Dalla sintetica narrazione di quanto contenuto nel decreto “sblocca Italia”, scopriamo che, in realtà, l’ultimo remake normativo emergenziale, straordinario o eccezionale, che dir si voglia, non è diverso da quello originale (id est: consueto), sia nella forma (ad esempio: ci sono molti rinvii), sia nella sostanza (manca una strategia), anche se forse qualcosa è cambiato a livello comunicativo.
Da quando i tweet del politico di turno hanno soppiantato le analisi giornalistiche (e giuridiche: sic!), va di moda parlare di hashtag: volendo semplificare, si potrebbe dire che lo “sblocca Italia” è il decreto, in ordine sparso – e prendendo le seguenti parole con la dovuta cautela, proprio perché inserite all’inizio dello stesso DL dal Governo che in questo modo giustifica il suo atto – della semplificazione, accelerazione (dei tempi), urgenza, straordinaria necessità, eccezionale situazione, pubblica utilità ed urgenza.
Tutte parole rigorosamente precedute dal simbolo # hastag.
Ma soprattutto lo “sblocca Italia” è il decreto della definitiva consacrazione del termine #strategico: avendo ormai perso di vigore, il concetto di urgenza, sotteso (e sottinteso) a tutti i termini sopra riportati, è stato affiancato, sulla scia di quanto negli ultimi mesi si è cominciato a fare, da quello di strategia, come se il solo evocarla fosse di per sé sufficiente a garantire un qualche successo.
Ma non è che un “modo nuovo” di dire cose vecchie: da tempo (quasi) immemore si parla delle stesse problematiche che hanno condotto all’adozione di questo (ennesimo) atto d’urgenza. Ma, ahimè, è anche un “modo nuovo” per non risolvere i problemi.
Per fare solo qualche esempio, che verrà analiticamente ripreso sui prossimi numeri della rivista, ci sono novità soltanto annunciate (terre e rocce da scavo); altre che consistono in proroghe concesse per l’adozione di atti i cui termini di scadenza erano già abbondantemente superati (conto termico); altre ancora la cui “visione strategica” lascia molto perplessi (le norme sull’incenerimento e quelle sulla trivellazione), senza contare che non sono state recepite nel D.Lgs n. 133/14 quelle poche buone cose che il testo uscito con l’imprimatur dal CdM conteneva (le previsioni in materia di detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica, che forse, ma solo forse, si vocifera che potrebbero arrivare con la prossima legge di stabilità; gli interventi di miglioramento sismico ed energetico degli edifici).
Per non parlare di tutte le altre disposizioni “non ambientali”, non oggetto del presente contributo, che si ispirano ai medesimi… hashtag.
È già stato provato – e soprattutto lo sanno anche i muri – che curare una situazione di emergenza, generata dal sovrapporsi di norme emergenziali, dettate delle motivazioni politiche del momento, non ha fatto altro che peggiorare la situazione.
Se la ricetta continua ad essere la stessa (norme considerate, da chi le concepisce, strategiche, ma che di strategico possono avere al massimo il nome – fino a che anche questa parola non si usurerà – perché adottate in situazioni di emergenza per far fronte alle emergenze provocate dallo stesso metodo, usato in passato) ci ritroveremo, fra qualche mese, ad utilizzare le stesse logore parole per raccontare lo stesso film, che ci verrà riproposto: un film figlio delle tattiche, o meglio, dei tatticismi (di ieri e di oggi), ovvero – secondo il significato attribuito dal dizionario della lingua italiana, e non da twitterlandia – dall’“eccesso di manovre e di espedienti per il raggiungimento di uno scopo”.
Anche se, in tutta onestà, si fa fatica a capire qual è questo scopo.
E soprattutto se c’è…


AIA: il decreto emissioni industriali ha depenalizzato il reato di inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione integrata ambientale

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L’inosservanza delle disposizioni contenute nell’AIA: la nuova normativa, di cui al D.Lgs n. 46/2014 (decreto “emissioni industriali” ha depenalizzato il reato, ma non ha previsto alcuna eccezione per le autorizzazioni rilasciate durante il regime previgente.

Con due recenti sentenze la Cassazione è intervenuta in materia di AIA, Autorizzazione Integrata Ambientale.

La prima (Cassazione, n. 40532/14 dello scorso 1° ottobre 2014) riguardava  la condanna di due soggetti alla pena di 5000 € ciascuno per non aver osservato le prescrizioni contenute nell’AIA (effettuamento, in periodi di divieto, dello scarico di pollina fresca non ancora stata in concimaia per i previsti 90 gg.).
La Cassazione ha accolto il ricorso dei due, anche se per ragioni diverse da quelle oggetto dei motivi proposti.

I fatti

In estrema sintesi, la Corte ha messo in evidenza che il fatto oggetto di contestazione rientra nel nuovo comma 2 dell'art. 29-quattuordecies del Codice dell’ambiente, che oggi lo sanziona soltanto in via amministrativa, per effetto delle modifiche introdotte dal decreto emissioni industriali.
L’art. 7, comma 13, del D.Lgs n. 46/14, infatti, riscrive l'art. 29-quattuordecies al fine di rendere le sanzioni previste per gli impianti soggetti ad AIA più proporzionali e più coordinate con le sanzioni previste da discipline specifiche.
A tal fine:
  • il comma 2 prevede una depenalizzazione (l'ammenda da 5.000 a 26.000 è stata sostituita con una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 a 15.000 euro, mentre viene aumentata la sanzione nei casi di maggior pericolo. La sanzione amministrativa è prevista, “salvo che il fatto costituisca reato”, nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall'autorità competente.
  • il comma 3, invece, prevede “salvo che il fatto costituisca più grave reato” l'applicazione della sola pena dell'ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall'autorità competente nel caso in cui l'inosservanza:

a) sia costituita da violazione dei valori limite di emissione, rilevata durante i controlli previsti nell'autorizzazione o nel corso di ispezioni (art. 29-decies, commi 4 e 7, a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell'autorizzazione stessa;
b) sia relativa alla gestione di rifiuti;
c) sia relativa a scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa.
  •           il comma 4, infine, prevede un trattamento sanzionatorio più elevato (ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro ed arresto fino a due anni) nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall'autorità competente nel caso in cui l'inosservanza sia relativa:

a) alla gestione di rifiuti pericolosi non autorizzati;
b) allo scarico di sostanze pericolose di cui alle tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla Parte Terza;
c) a casi in cui il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa;
d) all'utilizzo di combustibili non autorizzati.

Cos’ha detto la Cassazione

Innanzitutto, che la fattispecie oggetto dell’esame della Cassazione non rientra in alcuna delle ipotesi di cui ai commi 3 e 4: infatti riguarda l'inosservanza della prescrizione autorizzativa contenuta nell'A.I.A. per aver effettuato, in periodi di divieto, lo scarico di pollina fresca non ancora stata in concimaia per i previsti 90 gg..

Quindi, che non si può ritenere che la fattispecie rientri nella previsione di cui al comma 3, lett. b) (gestione dei rifiuti), perché la giurisprudenza amministrativa e quella di legittimità ritengono che le materie fecali (fra le quali rientra la pollina) sono escluse dalla disciplina dei rifiuti di cui al Testo Unico Ambientale, purché provengano da attività agricola e siano effettivamente riutilizzate nella stessa attività (nel caso di specie, la pollina proveniva da attività agricola ed era effettivamente riutilizzata nella medesima attività).

Dunque, il fatto rientra nella nuova previsione del comma 2: di conseguenza, essendo intervenuta la depenalizzazione, la Cassazione ha dovuto annullar la sentenza senza rinvio “per non essere il fatto (costituito dalla mera inosservanza delle prescrizioni AIA o di quelle imposte dall'autorità competente, non rientrante in alcuna delle ipotesi di cui al comma 3 e 4 dell'art. 29- quattuordecies) più previsto dalla legge come reato”.

Ma la Corte di Cassazione aggiunge una postilla: “non contenendo, tuttavia, il D.Lgs. n. 46/2014 una disciplina transitoria con riferimento alla necessità di disporre la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa competente per l'irrogazione delle nuove sanzioni amministrative introdotte dall'11 aprile 2014, trova applicazione il principio di diritto autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui, in caso di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, ma solo come illecito amministrativo, il giudice non ha l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorità amministrativa competente a sanzionare l'illecito amministrativo qualora la legge di depenalizzazione non preveda norme transitorie analoghe a quelle di cui agli artt. 40 e 41 legge 24 novembre 1981, n. 689, la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione”


Dell’altra sentenza parleremo la settimana prossima