Materiali derivati dallo sfruttamento delle cave: quando non sono rifiuti

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La disciplina giuridica dei fanghi si pone, a livello giuridico e concettuale, a cavallo fra quella relativa alla gestione delle acque e quella sulla gestione dei rifiuti. Una particolare categoria di fanghi è quella costituita dai limi provenienti dalla c.d. “prima pulitura” dei materiali di estrazione, che vanno considerati come derivanti direttamente dallo sfruttamento della cava e non da diversa e successiva lavorazione delle materia prime. 

La disciplina giuridica dei fanghi si pone, a livello giuridico e concettuale, a cavallo fra quella relativa alla gestione delle acque e quella sulla gestione dei rifiuti. 
A mero titolo di esempio, nella parte dedicata alla disciplina degli scarichi, il TUA stabilisce che i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione, specificando che i fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato e che è vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre. 
Una particolare categoria di fanghi è quella costituita dai limi provenienti dalla c.d. “prima pulitura” dei materiali di estrazione, che vanno considerati come derivanti direttamente dallo sfruttamento della cava e non da diversa e successiva lavorazione delle materia prime. 

Il caso oggetto della sentenza della Cassazione n. 26405/13 riguarda la condanna per l’abbandono/deposito incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da fanghi derivanti da quattro vasche di decantazione e provenienti da un impianto di lavorazione degli inerti, su area sottoposta a vincolo paesaggistico.
Nell’annullare con rinvio, in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, richiesta ma non concessa senza alcuna motivazione, la Cassazione ha ritenuto non corrette le osservazione formulate circa l’insussistenza dei reati ipotizzati. 
Evidenziato il totale silenzio serbato in ordine al reato paesaggistico dal ricorrente, e il suo concentrarsi unicamente sulle violazioni contestate in materia di gestione dei rifiuti, la Suprema Corte inizia il suo ragionamento demolitorio delle pretese del ricorrente partendo dall’analisi dello specifico articolo del TUA che include nell’elenco delle esclusioni dall’ambito di applicazione della normativa – in quanto “regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento” (art. 185) – i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave (disciplinato dal D.Lgs n. 117/08).

Il percorso argomentativo della Cassazione 
Ambito di applicazione del D.Lgs n. 117/08: stabilisce le misure, le procedure e le azioni necessarie per la prevenzione e la riduzione di eventuali effetti negativi per l’ambiente conseguenti alla gestione dei rifiuti prodotti dalle industrie estrattive È disciplina speciale rispetto a quella di cui al TUA, che rimane applicabile in tutti i casi non disciplinati da quella speciale Epoca dei fatti: l’art. 185 non conteneva il richiamo al D.Lgs n. 117/08 
Ambito di operatività dell’esclusione per tale tipologia di materiali: sono esclusi dalla normativa sui rifiuti soltanto i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo produttivo dell’estrazione e connessa pulitura Lo sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali Se si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti, e il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale.

Nel caso di specie, la Cassazione non ha neanche potuto applicare i principî, sopra schematizzati, dal momento che gli accertamenti in fatto hanno rilevato che i fanghi de quibus erano non palabili o parzialmente palabili, ma in ogni caso derivanti da attività di demolizione e, pertanto, non provenienti d attività estrattiva propriamente detta, e neanche da attività ad essa connesse. 
Non è sufficiente, quindi, il generico richiamo effettuato dal ricorrente a non meglio specificate “attività di lavorazione degli inerti”: a questo proposito, occorre ricordare come, nell’applicazione di norme aventi natura eccezionale e derogatoria, rispetto a quella ordinaria in materia di gestione dei rifiuti, l’onere della prova sulla sussistenza delle condizioni di legge deve essere assolto da colui che ne richiede l’applicazione.