Autorizzazione Unica Ambientale (AUA): finalmente in GU il testo del decreto

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Finalmente è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale l'AUA, autorizzazione unica ambientale. 

Sulla GU n.124 del 29-5-2013 - Suppl. Ordinario n. 42 è stato pubblicato il DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 13 marzo 2013, n. 59, Regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, a norma dell'articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35.

Il  regolamento, in attuazione della previsione di cui all'articolo 23, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, si applica alle categorie di imprese di cui all'articolo 2 del decreto del Ministro delle attivita' produttive 18 aprile 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 12 ottobre 2005, nonche' agli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale. 
Le disposizioni del regolamento non si applicano ai progetti sottoposti alla valutazione di impatto ambientale (VIA) laddove la normativa statale e regionale disponga che il provvedimento finale di VIA comprende e sostituisce tutti gli altri atti di assenso, comunque denominati, in materia ambientale, ai sensi dell'articolo 26, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Nei prossimi giorni potrete trovare sul blog approfondimenti sul tema




Working Capital 2013

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Sei un visionario ma con i piedi ben piantati per terra? Sei convinto che il tuo futuro professionale si svilupperà in ambito internet, digital life, mobile evolution o green, ed hai nel cassetto un'idea imprenditoriale in cui credi e che vorresti veramente realizzare? Ok, allora continua a leggere! Forse in te si cela uno "startupper" che ha solo bisogno di essere aiutato a mettere in pratica la sua idea!
Ti presento il programma working capital 2013 di Telecom Italia: Working Capital è il programma di Telecom Italia che dal 2009 aiuta le idee innovative a trasformarsi in impresa, supportando in modo diretto la nascita e lo sviluppo delle startup. Questo programma - che ha l'intento di far crescere e sviluppare una specie di Silicon Valley italiana - assegnerà 30 grant d’impresa del valore di 25.000€ ciascuno in ambito internet, digital life, mobile evolution e green. I grant d’impresa sono destinati a team di startupper alla ricerca dei primi capitali per il proprio progetto di impresa, allo scopo di completare il proprio MVP – Minimum Viable Project – o di effettuare i primi test di mercato.
Per il 2013 Working Capital introduce tre importanti novità: i grant passano da 20 a 30 e, inoltre:
1. per facilitare l’incontro tra startupper, investitori e community sul territorio apre tre nuovi "acceleratori" a Milano, Roma e Catania. L'acceleratore è uno spazio fisico dove viene avviato un "percorso di accelerazione" nel quale alcuni mentor supportano i team nello sviluppo della propria idea, in collaborazione con un network composto da università, incubatori e partner locali. Working Capital e accompagnerà i talenti – con gli Accelerator sul territorio – anche nella complessa fase di execution del progetto imprenditoriale. 
2. altra novità rilevante dell’edizione 2013 è il Repository WCAP, una piattaforma sviluppata in partecipazione con Kauffman Society, che rende i progetti disponibili e consultabili da parte di investitori nazionali ed internazionali. Una vera e propria community che incrocia domanda e offerta facendo incontrare investitori e portatori di idee su cui investire.
La call è stata aperta il 19 Aprile 2013 e si chiuderà il 30 settembre 2013 ma attenzione: per partecipare anche alla selezione per il programma di accelerazione è necessario caricare il proprio progetto entro e non oltre il 30 maggio 2013 ed indicare in quale delle tre sedi si desidera seguire il percorso di accelerazione.
Oltre al sito dell'iniziativa, per tenerti aggiornato e conoscere / scambiare impressioni con altre persone potenzialmente interessate come te puoi consultare la pagina facebook del programma all'indirizzo  e lasciare un commento a questo articolo. 
Quest'anno i 30 grant d’impresa saranno assegnati così: - 15 alle startup selezionate per il programma di accelerazione; - 15 alle startup che hanno partecipato alla call Grant d’impresa e non hanno partecipato al programma di accelerazione. Questa seconda selezione prenderà in considerazione sia coloro che non hanno richiesto di partecipare al programma di accelerazione, sia coloro che non sono stati ritenuti idonei.


La riforma del condominio e il fotovoltaico

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Novità in materia di produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica, tramite pannelli installati su condomini nel segno della semplificazione e della fictio juris
Il 17 giugno 2013, infatti, entrerà in vigore la riforma del condominio, che ha reso più facili le installazioni di impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da FER, mentre con la risoluzione n. 84/E l’Agenzia delle entrate ha affermato che i proventi che derivano da un impianto fotovoltaico condominiale possono essere soggetti a tassazione. 

Con la cit. risoluzione, l’Agenzia delle entrate ha risposto al quesito, postole dal GSE, concernente l’interpretazione dell’art. 28 del DPR 29 settembre 1973 (“ritenuta sui compensi per avviamento commerciale e sui contributi degli enti pubblici”). 

Nella sua risposta, l’Agenzia delle entrate richiama la circolare n. 46/E del 2007 e la risoluzione n. 13/E del 20 gennaio 2009, quindi, riepiloga quanto affermato dall’istante in merito al trattamento fiscale dei condominî, che restano estranei all’attività di produzione di energia, “in quanto gli effetti economici (percezione dei proventi) e fiscali (tassazione dei proventi) conseguenti allo svolgimento di questa attività, si producono direttamente sui condòmini”. 

Sulla base di quanto stabilito dagli artt. 1117 ss del c.c. il condominio rappresenta una particolare forma di comunione che riguarda le parti comuni dell’edificio: un ente di gestione che opera per conto dei condòmini limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condòmino.
Di conseguenza, nell’ipotesi in cui negli spazi condominiali venga realizzato un impianto fotovoltaico avente le caratteristiche che sulla base delle indicazioni rese nella citata circolare n. 46/E del 2007 configura lo svolgimento di un’attività commerciale abituale, vale a dire di potenza fino a 20 KW la cui energia prodotta risulti ceduta totalmente alla rete, oppure, di potenza superiore ai 20 KW, il condominio non può mai configurarsi come soggetto che svolge l’attività di produzione e vendita dell’energia. 

A quale soggetto, dunque, attribuire il reddito d’impresa? 

Che si sia in presenza di un’intesa verbale o di un semplice comportamento concludente, il fatto che esista un elemento oggettivo (rappresentato, nel caso de quo, dal conferimento di beni o servizi, id est dall’impianto fotovoltaico e dagli spazi comuni), e di uno soggettivo (costituito, nel caso del fotovoltaico, dalla comune intenzione di voler conseguire dei proventi) implica l’esistenza di una società di fatto, che, dal punto di vista fiscale: 
  • ai fini delle imposte dirette è equiparata alle SNC o alle SS, a seconda che abbiano, o meno, per oggetto l’esercizio di attività commerciali; 
  • ai fini dell’IVA è un soggetto passivo d’imposta ai sensi dell’art. 4, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633. 
Pertanto, l’accordo individua una società di fatto tra i condòmini.
Poiché la realizzazione dell’impianto fotovoltaico per fini commerciali – conclude l’Agenzia – rientra tra le «Innovazioni» (art. 1120 c.c.) che i condòmini possono disporre per il miglioramento o l’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni, 
“sono considerati soci della società di fatto i condòmini che hanno deliberato con la maggioranza richiesta dall’art. 1136 del codice civile, la realizzazione dell’investimento. Restano esclusi, dalla società di fatto i condòmini che non hanno approvato la decisione e che non intendono trarre vantaggio dall’investimento. In questo caso gli stessi, sulla base di quanto disposto dall’art. 1121, primo comma, ultima parte, del codice civile “sono esonerati da qualsiasi contributo di spesa”. 
Quindi, la società di fatto tra condòmini che gestisce un impianto fotovoltaico è commerciale e deve emettere fattura nei confronti del GSE, in relazione all’energia che immette in rete, e il GSE, che eroga la tariffa incentivante, deve operare nei confronti della società di fatto la ritenuta di cui all’art. 28 del DPR n. 600 del 1973 sulla tariffa relativa alla parte di energia immessa in rete. 


Pubblicate le motivazioni della sentenza della Consulta sul “caso ILVA”

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A distanza di un mese esatto dalla “semplice” dichiarazione della non incostituzionalità della legge n. 231/2012 sulla questione ILVA di Taranto, meglio nota come “salva ILVA”, riassunta in uno scarno comunicato pubblicato sul sito della Corte Costituzionale, nella tarda serata di giovedì 9 maggio 2013 è stata pubblicata sul sito della Consulta la sentenza n. 85/2013, nella quale sono contenute le motivazioni della decisione, fondate sulla ricerca costante di un “ragionevole bilanciamento” fra interessi contrapposti, figli di diritti costituzionali fondamentali (salute, ambiente, lavoro) nessuno dei quali può ergersi (o essere eretto) come prevalente rispetto agli altri. 

Nel comunicato si leggeva che la decisione era stata deliberata, tra l’altro, “in base alla considerazione che le norme censurate non violano i parametri costituzionali evocati in quanto non influiscono sull’accertamento delle eventuali responsabilità derivanti dall’inosservanza delle prescrizioni di tutela ambientale, e in particolare dell’autorizzazione integrata ambientale riesaminata, nei confronti della quale, in quanto atto amministrativo, sono possibili gli ordinari rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento”. 

Per un approfondimento, vi rimando all'articolo pubblicato venerdì scorso sul sito de "Il Quotidiano IPSOA - Professionalità quotidiana".

Qui vi voglio riportare la massima relativa al bilanciamento fra diritto alla salute, all'ambiente e al lavoro.

Il bilanciamento fra la tutela della salute, del lavoro e dell’ambiente costituisce il nucleo centrale della sentenza. 
La ratio della normativa censurata, sottolinea la Consulta, consiste nella realizzazione di un “ragionevole bilanciamento” tra i diritti evocati, che si trovano – come tutti i diritti fondamentali tutelati in Costituzione, “in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. 
La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro”, perché se così non fosse “si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona”. 

Per questi motivi, la Corte Costituzionale non ha condiviso gli assunti del GIP rimettente, in base ai quali: 
  • l’aggettivo «fondamentale», contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un «carattere preminente» del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona. Infatti, neanche la definizione, elaborata dalla stessa Consulta, dell’ambiente e della salute come valori primari implica una rigida gerarchia tra diritti fondamentali: “la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principî e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come primari dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale”; 
  • la norma censurata “annienterebbe completamente il diritto alla salute e ad un ambiente salubre a favore di quello economico e produttivo”. Il punto di equilibrio che si “condensa” nell’AIA – atto di natura amministrativa, ed in quanto tale sottoposto a tutti i rimedi previsti dall’ordinamento per la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi davanti alla giurisdizione ordinaria e amministrativa – diventa decisiva la verifica dell’efficacia delle prescrizioni (i controlli, di cui sopra), deputati a porre rimedio all’eventuale inefficacia delle prescrizioni e delle misure ivi contenute. Nel caso di specie, evidenzia con forza la Consulta, la norma censurata parte proprio dalle criticità della prima AIA, che hanno condotto all’emanazione di una seconda AIA “riesaminata”, che indica un nuovo punto di equilibrio, che consente la prosecuzione dell’attività produttiva a diverse condizioni, nell’ambito delle quali l’attività stessa deve essere ritenuta lecita nello spazio temporale massimo (36 mesi), considerato dal legislatore necessario e sufficiente a rimuovere, anche con investimenti straordinari da parte dell’impresa interessata, le cause dell’inquinamento ambientale e dei pericoli conseguenti per la salute delle popolazioni. Un equilibrio che “non è necessariamente il migliore in assoluto – essendo ben possibile nutrire altre opinioni sui mezzi più efficaci per conseguire i risultati voluti – ma deve presumersi ragionevole, avuto riguardo alle garanzie predisposte dall’ordinamento quanto all’intervento di organi tecnici e del personale competente; all’individuazione delle migliori tecnologie disponibili; alla partecipazione di enti e soggetti diversi nel procedimento preparatorio e alla pubblicità dell’iter formativo, che mette cittadini e comunità nelle condizioni di far valere, con mezzi comunicativi, politici ed anche giudiziari, nelle ipotesi di illegittimità, i loro punti di vista”. In ogni caso, non rientra fra le competenze della Corte Costituzionale quella riassumibile nel concetto di “riesame del riesame” sul merito dell’AIA, sul presupposto che “le prescrizioni dettate dall’autorità competente siano insufficienti e sicuramente inefficaci nel futuro”, perché le opinioni del giudice, anche se fondate su particolari interpretazioni dei dati tecnici a sua disposizione, non possono sostituirsi alle valutazioni dell’amministrazione sulla tutela dell’ambiente, rispetto alla futura attività di un’azienda, attribuendo in partenza una qualificazione negativa alle condizioni poste per l’esercizio dell’attività stessa, e neppure ancora verificate nella loro concreta efficacia. 
Fatte queste premesse, la Consulta conclude affermando che “la combinazione tra un atto amministrativo (AIA) e una previsione legislativa (art. 1 del d.l. n. 207 del 2012) determina le condizioni e i limiti della liceità della prosecuzione di un’attività produttiva per un tempo definito, in tutti i casi in cui uno stabilimento – dichiarato, nei modi previsti dalla legge, di interesse strategico nazionale – abbia procurato inquinamento dell’ambiente, al punto da provocare l’intervento cautelare dell’autorità giudiziaria. La normativa censurata non prevede, infatti, la continuazione pura e semplice dell’attività, alle medesime condizioni che avevano reso necessario l’intervento repressivo dell’autorità giudiziaria, ma impone nuove condizioni, la cui osservanza deve essere continuamente controllata, con tutte le conseguenze giuridiche previste in generale dalle leggi vigenti per i comportamenti illecitamente lesivi della salute e dell’ambiente. Essa è pertanto ispirata alla finalità di attuare un non irragionevole bilanciamento tra i principî della tutela della salute e dell’occupazione, e non al totale annientamento del primo”. 





I tatticismi che sterilizzano le strategie di “adattamento”

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Ogni anno, puntualmente, soprattutto (ma non solo) fra ottobre e novembre, il nostro Paese deve fare i conti i gravi problemi di dissesto idrogeologico, frutto di anni di incuria e di mancata prevenzione che, insieme ad una cementificazione selvaggia del nostro territorio, hanno reso lo “Stivale” estremamente fragile. 

Le problematiche sono sempre le stesse, così come uguali a se stessi sono i “rimedi” approntati dal legislatore di turno per tamponare gli effetti più devastanti delle “catastrofi naturali” che si abbattono sul nostro territorio: per questo la periodica “presa di coscienza” delle problematiche connesse all’assenza di una serie ed autorevole pianificazione del territorio (e del suo uso) può definirsi evanescente, perché presto: 
  • i nostri governanti mettono nel “dimenticatoio politico” quelle stesse emergenze, gettando la spugna “con gran dignità” e concentrandosi nel giustificarsi rispetto la propria inadeguatezza, che le successiva emergenza metterà nuovamente a nudo, 
  • e con loro anche chi quei governanti li condanna, nel momento del disastro, salvo immediatamente dopo chiedere loro – in cambio del voto – politiche che, se non proprio dichiaratamente permissive, chiudano un occhio e guardino altrove con l’altro sui numerosi abusi che nel frattempo perpetra, sapendo di restare impunito. 
Nel corso della seduta al Senato n. 839 del 21 novembre 2012, il Ministro dell’Ambiente ha evidenziato che di nuovo cambiamenti climatici estremi, in particolare in Toscana, in Umbria, ma anche, in parte in Liguria e nel Lazio, e contemporaneamente eventi eccezionali in Veneto, ripropongono un tema già emerso un anno fa in occasione di eventi climatici simili:
“l’evidenza di una variabilità climatica che si manifesta in particolare con eventi straordinari, soprattutto per l’intensità delle precipitazioni in tempi molto ristretti, che mettono a dura prova territori che sono attrezzati per regimi di piogge diverse e che in larga misura sono stati anche ampiamente usati nei decenni scorsi per insediamenti abitativi e produttivi che spesso sono ubicati in aree già vulnerabili allora, quando vennero insediati e che sono a maggior ragione vulnerabili ora, a fronte degli eventi climatici che si stanno verificando con una frequenza molto ravvicinata”. 
La serie storica degli eventi climatici estremi negli ultimi 15 - 20 anni in Italia mette in evidenza che i tempi di ritorno di questi eventi si verificano con una frequenza molto più ravvicinata di quanto non fosse avvenuto nei decenni precedenti: una situazione che 
“mette in evidenza una fragilità e vulnerabilità del territorio nazionale, che risulta esposto a rischi crescenti, in particolare per quanto riguarda frane e alluvioni, che sono i due eventi indicativi di una situazione di dissesto idrogeologico che ha poi varie altre forme di manifestazioni in termini di degrado del suolo, in questo caso prevalentemente legati all’alternanza di periodi di pioggia intensa e breve con periodi di siccità”, 
cioè a quei cambiamenti climatici che ancora in molti sostengono essere naturali e non invece causati dall’uomo attraverso politiche ambientali inesistenti. 

È stato calcolato che i danni sempre più rilevanti che l’Italia subisce quasi ininterrottamente dal 1980 costano mediamente 3,5 miliardi l’anno, con inevitabili effetti significativi per l’economia nazionale, e il nostro legislatore sembra essersi accorto soltanto ora dell’importanza di quello che latu sensu rientra in quello che possiamo definire “risparmio” (di energia, di risorse, di territorio), che non si traduce – come vorrebbero far credere i detrattori – in un comportamento omissivo, quasi retrogrado: al contrario, implica una visione del mondo diversa, fondata su un utilizzo consapevole e sostenibile di quelle stesse risorse “risparmiate”. 

In sostanza, il nostro legislatore sembra essersi accorto soltanto ora dell’importanza di implementare politiche di prevenzione, e non solo di parlarne. 
Da tempo, infatti, sia a livello internazionale che nazionale, si parla (appunto: si parla, e basta) dell’urgente necessità di implementare politiche di prevenzione. 
A livello internazionale soprattutto nella Convenzione quadro delle NU sui cambiamenti climatici e nella Conferenza delle Parti delle NU sui cambiamenti climatici, che hanno riconosciuto l’importanza di conferire alle misure di adattamento la stessa priorità conferita a quelle per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. 

A livello italiano, in particolare: 
  1. il TUA ha previsto la ripartizione del territorio nazionale in otto distretti idrografici e l’istituzione di un’Autorità di bacino distrettuale per ogni distretto idrografico (artt. 63 e 64), e ha stabilito che i piani di gestione dei bacini idrografici tengano conto degli impatti dei cambiamenti climatici; 
  2. il D.Lgs n. 49/10 ha evidenziato la necessità di integrare l’adattamento ai cambiamenti climatici nelle strategie per ridurre il rischio alluvioni; 
  3. la Strategia nazionale per la biodiversità dell’ottobre 2010 ha incluso fra gli obiettivi strategici l’adozione di misure per l’adattamento il rafforzamento della resilienza degli ecosistemi naturali e seminaturali ai cambiamenti climatici; 
  4. il D.Lgs n. 190/10 ha previsto come misura prioritaria delle politiche per l’ambiente marino l’adattamento ai cambiamenti climatici. 
Alla fine dell’anno scorso, sulla base di alcune considerazioni, volte in particolare a mettere in rilievo che: 
  • le evidenze delle modificazioni del clima richiedono prioritariamente l’aggiornamento dei PAI (Piani di Assetto Idrogeologico), nell’ambito di una più estesa valutazione della vulnerabilità del territorio nazionale ai cambiamenti climatici; 
  • l’amplificarsi in intensità e frequenza degli eventi estremi richiede azioni immediate per mettere in sicurezza il territorio; 
  • l’attuazione di azioni/misure di adattamento coinvolge settori socio-economici particolarmente dipendenti dalle condizioni meteo-climatiche, e che pertanto è necessario avviare un dialogo strutturato con le parti interessate, 
il Ministero dell’ambiente ha inviato al CIPE una bozza di linee di un strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio, composta di due articoli.

Nel primo (“Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio”), si stabilisce che: 
  • sulla base del “rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici” – che costituisce la premessa alla strategia, e viene aggiornato ogni 4 anni – entro il 1° marzo 2013 il Ministro dell’ambiente, d’intesa con il MIPAF e il MEF, e sentita la Conferenza unificata, dovrà presentare al CIPE la Strategia Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici: 
  • entro il 31.12.2013 dovranno essere aggiornati, da parte delle Autorità di Bacino dei distretti idrografici, i PAI, in attuazione della direttiva “alluvioni” (2007/60/CE). 
La Strategia dovrà tener conto di dieci priorità di intervento, che possono essere suddivise in cinque diverse “aree tematiche”:
  1. contenimento dell’uso del territorio, attraverso la limitazione degli usi a fini urbani e produttivi delle zone individuate ad alta vulnerabilità dai PAI e il contenimento del consumo del suolo; 
  2. gestione delle acque, mantenendo i corsi d’acqua attraverso interventi di regimazione idraulica, di ricalibratura e di pulizia degli alvei e accrescendo la resilienza dei centri urbani; 
  3. recupero di brownfields, privilegiando la promozione di attività agricole di qualità, misure di riforestazione con specie autoctone e di valorizzazione degli ecosistemi, e ripristino della gestione dei suoli nelle aree più esposte al rischio di frane (terrazzamenti e coltivazioni dedicate); 
  4. manutenzione boschi, mediante l’estensione delle disposizioni di cui alla legge-quadro in materia di incendi boschivi (L. n. 353/2000), anche per finalità connesse alla sicurezza idrogeologica, e il miglioramento della gestione dei boschi demaniali, “considerati quali primarie infrastrutture verdi”; 
  5. identificazione delle misure più appropriate per ridurre la vulnerabilità delle coste, aumentare la resilienza delle aree costiere ai cambiamenti climatici e proteggere le infrastrutture e gli ambienti costieri, e l’impiego delle informazioni climatiche nella programmazione territoriale e delle infrastrutture strategiche per il Paese. 
Al fine della sua attuazione, sono individuate tre azioni prioritarie :
  1. il CIPE dovrà approvare, entro il 1 marzo di ogni anno a partire dal 2014, un piano annuale di interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici e la messa in sicurezza del territorio; 
  2. dovrà essere costituito, per il periodo 2013-2020, un fondo nazionale per finanziare il piano, di cui al punto precedente, attraverso il 40% dei proventi derivanti dalle aste dei permessi di emissione di cui alla direttiva europea 2009/29/CE e un prelievo, determinato annualmente, su ogni litro di carburante consumato (fino al raggiungimento di 2000 milioni € all’anno); 
  3. il Governo dovrà approvare, entro il 31 marzo 2013, di un disegno di legge per l’introduzione di un’assicurazione obbligatoria per la copertura dei rischi connessi agli eventi climatici estremi a carico di beni e strutture di proprietà pubblica e privata. 
Nel secondo (“misure urgenti di salvaguardia”) si prevede la futura costituzione delle autorità di bacino distrettuali ai sensi dell’art.63 del TUA.

Secondo un aforisma dello stratega cinese Sūnzǐ
“la strategia è la via del paradosso. Così, chi è abile, si mostri maldestro; chi è utile, si mostri inutile. Chi è affabile, si mostri scostante; chi è scostante, si mostri affabile”. 
Parafrasando questo aforisma, si potrebbe dire che, paradossalmente, “chi vuol governare [id est: prendere decisioni difficili e scomode, e per questo spesso impopolari] proponga continuamente strategie”: è quello che da sempre il nostro legislatore si impegna a fare, salvo dimenticarsi che oltre le strategie, indispensabili per una programmazione teorica di lungo periodo, occorre predisporre delle tattiche, altrettanto indispensabili per pianificare al meglio le singole azioni pratico-applicative di quelle strategie, tenendo conto di tutte le contingenze.

Tra l’altro, dopo lustri di chiacchiere, le strategie sembrano aver perso quel dinamismo intrinseco ad ogni programmazione/sogno di lungo periodo: anche perché, a distanza di quasi sette anni dall’entrata in vigore del TUA – che inter alia prevedeva la costituzione delle autorità di bacino distrettuale entro il 30 aprile 2006 – fa sorridere pensare che la loro futura costituzione sia inserita nella “strategia” per l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Così come fa sorridere pensare che possa essere considerato strategico finanziare “un” piano annuale di interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici e la messa in sicurezza del territorio attraverso un prelievo su ogni litro di carburante venduto: è qualcosa di già “veduto”.

L’“adattamento ai cambiamenti climatici”, poi, è il simbolo di una politica passiva che – anziché dettare i tempi delle proprie scelte programmatiche e sostenibili – insegue al ribasso strategie stantie, rimandando al futuro:

  • non solo (anche) la nuova assicurazione obbligatoria, necessaria “per consentire a chiunque viva o lavori nelle aree a rischio idrogeologico di avere la certezza del risarcimento in caso di danni, per ridurre i costi dei premi assicurativi e per non gravare sulle tasche di tutti gli italiani attraverso i risarcimenti con fondi pubblici”, 
  • ma anche l’adozione di atti, provvedimenti, normative attraverso tatticismi che, dopo tanto affannarsi, ci lasciano la non piacevole sensazione di essere sempre fermi al punto di partenza. 
È tattico adattarsi medio tempore ai cambiamenti climatici: la strategia consiste nel fare in modo che cambi la velocità con la quale i cambiamenti climatici avvengono e, soprattutto, nell’agire sulle cause che li hanno determinati: cioè sul nostro modo paradossale di perpetrarle, invece di applicarle, le strategie…