I tatticismi che sterilizzano le strategie di “adattamento”

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Ogni anno, puntualmente, soprattutto (ma non solo) fra ottobre e novembre, il nostro Paese deve fare i conti i gravi problemi di dissesto idrogeologico, frutto di anni di incuria e di mancata prevenzione che, insieme ad una cementificazione selvaggia del nostro territorio, hanno reso lo “Stivale” estremamente fragile. 

Le problematiche sono sempre le stesse, così come uguali a se stessi sono i “rimedi” approntati dal legislatore di turno per tamponare gli effetti più devastanti delle “catastrofi naturali” che si abbattono sul nostro territorio: per questo la periodica “presa di coscienza” delle problematiche connesse all’assenza di una serie ed autorevole pianificazione del territorio (e del suo uso) può definirsi evanescente, perché presto: 
  • i nostri governanti mettono nel “dimenticatoio politico” quelle stesse emergenze, gettando la spugna “con gran dignità” e concentrandosi nel giustificarsi rispetto la propria inadeguatezza, che le successiva emergenza metterà nuovamente a nudo, 
  • e con loro anche chi quei governanti li condanna, nel momento del disastro, salvo immediatamente dopo chiedere loro – in cambio del voto – politiche che, se non proprio dichiaratamente permissive, chiudano un occhio e guardino altrove con l’altro sui numerosi abusi che nel frattempo perpetra, sapendo di restare impunito. 
Nel corso della seduta al Senato n. 839 del 21 novembre 2012, il Ministro dell’Ambiente ha evidenziato che di nuovo cambiamenti climatici estremi, in particolare in Toscana, in Umbria, ma anche, in parte in Liguria e nel Lazio, e contemporaneamente eventi eccezionali in Veneto, ripropongono un tema già emerso un anno fa in occasione di eventi climatici simili:
“l’evidenza di una variabilità climatica che si manifesta in particolare con eventi straordinari, soprattutto per l’intensità delle precipitazioni in tempi molto ristretti, che mettono a dura prova territori che sono attrezzati per regimi di piogge diverse e che in larga misura sono stati anche ampiamente usati nei decenni scorsi per insediamenti abitativi e produttivi che spesso sono ubicati in aree già vulnerabili allora, quando vennero insediati e che sono a maggior ragione vulnerabili ora, a fronte degli eventi climatici che si stanno verificando con una frequenza molto ravvicinata”. 
La serie storica degli eventi climatici estremi negli ultimi 15 - 20 anni in Italia mette in evidenza che i tempi di ritorno di questi eventi si verificano con una frequenza molto più ravvicinata di quanto non fosse avvenuto nei decenni precedenti: una situazione che 
“mette in evidenza una fragilità e vulnerabilità del territorio nazionale, che risulta esposto a rischi crescenti, in particolare per quanto riguarda frane e alluvioni, che sono i due eventi indicativi di una situazione di dissesto idrogeologico che ha poi varie altre forme di manifestazioni in termini di degrado del suolo, in questo caso prevalentemente legati all’alternanza di periodi di pioggia intensa e breve con periodi di siccità”, 
cioè a quei cambiamenti climatici che ancora in molti sostengono essere naturali e non invece causati dall’uomo attraverso politiche ambientali inesistenti. 

È stato calcolato che i danni sempre più rilevanti che l’Italia subisce quasi ininterrottamente dal 1980 costano mediamente 3,5 miliardi l’anno, con inevitabili effetti significativi per l’economia nazionale, e il nostro legislatore sembra essersi accorto soltanto ora dell’importanza di quello che latu sensu rientra in quello che possiamo definire “risparmio” (di energia, di risorse, di territorio), che non si traduce – come vorrebbero far credere i detrattori – in un comportamento omissivo, quasi retrogrado: al contrario, implica una visione del mondo diversa, fondata su un utilizzo consapevole e sostenibile di quelle stesse risorse “risparmiate”. 

In sostanza, il nostro legislatore sembra essersi accorto soltanto ora dell’importanza di implementare politiche di prevenzione, e non solo di parlarne. 
Da tempo, infatti, sia a livello internazionale che nazionale, si parla (appunto: si parla, e basta) dell’urgente necessità di implementare politiche di prevenzione. 
A livello internazionale soprattutto nella Convenzione quadro delle NU sui cambiamenti climatici e nella Conferenza delle Parti delle NU sui cambiamenti climatici, che hanno riconosciuto l’importanza di conferire alle misure di adattamento la stessa priorità conferita a quelle per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. 

A livello italiano, in particolare: 
  1. il TUA ha previsto la ripartizione del territorio nazionale in otto distretti idrografici e l’istituzione di un’Autorità di bacino distrettuale per ogni distretto idrografico (artt. 63 e 64), e ha stabilito che i piani di gestione dei bacini idrografici tengano conto degli impatti dei cambiamenti climatici; 
  2. il D.Lgs n. 49/10 ha evidenziato la necessità di integrare l’adattamento ai cambiamenti climatici nelle strategie per ridurre il rischio alluvioni; 
  3. la Strategia nazionale per la biodiversità dell’ottobre 2010 ha incluso fra gli obiettivi strategici l’adozione di misure per l’adattamento il rafforzamento della resilienza degli ecosistemi naturali e seminaturali ai cambiamenti climatici; 
  4. il D.Lgs n. 190/10 ha previsto come misura prioritaria delle politiche per l’ambiente marino l’adattamento ai cambiamenti climatici. 
Alla fine dell’anno scorso, sulla base di alcune considerazioni, volte in particolare a mettere in rilievo che: 
  • le evidenze delle modificazioni del clima richiedono prioritariamente l’aggiornamento dei PAI (Piani di Assetto Idrogeologico), nell’ambito di una più estesa valutazione della vulnerabilità del territorio nazionale ai cambiamenti climatici; 
  • l’amplificarsi in intensità e frequenza degli eventi estremi richiede azioni immediate per mettere in sicurezza il territorio; 
  • l’attuazione di azioni/misure di adattamento coinvolge settori socio-economici particolarmente dipendenti dalle condizioni meteo-climatiche, e che pertanto è necessario avviare un dialogo strutturato con le parti interessate, 
il Ministero dell’ambiente ha inviato al CIPE una bozza di linee di un strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio, composta di due articoli.

Nel primo (“Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio”), si stabilisce che: 
  • sulla base del “rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici” – che costituisce la premessa alla strategia, e viene aggiornato ogni 4 anni – entro il 1° marzo 2013 il Ministro dell’ambiente, d’intesa con il MIPAF e il MEF, e sentita la Conferenza unificata, dovrà presentare al CIPE la Strategia Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici: 
  • entro il 31.12.2013 dovranno essere aggiornati, da parte delle Autorità di Bacino dei distretti idrografici, i PAI, in attuazione della direttiva “alluvioni” (2007/60/CE). 
La Strategia dovrà tener conto di dieci priorità di intervento, che possono essere suddivise in cinque diverse “aree tematiche”:
  1. contenimento dell’uso del territorio, attraverso la limitazione degli usi a fini urbani e produttivi delle zone individuate ad alta vulnerabilità dai PAI e il contenimento del consumo del suolo; 
  2. gestione delle acque, mantenendo i corsi d’acqua attraverso interventi di regimazione idraulica, di ricalibratura e di pulizia degli alvei e accrescendo la resilienza dei centri urbani; 
  3. recupero di brownfields, privilegiando la promozione di attività agricole di qualità, misure di riforestazione con specie autoctone e di valorizzazione degli ecosistemi, e ripristino della gestione dei suoli nelle aree più esposte al rischio di frane (terrazzamenti e coltivazioni dedicate); 
  4. manutenzione boschi, mediante l’estensione delle disposizioni di cui alla legge-quadro in materia di incendi boschivi (L. n. 353/2000), anche per finalità connesse alla sicurezza idrogeologica, e il miglioramento della gestione dei boschi demaniali, “considerati quali primarie infrastrutture verdi”; 
  5. identificazione delle misure più appropriate per ridurre la vulnerabilità delle coste, aumentare la resilienza delle aree costiere ai cambiamenti climatici e proteggere le infrastrutture e gli ambienti costieri, e l’impiego delle informazioni climatiche nella programmazione territoriale e delle infrastrutture strategiche per il Paese. 
Al fine della sua attuazione, sono individuate tre azioni prioritarie :
  1. il CIPE dovrà approvare, entro il 1 marzo di ogni anno a partire dal 2014, un piano annuale di interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici e la messa in sicurezza del territorio; 
  2. dovrà essere costituito, per il periodo 2013-2020, un fondo nazionale per finanziare il piano, di cui al punto precedente, attraverso il 40% dei proventi derivanti dalle aste dei permessi di emissione di cui alla direttiva europea 2009/29/CE e un prelievo, determinato annualmente, su ogni litro di carburante consumato (fino al raggiungimento di 2000 milioni € all’anno); 
  3. il Governo dovrà approvare, entro il 31 marzo 2013, di un disegno di legge per l’introduzione di un’assicurazione obbligatoria per la copertura dei rischi connessi agli eventi climatici estremi a carico di beni e strutture di proprietà pubblica e privata. 
Nel secondo (“misure urgenti di salvaguardia”) si prevede la futura costituzione delle autorità di bacino distrettuali ai sensi dell’art.63 del TUA.

Secondo un aforisma dello stratega cinese Sūnzǐ
“la strategia è la via del paradosso. Così, chi è abile, si mostri maldestro; chi è utile, si mostri inutile. Chi è affabile, si mostri scostante; chi è scostante, si mostri affabile”. 
Parafrasando questo aforisma, si potrebbe dire che, paradossalmente, “chi vuol governare [id est: prendere decisioni difficili e scomode, e per questo spesso impopolari] proponga continuamente strategie”: è quello che da sempre il nostro legislatore si impegna a fare, salvo dimenticarsi che oltre le strategie, indispensabili per una programmazione teorica di lungo periodo, occorre predisporre delle tattiche, altrettanto indispensabili per pianificare al meglio le singole azioni pratico-applicative di quelle strategie, tenendo conto di tutte le contingenze.

Tra l’altro, dopo lustri di chiacchiere, le strategie sembrano aver perso quel dinamismo intrinseco ad ogni programmazione/sogno di lungo periodo: anche perché, a distanza di quasi sette anni dall’entrata in vigore del TUA – che inter alia prevedeva la costituzione delle autorità di bacino distrettuale entro il 30 aprile 2006 – fa sorridere pensare che la loro futura costituzione sia inserita nella “strategia” per l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Così come fa sorridere pensare che possa essere considerato strategico finanziare “un” piano annuale di interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici e la messa in sicurezza del territorio attraverso un prelievo su ogni litro di carburante venduto: è qualcosa di già “veduto”.

L’“adattamento ai cambiamenti climatici”, poi, è il simbolo di una politica passiva che – anziché dettare i tempi delle proprie scelte programmatiche e sostenibili – insegue al ribasso strategie stantie, rimandando al futuro:

  • non solo (anche) la nuova assicurazione obbligatoria, necessaria “per consentire a chiunque viva o lavori nelle aree a rischio idrogeologico di avere la certezza del risarcimento in caso di danni, per ridurre i costi dei premi assicurativi e per non gravare sulle tasche di tutti gli italiani attraverso i risarcimenti con fondi pubblici”, 
  • ma anche l’adozione di atti, provvedimenti, normative attraverso tatticismi che, dopo tanto affannarsi, ci lasciano la non piacevole sensazione di essere sempre fermi al punto di partenza. 
È tattico adattarsi medio tempore ai cambiamenti climatici: la strategia consiste nel fare in modo che cambi la velocità con la quale i cambiamenti climatici avvengono e, soprattutto, nell’agire sulle cause che li hanno determinati: cioè sul nostro modo paradossale di perpetrarle, invece di applicarle, le strategie…