La prima sentenza sul reato di inquinamento ambientale: la Cassazione offre un primo spunto interpretativo

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La confusa vittoria di Pirro della legge sugli ecoreati 
Nel commentare la nuova normativa sugli ecoreati, un paio di anni fa nelle pagine della rivista Ambiente e sicurezza sul lavorohttps://www.insic.it/Rivista-Ambiente-e-Sicurezza-sul-lavoro (EPC) sono stati evidenziati i limiti di una riforma che, al di là dei titoloni e di una certa propaganda, e al netto dei condivisibili e condivisi propositi, si era dimostrata ampiamente rimaneggiata, anche e soprattutto perché figlia del consueto modus legiferandi, infarcito di: 
  • vaghezze terminologiche (come misurare e quantificare la compromissione o il deterioramento significativi e misurabili […] e le porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo?);
  • elementi contraddittori (ve lo ricordate l’avverbio “abusivamente”?); 
  • sconti (ulteriori, rispetto a quelli originariamente previsti) di pena; 
  • possibilità di “eliminare la contravvenzione” e di “restringere sostanzialmente” il campo di applicazione della disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale; 
ed accompagnato dal mutamento del ruolo del tecnico della PA, dal ruolo (e dal potere) concesso di fatto al contravventore (che può chiedere che il termine stabilito dall’organo di vigilanza per la “regolarizzazione” possa essere prorogato fino a sei mesi), e via discorrendo. 

A due anni di distanza la Cassazione (n. 46170/2016) si è pronunciata per la prima volta su uno dei temi “caldi” della legge n. 68/2015: quello relativo alla fattispecie a cavallo fra il disastro ambientale e “i fatti di minore rilievo”, ovvero il nuovo delitto di “inquinamento ambientale”. 
E lo ha fatto con una sentenza che, pur mettendo alcuni puntini sulle “i”, mette soprattutto in rilievo (in filigrana) le difficoltà – da parte degli organi giudiziari – di interpretare le nostre leggi, e di contestarle in modo adeguato. 
La prima sentenza della Cassazione sull’inquinamento ambientale: a) i fatti 
 La sentenza trae origine da un’istanza di riesame contro un decreto di sequestro preventivo avente ad oggetto una porzione di fondale ed un cantiere a La Spezia: il reato ipotizzato era quello di cui all’art. 452-bis del codice penale, ovvero il nuovo reato di “inquinamento ambientale”. 
In estrema sintesi – questa era l’ipotesi accusatoria – una società avrebbe omesso di rispettare le norme contenute nel progetto di bonifica dei fondali di due moli. 
Norme che prevedevano particolari accorgimenti per limitare l’intorbidimento delle acque. 
Il Tribunale, in particolare, aveva precisato che: 
  • erano stati registrati “elementi di torbidità estremamente elevati e superiori al consentito”; 
  • era stata rilevata una significativa contaminazione di metalli pesanti ed idrocarburi policiclici aromatici; 
  • vi era la piena consapevolezza, da parte dei responsabili dell’azienda incaricata dei lavori, della condotta abusiva; 
  • le modalità di esecuzione dei lavori erano conseguenza di una precisa scelta imprenditoriale, il cui fine era quello di concludere celermente l’intervento, abbattendo i costi ed ottenendo, così, un maggiore profitto e che detta attività, all’atto del sequestro, si era protratta per oltre dieci mesi. 
“Sulla base dei dati appena sintetizzati”, tuttavia, conclude la Cassazione la parte in fatto, “dunque, il Tribunale ha fondato il proprio giudizio, escludendo la sussistenza del fumus del reato per le ragioni indicate in premessa ed oggetto di censura in ricorso”
Ma dal testo della sentenza, sopra sintetizzato, si fa al contrario fatica a capire siano tali ragioni, e soprattutto il perché di una tale decisione: sta di fatto che, in ogni caso, la Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza, per i motivi che riassumerò nel prossimo paragrafo. 
b) l’interpretazione dell’art. 452-bis del codice penale: l’abusività della condotta; i riferimenti quantitativi e la (tendenziale?) irrimediabilità 
Tralasciando, in questa sede, l’analisi dettagliata di quanto detto dalla Cassazione in merito all’ipotizzato (dal PM) travalicamento, da parte del Tribunale del riesame, dell’ambito della cognizione ad esso attribuita dalla legge, occorre focalizzare l’attenzione sulla correttezza dell’interpretazione offerta dagli stessi giudici del riesame in merito all’art. 452-bis del codice penale. 
La Corte richiama una copiosa giurisprudenza, che ha affermato che “quanto alla valutazione sull'elemento soggettivo del reato si è ripetutamente affermato che il controllo demandato al giudice del riesame sulla concreta fondatezza dell'ipotesi accusatoria secondo il ricordato parametro del fumus del reato può riguardare anche l'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purché di immediato rilievo (ex multis, Sezione 6, n. 16153 del 6 febbraio 2014). Il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente dall'accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all'adozione della misura cautelare reale (Sezione 6, n. 45908 del 16 ottobre 2013) Sulla base di tali premesse, la Cassazione ha ritenuto che “il Tribunale ha certamente fatto buon uso dei suddetti principi […] procedendo ad una completa verifica della sussistenza degli elementi costitutivi del reato ipotizzato, tra i quali ovviamente rientra anche l'evento, che però ha motivatamente escluso. Di conseguenza – chiosa la Cassazione – il Tribunale non ha travalicato i limiti della propria cognizione e non ha operato una valutazione piena del merito, essendosi limitato a rilevare l'assenza di una compromissione o di un deterioramento consistente e quantificabile
In considerazione dell’importanza del tema, dapprima la Cassazione ha effettuato un richiamo riassuntivo alla nuova normativa, quindi ha: 
  1. evidenziato che il Tribunale ha ritenuto sussistente il requisito della "abusività" della condotta;
  2. ricordato (in relazione la requisito dell’abusività della condotta, richiesto anche da altre disposizioni penali, come il traffico illecito di rifiuti), che “sussiste il carattere abusivo qualora essa si svolga continuativamente nell’inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorché tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati”. Si tratta di principî senz’altro utilizzabili anche in relazione al delitto di inquinamento ambientale, precisa la Cassazione: del resto anche la dottrina “ha riconosciuto un concetto ampio di condotta abusiva, comprensivo non soltanto di quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative”
  3. sottolineato che le acque sono espressamente contemplate dall’articolo 452-bis Codice penale senza alcun riferimento quantitativo o dimensionale, anche se “l’estensione e l’intensità del fenomeno produttivo di inquinamento ha comunque una sua incidenza, difficilmente potendosi definire «significativo» quello di minimo rilievo, pur considerandone la più accentuata diffusività nell’aria e nell’acqua rispetto a ciò che avviene sul suolo e nel sottosuolo”
Sulla base di queste premesse – sintetizza la Cassazione – il Tribunale ha messo in dubbio il fatto che l’esito delle condotte accertate abbiano effettivamente determinato quella compromissione o un deterioramento significativi e misurabili che la norma richiede, e che la Cassazione analizza nel prosieguo della sentenza, qui di seguito sintetizzati. 
Innanzitutto, la Cassazione precisa che, nell’individuazione del significato concreto da attribuire ai termini «compromissione» e «deterioramento» non assumono decisivo rilievo né la denominazione di «inquinamento ambientale» attribuita dal Legislatore al reato in esame, né la definizione di inquinamento di cui al Testo Unico Ambientale né, infine, l’utilizzazione del medesimo termine in altre discipline di settore. 
E allora “l’indicazione dei due termini con la congiunzione disgiuntiva «o» svolge una funzione di collegamento tra i due termini — autonomamente considerati dal Legislatore, in alternativa tra loro — che indicano fenomeni sostanzialmente equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione, ossia in una modifica dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema caratterizzata, nel caso della «compromissione», in una condizione di rischio o pericolo che potrebbe definirsi di «squilibrio funzionale», perché incidente sui normali processi naturali correlati alla specificità della matrice ambientale o dell’ecosistema ed, in quello del deterioramento, come «squilibrio strutturale», caratterizzato da un decadimento di stato o di qualità di questi ultimi”. 
Detto altrimenti, secondo la Cassazione: 
  • non assume rilievo l’eventuale reversibilità del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi di distinzione tra l’inquinamento ambientale e il disastro ambientale
  • l’assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni (o perché no, a particolari metodiche di analisi) consente anche di escludere l’esistenza di un vincolo assoluto per l’interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, anche se tali parametri rappresentano comunque un utile riferimento … 
Il Tribunale, invece ha ritenuto di qualificare i richiesti requisiti della compromissione o del deterioramento come condizione di «tendenziale irrimediabilità» - caratterizzata da «situazioni di strutturali e non provvisorie inabilità del bene rispetto alle sue funzioni», evidenziando anche la rilevanza del danno che caratterizza la condotta – che invece la norma non prevede. 
E, secondo la Cassazione, le “pur accurate” osservazioni non bastano, perché fondate su un presupposto errato. 
Per questo motivo ha annullato l’ordinanza con rinvio, con una sentenza che, in fin dei conti ha messo qualche puntino sulle “i”, ha “rimesso in gioco” l’esito di questa vicenda e contiene indicazioni che sono di sicuro aiuto, anche se non sufficienti, all’interprete. 
Ma in ogni caso, e “per come siamo messi”, con questa normativa non si può prescindere da valutazioni tecniche “molto spinte”: 
  • sia nel merito (discrezionalità e incertezza la fanno da padroni, in questo ambito) 
  • che nelle tempistiche (molto lunghe, in ogni caso lontane anni luce dalle esigenze di celerità, almeno teorica, della giustizia), 
che non aiutano alla comprensione (e alla risoluzione) delle problematiche ambientali, specie se: 
  • connesse, come nel caso analizzato nella sentenza, con una “significativa contaminazione di metalli pesanti” e 
  • caratterizzate dalla “piena consapevolezza” della condotta abusiva e dalla correlata “precisa scelta imprenditoriale”, volte ad abbattere i costi, nella “speranza” di non essere beccati o, alla mal parata, di poter dire di inquinare in modo non “tendenzialmente irreversibile”, e sfangarla alla stregua di un fatto di minor rilievo…


Prevenire costa meno che curare: la consulenza giuridica in materia di diritto dell'ambiente

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Avete un’attività di gestione di rifiuti?

Bene, allora sapete già che dovete tenervi informati, conoscere ogni novità normativa, innanzitutto, ma anche giurisprudenziale: le principali sentenze in materia di rifiuti emesse da Cassazione, TAR e Consiglio di Stato.
Dovete insomma essere sempre sul pezzo.

La normativa in materia di gestione dei rifiuti è complessa? Non posso che essere d’accordo con voi.
Ma deve essere applicata, e dinnanzi ad un giudice – perché è facile finire, anche inconsapevolmente, nelle maglie della giustizia – non potete invocare la complessità della normativa per sfuggire alle sanzioni, amministrative o penali che siano.

Ma procediamo con calma, e per gradi.

Il diritto dell’ambiente continua ad essere aggiornato, modificato, integrato, integrato e sostituito: questa situazione, unita al fatto che possono esistere discipline differenti da regione a regione, e che anche la normativa nazionale è scritta in modo non sempre chiaro, non facilita certo la sua osservanza e la sua applicazione.
In altri termini, è estremamente facile sbagliare ed incorrere in sanzioni, ma la complessità e la nebulosità della normativa non sono motivazioni valide per sfuggire alle sanzioni.
Non si può ricorrere alla buona fede, per difendersi innanzi al giudice.

Di recente, due sentenze della Cassazione (n. 2996/2017 e n. 2246/2017) hanno ribadito questo concetto fondamentale, che vale per chi gestisce in modo professionale i rifiuti, ma è applicabile a tutti coloro che, a diverso titolo, devono sottostare alle stringenti regole del diritto dell’ambiente.

I due protagonisti delle sentenze avevano effettuato:
  • in un caso, attività di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi, e
  • nell’altro, raccolta, trasporto e commercio non autorizzati di rifiuti metallici,
in assenza di titolo autorizzativo e di iscrizione nell’Albo Nazionale dei Gestori ambientali.

Varie le motivazioni addotte dagli imputati, che facevano leva proprio sulla buona fede:
“è poco che mi occupo di queste faccende”;
“la normativa è complicata e presenta rilevanti connotati di equivocità”
“si tratta di errore inevitabile”;
“i rifiuti trattati sono pochi”,
e così di seguito …..

Secondo la Cassazione tali argomentazioni sono estremamente generiche: la Corte non arriva a dire che si tratta di un atteggiamento infantile, ma il senso è quello.

Si tratta, e qui esprimo la mia opinione frutto di oltre 15 anni di esperienza nella consulenza giuridica in materia di diritto dell’ambiente, di un atteggiamento che deriva da un approccio anacronistico rispetto alle problematiche connesse con la gestione del rischio ambientale.

La prima obiezione che mi viene mossa quando prospetto ai clienti – non importa se di grandi o piccole dimensioni – l’ipotesi di costruire un sistema di gestione ambientale è la seguente:
“si, ma qui vedo solo costi, che dovrei sostenere per far fronte a situazioni del tutto eventuali…”

È una reazione che io definisco “miopia prospettica d’impresa”, e che consiste nell’aver una scarsissima visione di medio-lungo periodo del proprio business.

Di fronte a questa prima reazione propongo un’argomentazione più pratica: prescindiamo per un momento dalle “motivazioni ambientalistiche”, dal quanto ciascuno di noi tenga alla salvaguardia del pianeta, e passiamo alle motivazioni meramente economiche.
Il portafoglio.

Prevenire è importante perché non si prevengono solo “generici danni all’ambiente” – un concetto per molti ancora troppo astratto – ma soprattutto perché si prevengono i danni economici (che ci sono sempre), quelli di immagine, per non parlare dei contenziosi con le Pubbliche Amministrazioni…

Prevenire è meglio che curare, sintetizzava con efficacia una pubblicità di tanti anni fa.

E aggiungo che, a conti fatti, prevenire costa meno che curare, da qualsiasi angolo visuale voi vogliate guardare la situazione.

In ogni caso, ci pensa la Cassazione a ricordarvelo.
Cassazione che, nel redigere il testo delle sentenze, sembra quasi ispirarsi ad Arthur Donan Doyle, che ne “Le avventure si Sherlock Holmes” sosteneva che “nulla è più innaturale e sfuggevole dell’ovvio”. 

Perché ciò che è ovvio per un soggetto (ad esempio, il legislatore, nel momento in cui legifera), può non esserlo, e spesso non lo è, per un altro (ad esempio, per gli operatori del settore, nell’ osservare le leggi).
E in assenza di una normativa chiara, potete presumere di poter agire correttamente, salvo poi scoprire che ciò che consideravate corretto era in realtà frutto di una vostra libera (o giustificabile) interpretazione.
Con tutte le conseguenze burocratiche, amministrative, temporali, sanzionatorie ed economiche del caso.

Il punto focale è, allora, probabilmente proprio quest’ultimo: presumere troppo, supporre. Ovviamente in buona fede, anziché chiedere aiuto ad uno specialista del diritto ambientale. Come me.
Perché, allora, non affidarvi ad uno specialista in grado di prevedere, e di prevenire i danni?
*°*
Ecco alcuni passi delle due sentenze.

In tema di ignoranza della legge penale, la Corte (n. 2996/2017) afferma che “per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia.
Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica.
Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto“(Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 19788501)”.

Avete capito?
Un comportamento positivo consiste proprio nell’adottare misure di prevenzione e di gestione del rischio ambientale, avvalendosi di esperti giuristi ambientali.

Comunque, prosegue la Cassazione: 

  •       l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale non si configura quando l’agente svolge una attività in uno specifico settore rispetto al quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente, e 
  •    l’ignoranza, da parte dell’agente, sulla normativa di settore e sull’illiceità della propria condotta è idonea ad escludere la sussistenza della colpa se indotta da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della pubblica amministrazione, ovvero ad una precedente giurisprudenza assolutoria o contraddittoria o ad una equivoca formulazione del testo della norma.
Inoltre, la prova della sussistenza della buona fede deve essere fornita dall’imputato, il quale ha anche l’onere di dimostrare di avere compiuto tutto quanto poteva per rispettare la norma violata.

E infine: né il carattere di frammentarietà di una disciplina normativa, né il fatto che sull'applicazione della stessa si siano formati diversi orientamenti, tanto da giustificare l'emanazione di una norma di interpretazione autentica, possono essere invocati a causa di ignoranza incolpevole della legge penale, o comunque della legge integratrice del precetto penale, facendo venir meno l'elemento soggettivo del reato, quando il soggetto che svolga professionalmente una specifica attività non abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e per informarsi in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, con ciò adempiendo allo stringente dovere di informazione sullo stesso gravante (Cassazione Penale, n. 2246/2017).

Ne va del vostro futuro, e della vostra serenità.

Prevention is now, before tomorrow


Consulenza in materia di sicurezza alimentare

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Negli ultimi due anni ho scritto diversi articoli in materia di sicurezza alimentare (in fondo al post troverete alcuni riferimenti). Inoltre, sto lavorando ad un e-book, che presto sarà pubblicato.

Le norme in materia di sicurezza alimentare, infatti, stanno diventando sempre più stringenti, e c’è sempre più bisogno di un’attività di consulenza specifica, perché:
-      la burocrazia è lenta e macchinosa;
-      i controlli (quando ci sono) sono asfissianti;
-      ipertrofica, e spesso frammentaria, è la legislazione italiana.

Consulenza in materia di sicurezza alimentare che, con il passare degli anni, Natura Giuridica ha affiancato a quella, tradizionale, di consulenza ambientale.

Sono molte le domande che i clienti mi pongono, per esempio quelle che riguardano la buona fede nel settore della sicurezza alimentare e la delega di funzioni.

Partiamo dalla prima: il fatto che spesso le prescrizioni imposte da una norma sono generiche (come quelle dettate dall’art. 5 della legge n. 283/1962, in materia di conservazione degli alimenti), non costituisce un’esimente, o almeno un’attenuante alla responsabilità?

Assolutamente no.
La Cassazione ha affermato, al riguardo, proprio in relazione all’ipotesi di reato prevista dall’art. 5 lett. d) della legge n. 283/62, che la norma contiene in sé la nozione di:

  • “nocività”, intesa con riferimento a quelle sostanze alimentari che possono creare un pericolo per la salute pubblica per non essere genuine, e quella di
  • “alterazione”, e cioè della presenza di un processo modificativo di una sostanza alimentare che diviene altra da sé per un fenomeno di spontanea degenerazione.

Non si tratta pertanto di una norma penale in bianco, dovendosi considerare le eventuali indicazioni contenute in circolari del Ministero della Sanità un parametro scientificamente valido al quale ancorare il giudizio (ex multis, v. Cass. Pen., n. 11828/1997, e da ultimo, Cass. Pen., n. 4522/2017).
Per sostanze alimentari “comunque nocive” devono intendersi quelle che possono arrecare un concreto pericolo alla salute dei consumatori, desumibile dal giudice non soltanto nell’ipotesi di superamento dei limiti massimi di concentrazione dei contaminanti alimentari stabiliti dalla legge - che costituisce un solido elemento indiziario in ordine alla idoneità della sostanza rinvenuta a determinare un “vulnus” alla salute degli eventuali fruitori del prodotto - ma anche da altri elementi, purché il relativo apprezzamento sia sul punto adeguatamente e logicamente motivato (Cass. Pen., n. 14483/2016).
Inoltre, il cattivo stato di conservazione degli alimenti ai fini della contravvenzione può essere accertato dal giudice di merito senza dover esperire una perizia tecnica ma in base a dati obiettivi del fatto (Tribunale di Napoli, sez. I  26 settembre 2016 n. 1813).

Quanto alla seconda (“La delega di funzioni nell’esercizio di un’attività di impresa esonera il titolare dalla responsabilità penale connessa alla posizione di garanzia?”), occorre premettere che il D.Lgs n. 155/1997 stabiliva che il responsabile dell’industria alimentare era il titolare o il responsabile specificatamente delegato: per la validità della delega occorreva rispettare specifici requisiti di tipo:
-  oggettivo (dimensioni dell’impresa; effettivo trasferimento dei poteri, con autonomia decisionale, gestionale ed economica; norme interne di disciplina del conferimento della delega) e
-   soggettivo (capacità ed idoneità tecnica del soggetto delegato; divieto di ingerenza del delegante) (Cassazione, 23.4.96, Zanoni).

In passato, in molte sentenze si è pretesa la forma scritta della delega; tuttavia, tale orientamento è stato superato dalla successiva giurisprudenza, che ha evidenziato che, diversamente da quanto accade per le responsabilità connesse agli obblighi relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro, nel diritto penale alimentare non vi è una norma che richiede la delega scritta.
In sostanza, in tema di vendita di sostanze alimentari, il titolare dell'impresa è esonerato da responsabilità solo se fornisce la prova del conferimento espresso, inequivoco e certo di una delega di funzioni ad una persona:

  • tecnicamente capace;
  • dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento;
  • che abbia accettato lo specifico incarico.

  • Tutto ciò, a prescindere dalla forma orale o scritta dell'atto.

    Di recente, tuttavia, la Cassazione, sotto la vigenza della nuova normativa (D.Lgs n. 193/2007) è tornata sui suoi passi, affermando che la delega di funzioni nell'esercizio di un'attività di impresa esonera il titolare dalla responsabilità penale connessa alla posizione di garanzia soltanto se è conferita per iscritto al delegato, essendo inidonea l'attribuzione in forma orale (Cass., n. 16452/2012; n. 6872/2011): di conseguenza, la responsabilità del delegato deve essere esclusa nel caso in cui vi sia l'attribuzione meramente verbale di una qualifica, non accompagnata dalla specifica individuazione delle funzioni e delle responsabilità che a tale qualifica conseguono.

    Concludo suggerendovi qualche approfondimento in materia di sicurezza alimentare (si tratta di articoli che ho pubblicato per la rivista Ambiente & Sviluppo, edita da IPSOA).


    La “nuova” normativa sugli OGM: quando oggi è già ieri, in Ambiente & Sviluppo, IPSOA, n. 2/2017

    Il TTIP: le ragioni (e i torti) del sì e del no, in Ambiente & Sviluppo, IPSOA, n. 11/2016



    La giurisprudenza alimentare ai tempi di EXPO 2015 e il ruolo del legislatore”, in Ambiente & Sviluppo, IPSOA, n. 7/2015




    Cross border transport of waste: domiciliation and all the administrative services for foreign companies that transport waste.

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    With the Legislative Decree n. 205/2010 was introduced, for foreign companies who want to import or export waste to/from Italy, the obligation:
    • to register in the National Register of Environmental Operators (ANGA);
    • to open a secondary office in Italy.
    To simplify as much as possible this last procedure, the ANGA’s register issued a circular that made equivalent to the opening of a secondary office the so-called domiciliation, with the ability to send and receive postal correspondance to and from that place.
    This means that the company does not have to open a secondary office in Italy, with all the rental and management costs that involves a secondary office, but may simply elect a domiciliary, where they can receive all correspondence, and handle all the practices.

    Natura Giuridica is a company that provides environmental consulting and administrative services to foreign companies that do import and export of waste into / from Italy. 
    Warning: please note that major changes are underway in this area.
    Update: please note that in the field of cross-border transport of waste in July 2016 the ANGA’s register with a new resolution has established new operational criteria for foreign companies that transport waste in/from Italy.
    The new discipline:
    • provides that companies that wishing to enroll in the category 6 (“companies that perform exclusively cross-border transport of waste) must submit an application, exclusively via computer, at the regional or provincial territorial jurisdiction Section, in the event that they have secondary or elect domicile headquarters in Italy, or in the case elect domicile by e-mail address certified (Pec) to a regional or provincial section at the choice;
    • establishes the minimum provision of vehicles and personnel for the registration to category 6, which is identified on the basis of the overall payload of the vehicle in relation to the volume of waste as required by the registration classes;
    • introduces the requirement of financial standing before did not operational;
    • reiterates that - pending the decisions on the criteria for the evaluation of the professional requirements, the conditions for the engagement of technical manager and the necessary recognition of qualifications from another EU state - the post of technical director is hired by the legal representative;
    • sets a transitional provisions. In particular, companies that are already in possession of the registration receipt must submit the new application (in order to comply with the new provisions) by February 12, 2017, or within 120 days from the date of entry into force of the resolution, under penalty of removal from the register.
    Update: for companies already registered in the register on 15 October 2017, the deadline for obtaining the adjustment was postponed to 30 September 2017 (Delibera n. 5 del 2 maggio 2017 contenente la proroga del termine previsto dall’articolo 5, comma 1, della deliberazione n. 3 del 13 luglio 2016).


    Natura Giuridica, company provides environmental consulting to foreign companies that do import and export of waste into / from Italy full support for:
    • the all'A.N.G.A subscription service;
    • domiciliation;
    • the legal, administrative and technical consulting
    in order to enable the enterprise foreign to be in compliance with Italian regulations (with the tranquility of not incurring the penalties for illegal transport of waste provided for in DLg 152/2006) and containing costs to the maximum.
    In fact, it is considerably cheaper:
    • establish a periodic fee for the domiciliation and management of correspondence, than opening a real secondary registered office!
    • rely on specialists in this field, in order to avoid any irregularities.
    To request this service simply contact Andrea Quaranta, owner of Natura Giuridica and request a quote.

    Do not let your cross-border transport of waste is left to chance: please contact us and we'll follow you and will work alongside you step by step in your business.

    And remember: prevention is now, before tomorrow.

    La comunicazione di informazioni di carattere non finanziario: gli aspetti ambientali

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    Sul n. 7/2017 della rivista "Ambiente & Sviluppo", edita da IPSOA, è stato pubblicato un articolo che analizza la nuova disciplina sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario, che riguarda anche aspetti ambientali.
    Qui di seguito vi riporto qualche stralcio: si tratta di un argomento importante, e per una volta sembra che il legislatore abbia intrapreso la strada giusta....

    Il cambio di passo
    Il quadro che emerge dalla lettura del 12° Global Risk Report mostra che l’80% delle cinque principali minacce in termini di impatto (e due su cinque in termini di probabilità) riguardano l’ambiente: stiamo parlando degli eventi meteorologici estremi; delle crisi idriche; delle gravi catastrofi naturali e del fallimento delle politiche e delle misure di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici. 

    Da una comparazione con la “top 5” degli anni precedenti, ciò che salta subito all’occhio è il rapido aumento dei fattori ambientali, sempre più rilevanti non solo per le imprese e le famiglie, ma anche per il mondo economico, finanziario e politico. 

    La classe politica dovrebbe prendere atto che non si può più limitare al compitino delle buone azioni e dei fioretti – da comunicare più che da implementare…. – ma che occorre andare oltre, ideando nuove politiche di gestione non solo del diritto ambientale (al momento pletorico, scoordinato, male applicato, confusionario), ma anche della sua implementazione e, perché no, della sua comunicazione (purché fondata su dati, e fatti, reali e verificabili, e non su parole). 

    Nuove politiche che introducano, nell’ambito delle valutazioni globali, variabili come il capitale naturale e quello sociale, che fortunatamente, anche se con un po’ di fatica e di ritardo, cominciano ad essere considerati anche dalle imprese come parametri irrinunciabili e permanenti per una completa analisi dei rischi, degli impatti, delle strategie e delle prospettive future del proprio business

    È quello che sembra svilupparsi, in questi mesi, nel nostro Paese: l’occasione è data dal recepimento della direttiva 2014/95/UE, relativa alla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario di imprese e gruppi di grandi dimensioni, avvenuto con il D.Lgs n. 254/2016.
    La nuova disciplina, entrata in vigore lo scorso 25 gennaio, e applicabile alle dichiarazioni e relazioni riferite agli esercizi finanziari aventi inizio al 1° gennaio 2017, ha addirittura ampliato le fattispecie rispetto a quelle indicate nella direttiva europea: un fatto che “se da un lato può apparire «normale», considerando la specifica natura dei due strumenti normativi (e la loro relazione), dall’altro contrasta con la consuetudine, poiché, non di rado, il legislatore tende ad allinearsi alle disposizioni comunitarie senza discostarvisi in maniera rilevante (laddove non le ricalchi perfettamente). 
    In questo caso, invece, al di là di profili sanzionatori non trascurabili, il decreto prevede la possibilità del riconoscimento di una sorta di «attribuzione reputazionale» a enti che, pur non obbligati agli adempimenti di sustainability disclosure (dunque, imprese non di interesse pubblico né di grandi dimensioni), predispongano una dichiarazione non finanziaria conforme alle sue disposizioni” (L. Magrassi e P.P. Baldi, Disclosure di sostenibilità: D.Lgs. n. 254/2016 sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e sulla diversità”). 




    Il D.Lgs n. 254/2016 sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario: a) l’ambito di applicazione 

    In attuazione della direttiva 2014/95/UE, il D.Lgs n. 254 del 30 dicembre 2016 ha introdotto l’obbligo per alcune imprese (e alcuni gruppi di grandi dimensioni) di dichiarare – con riferimento agli esercizi finanziari aventi inizio a partire dal 1° gennaio 2017 – alcune informazioni di carattere non finanziario, fra le quali anche quelle concernenti gli aspetti ambientali



    Tabella n. 1: l’ambito di applicazione
    I soggetti
    Obbligati
    Enti di interesse pubblico
    Società italiane emittenti valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati italiani e dell'Unione europea
    Banche
    Le imprese di assicurazione autorizzate (imprese di assicurazione italiane), ovvero le società aventi sede legale in Italia e la sede secondaria in Italia di imprese di assicurazione aventi sede legale in uno Stato terzo, autorizzate all'esercizio delle assicurazioni o delle operazioni di cui all'articolo 2 del codice delle assicurazioni private (D.Lgs n. 209/2005)
    Le imprese di riassicurazione (le società autorizzate all'esercizio della sola riassicurazione, diverse da un’impresa di assicurazione o da un’impresa di assicurazione extracomunitaria, la cui attività principale consiste nell'accettare rischi ceduti da un’impresa di assicurazione, da un’impresa di assicurazione avente sede legale in uno Stato terzo, o da altre imprese di riassicurazione), con sede legale in Italia.
    Le sedi secondarie in Italia delle imprese di riassicurazione extracomunitarie.
    Gli enti di interesse pubblico che siano società madri (i)di un gruppo di grandi dimensioni (ii)
    Non obbligati
    I soggetti diversi dagli enti pubblici economici che volessero effettuare la dichiarazione di carattere non finanziario su base volontaria.
    Quando
    Ogni esercizio finanziario
    Cosa
    Dichiarazione individuale/consolidata di carattere non finanziario
    Condizioni
    Gli enti obbligati:

    devono aver avuto, in media durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a cinquecento
    devono aver superato, alla data di chiusura del bilancio, almeno uno dei due seguenti limiti dimensionali
    totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 di euro
    totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000 di euro
    (i) l’impresa, avente la qualifica di ente di interesse pubblico, tenuta alla redazione del bilancio consolidato ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 1991, n.127, o alla redazione del bilancio consolidato secondo i principi contabili internazionali se ricompresa nell’ambito di applicazione del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38;
    (ii)il gruppo costituito da una società madre e una o più società figlie che, complessivamente, abbiano avuto su base consolidata, in media, durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a cinquecento ed il cui bilancio consolidato soddisfi almeno uno dei due seguenti criteri:
    1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale superiore a 20.000.000 di euro;
    2) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiore a 40.000.000 di euro.
    Nota: nella relazione illustrativa viene specificato che “le definizioni di «gruppo di grandi dimensioni», «gruppo», «società madre», «società madre europea» e «società figlia», ripropongono quelle della direttiva 2013/34/UE in materia di conti annuali e consolidati e sono coerenti con quelle vigenti nell’ordinamento nazionale ai fini della redazione del bilancio consolidato. In particolare, la definizione di «società madre» è strutturata in modo da identificare il perimetro di inclusione delle controllate ai fini della relazione consolidata non finanziaria con quello che delimita il bilancio consolidato, sia nel caso di società che applica gli IAS/IFRS, ai sensi del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, sia per quelle che soggiacciono, invece, alla disciplina del codice civile e del decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127.
    Le definizioni date, pertanto, hanno valenza ai soli fini dell’assolvimento degli obblighi previsti dal decreto legislativo e non comportano l’introduzione di nuove o diverse fattispecie attinenti l’ambito definitorio del «controllo» in ambito societario che possano in qualche modo confliggere o far sorgere dubbi interpretativi sulla base di quanto previsto dall’articolo 2359 del codice civile.
    Infine, le definizioni di «standard di rendicontazione» e di «metodologia autonoma di rendicontazione» sono rivolte rispettivamente ad individuare i diversi insiemi di regole, principi e linee guida, emanati da autorevoli organismi sovranazionali, internazionali o nazionali, di natura pubblica e privata, generalmente accettati e non cogenti dal punto di vista legislativo, nonché l’insieme composito di standard di rendicontazione e criteri, principi ed indicatori di prestazione integrativi agli standard e funzionali ad adempiere agli obblighi di informativa non finanziaria e che possono costituire un modello di riferimento a cui le imprese destinatarie del provvedimento potranno uniformarsi al fine di predisporre l’informativa non finanziaria”.


    b) la dichiarazione individuale/consolidata di carattere non finanziario: contenuto, collocazione e pubblicità 

    Gli articoli 3 e 4 disciplinano, rispettivamente, la dichiarazione individuale e quella consolidata di carattere non finanziario, “nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attività di impresa/gruppo, del suo andamento, dei suoi risultati e dell'impatto dalla stessa prodotta” [...]
    Alla dichiarazione consolidata di carattere non finanziario – che comprende i dati della società madre e delle società figlie consolidate – “si applicano integralmente, in quanto compatibili”, le disposizioni relative alla dichiarazione individuale. 
    L’articolo 5 disciplina la collocazione delle dichiarazioni e le modalità pubblicazione. In particolare è data la possibilità: 
    • di includere le dichiarazioni di carattere non finanziario individuali e consolidate all’interno delle relazioni sulla gestione, o in alternativa, 
    • di costituire relazioni distinte, contrassegnate comunque da analoghe diciture. 
    L’articolo prescrive, inoltre, l’obbligo di pubblicazione presso il registro delle imprese delle dichiarazioni di carattere non finanziario individuali e consolidate, congiuntamente alle relazioni sulla gestione (individuale o consolidata) e contestualmente alla data di pubblicazione del bilancio cui fanno riferimento; nei medesimi termini, infine, è prevista la pubblicazione delle dichiarazioni non finanziarie individuali e consolidate rispettivamente sul sito internet del soggetto o della società madre che hanno predisposto i documenti, dando indicazione all’interno della relazione sulla gestione individuale o consolidata della sezione del sito internet che contiene tali dichiarazioni. 
    c) i casi di esonero 
    Il nuovo decreto prevede alcuni casi di omissioni ed esoneri dalla redazione della dichiarazione [...]
    d) il regime volontario 
     Oltre al regime obbligatorio, il D.Lgs n. 254/16 prevede la possibilità di predisporre e pubblicare dichiarazioni individuali o consolidate non finanziarie su base volontaria. In estrema sintesi, i soggetti non obbligati che: - su base volontaria, redigono e pubblicano dichiarazioni individuali o consolidate non finanziarie e - si attengono a quanto disposto dal decreto, possono apporre su dette dichiarazioni la dicitura di conformità [...]
    La sanzioni e le modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria [...]
    La strada giusta 
    I nuovi adempimenti rientrano nel processo definito “non-financial reporting”, che: 
    • fornisce le c.d. ESG (Enviromental, Social, Governance), ovvero le informazioni ambientali, sociali e di governance che integrano gli elementi economici e finanziari contenuti nel bilancio d’esercizio, e 
    • ha lo scopo di offrire a tutti gli stakeholders dell’impresa quelle informazioni che – come evidenzia anche il GRI (Global Reporting Initiative), che promuove l'uso del reporting di sostenibilità quale strumento per consentire alle imprese e alle organizzazioni di diventare più sostenibili e contribuire alla sostenibilità dell'economia globale, e che di recente ha pubblicato le “Linee guida per il reporting della sostenibilità” GRI – G4 – hanno lo scopo di assicurare la comprensione da parte degli stakeholders dell’attività d’impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa generato nei contesti ambientali, sociali, del personale, dei diritti umani e della lotta alla corruzione attiva e passiva, che vengono considerate rilevanti rispetto alle attività e alle caratteristiche specifiche dell’impresa.

    Con i suoi key performance indicators, il D.Lgs. 254/2016 sembra rappresentare un passo avanti verso il bilancio integrato – sia pure ancora limitato ad una ristretta categoria di enti di interesse pubblico – al fine di spingere il sistema produttivo e imprenditoriale verso una migliore qualità ambientale e sociale. 
    Ci sarà sicuramente tempo per analizzare approfonditamente l’impatto della nuova normativa.
    Nell’attesa, può essere utile leggere il recente studio sull’«impatto della direttiva non financial and diversity information sui bilanci delle società quotate», condotto dall’Osservatorio Socialis in collaborazione con AIAF, l’Associazione Italiana degli Analisti e dei consulenti Finanziari, con lo scopo di verificare se l’ambito di applicazione della direttiva 95/2014 sia coerente con il contesto economico italiano e, soprattutto, se possa contribuire al miglioramento della qualità della disclosure non finanziaria. 
    In sostanza, si tratta di un’opportunità o di un vincolo per le imprese italiane? 
    Nonostante sia ancora perfettibile, il decreto sembra aver imbroccato la strada giusta. 
    È vero, ci sono alcuni punti delicati.
    Uno dei punti più delicati è l’articolo 3.8 il quale indica che nella dichiarazione di carattere non finanziario possono essere omesse, in casi eccezionali, informazioni concernenti sviluppi imminenti ed operazioni in corso di negoziazione, qualora la loro divulgazione possa compromettere gravemente la posizione commerciale dell’impresa poiché in questo caso nella dichiarazione deve essere indicato con precisione che ci si è avvalsi di questa facoltà e le imprese potrebbero essere scoraggiate ad adempiervi”. In questi termini, Mauro Bellofiore, Responsabile Ufficio Analisi di Impatto della Regolamentazione CONSOB (http://www.aiaf.it/osservatorio-esg-16)
    C’è chi critica “la scarsa attenzione dedicata al tema della governance”.
    Chi evidenzia che “si poteva fare uno sforzo maggiore per diffondere di più l’informativa non finanziaria e dare quindi delle indicazioni concrete e trovare una modalità di assistenza anche per le piccole realtà aiutandole a mettere in campo dei comportamenti responsabili che spesso sono adottati in modo inconsapevole ed è importante creare questa coscienza e le grandi aziende potrebbero essere responsabilizzate a ricoprire questo ruolo coinvolgendo tutta la filiera produttiva” (in questi termini, Tiziana Pompei, Vice Segretario Generale UnionCamere. (http://www.aiaf.it/osservatorio-esg-16).”.
    Ci sono posizioni contrastanti su un tema border line come quello relativo alla scelta degli standard internazionali. 
    La CONSOB, ad esempio, dà risalto all’ampio “spazio [che] si è lasciato nella scelta degli standard internazionali e alle modalità di controllo e di approfondimento”; di conseguenza, “i primi bilanci costituiranno un test anche per la Consob stessa per valutare l’approfondimento delle tematiche non finanziarie”.
    Ed evidenzia che “all’articolo 1.g) «metodologia autonoma di rendicontazione»: viene indicata la possibilità di adottare da parte delle aziende ulteriori principi, criteri ed indicatori di prestazione, autonomamente individuati ed integrativi rispetto a quelli previsti dagli standard di rendicontazione adottati, che risulti funzionale ad adempiere agli obblighi di informativa non finanziaria previsti dal decreto legislativo e dalla direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo. Vi è quindi la possibilità di estrarre singole parti da vari standard”
     Da Prioritalia e dalla Fondazione Nazionale Commercialisti, invece, si fa notare, rispettivamente, che: 
    • per le grandi aziende vi sono ancora ambiti di miglioramento ma la grande sfida è quella di individuare ed adottare indicatori che siano comparabili, tracciabili e standardizzati; 
    • dal punto di vista tecnico importanti sono gli standard che dovrebbero essere già quelli accettati e riconosciuti a livello internazionale senza concedere spazio all’adozione di autonome metodologie. 
    Ma nel complesso la ricerca, “nata quando si parlava di Direttiva europea 2014/95/UE ed il governo italiano era impegnato nella sua traduzione in Italia” restituisce un quadro che, nonostante il livello molto elevato di discrezionalità che rende “difficile individuare una standardizzazione delle informazioni”, appare essere estremamente dinamico, e ci dimostra come tutto sommato il D.Lgs. 254/2016 venga percepito più come un’opportunità, nonostante imponga una serie di obblighi per i soggetti obbligati e, nel contempo, si limiti a prevederne la volontarietà per gli altri. 
    “Obiettivo importante è la comparabilità dei dati e le grandi aziende dimostrano già un certo grado di consapevolezza per quanto c’è ancora molto da fare. Queste informazioni sono importanti per tutti e quindi anche per le PMI e il merito del D.Lgs. 254/2016 è stato quello di aver tenuta alta l’attenzione su questi temi e di mettere un po’ di ordine”, viene sottolineato da Unioncamere, mentre da Prioritalia si evidenzia che “con riferimento al ruolo dei manager il D.Lgs. 254/2016 rappresenta un punto di non ritorno in quanto impone il passaggio da una CSR Corporate Social Responsibility reputazionale ad una CSR strategica e quindi questa è ritenuta essere una buona norma”
    Anche la CONSOB – che “si sta attivando per rispondere adeguatamente al suo ruolo di controllo richiesto dal legislatore e si sta formando una propria cultura per poter giudicare la bontà e la conformità dell’informativa non finanziaria” – pur sostenendo che “non si tratta di tematiche completamente nuove in quanto già i codici di autodisciplina per le società quotate alla Borsa Valori danno un indirizzo”, mette in risalto il fatto che “la normativa comporta sia obblighi che opportunità e se da una parte può essere vista come un impegno dall’altro un ampliamento dell’informativa agevola gli investitori nella valutazione delle società”, e “gli stessi consumatori sono favoriti in quanto sempre più prestano attenzione nella scelta dei prodotti agli impatti ambientali e sociali causati delle aziende, alle politiche del personale che attirano soggetti più qualificati e quindi il nuovo D.Lgs. 254/2016 comporta anche dei vantaggi”
    A conti fatti, nonostante sia ancora perfettibile, il decreto ha imbroccato la strada giusta. 
    Sarà importante tener conto anche dei suggerimenti (di quelli già emersi e di quelli che verranno), ma l’importante è aver cominciato questo percorso, e non essere rimasti fermi ai blocchi di partenza, nella pia illusione (nell’attesa, quindi) di trovare, fin da subito, una soluzione – che si presume perfetta – per poter risolvere questo complesso quanto affascinante tema. 
    L’importante è avere cominciato questo percorso, nel quale ci sarà sempre e solo da imparare e migliorare strada facendo, tendendo alla perfezione, certo, ma senza cedere all’ansia di raggiungerla (e, in sostanza, di rimanere immobili): perché – Salvador Dalì docet – “non [devi] aver paura della perfezione, perché tanto non la raggiungerai mai”